Bosnia-UE: euforia mista a preoccupazione

Pronte o meno, stanno arrivando: le forze di pace dell’Unione Europea potrebbero subentrare al mandato della Nato in Bosnia alla fine dell’anno. Un articolo tratto da Transitions On Line

05/07/2004, Redazione -

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Transition Online

Di Anes Alic – TOL
Traduzione a cura di Barbara Sartori – Osservatorio sui Balcani

SARAJEVO, Bosnia Erzegovina – Sebbene il proposto trasferimento della missione di pace in Bosnia dalle forze della Nato all’Unione Europea potrebbe finire per non essere così complesso (non più che sostituire i vecchi distintivi con quelli nuovi), l’opinione pubblica bosniaca è comunque preoccupata a causa dalle passate prove scadenti degli europei nei Balcani.

All’inizio dello scorso anno i Ministri della Difesa dei Paesi dell’Unione Europea hanno dato il via al progetto di subentro nella missione di pace della Nato in Bosnia Erzegovina.

La decisione finale sarà presa durante il summit della Nato previsto a Istanbul il 28 e 29 giugno.

Inizialmente la NATO aveva sperato di terminare la missione "Stabilization Force" (SFOR) in Bosnia nel 1998, tre anni dopo la fine della penosa guerra per il controllo della Repubblica dell’ex Jugoslavia. La Alleanza prolungò la sua missione fino al 2000, adducendo come motivazioni le insoddisfacenti condizioni di sicurezza del dopoguerra. Da allora ha continuato a rinnovare, di anno in anno, il suo mandato. Il suo ultimo mandato terminerà alla fine di quest’anno.

Michael Humphreys, capo della delegazione della Commissione Europea in Bosnia, afferma che il potenziale trasferimento di autorità dalla SFOR alla europea EUFOR sarà un impegno facile e che la qualità e la quantità delle truppe europee sarà la stessa di quella delle truppe della Nato. In realtà dal punto di vista logistico il trasferimento comporterà un po’ più che un cambio apparente, dato che i distintivi sulle uniformi di 7.000 truppe della SFOR dovranno essere sostituiti con quelli della EUFOR.

Il 70% delle truppe SFOR provengono da Stati membri dell’Unione Europea e saranno immediatamente riassegnate all’EUFOR, se la missione verrà approvata a Instanbul.

L’EUFOR assumerà anche il comando delle risorse infrastrutturali della NATO nello Stato. Recenti rapporti hanno accennato al fatto che 100 militari di alto livello dell’Unione Europea saranno assegnati alla guida delle operazioni dell’EUFOR. Il capo della politica estera dell’Unione Europea Javier Solana ha recentemente affermato che a Sarajevo potrebbe essere collocato il quartiere generale dell’Unione Europea, con al suo interno un ufficio di collegamento della NATO. Le rimanenti strutture della NATO in Bosnia incorporeranno invece una componente dell’Unione Europea.

La NATO e gli USA vogliono restare

La NATO ha reso noto che manterrà ancora una presenza in Bosnia , così come lo faranno le forze americane. Secondo Virgil Packett, a capo della SFOR, il campo Butmir a Sarajevo rimarrà un quartiere generale della NATO, con un organico che oscillerà dalle 200 alle 250 persone, guidato da un generale americano. Packett afferma che l’America potrebbe anche mantenere la sua postazione in alcune delle sue infrastrutture a Tuzla e nelle altre basi militari a Sarajevo, in conformità con l’accordo bilaterale stipulato con le autorità bosniache.

Il progetto dell’Unione Europea prevede che rimanga un contingente dell’Alleanza atlantica incaricato di arrestare i criminali di guerra ricercati dal Tribunale Penale Internazionale per l’ex Jugoslavia e di condurre le operazioni antit[]istiche in Bosnia. La loro missione più urgente rimane quella di seguire le tracce ed arrestare i due criminali di guerra europei più ricercati, il serbo bosniaco leader politico durante la guerra Radovan Karadzic e il comandante dell’esercito serbo-bosniaco Ratko Mladic. Entrambi sono sfuggiti a dozzine di tentativi di arresto.

Alcuni media locali hanno riferito che la NATO sta progettando di formare un’unità militare speciale che avrà come unica missione quella di arrestare i criminali militari segnalati. Voci però non confermate dalla NATO.

La procuratrice generale del Tribunale Penale Internazionale dell’Aja, Carla Del Ponte, il 15 giugno scorso ha affermato di essere in possesso di informazioni attendibili secondo le quali Karadzic sarebbe stato arrestato entro la fine di giugno (cosa poi non avvenuta n.d.t). Durante l’anno la Del Ponte ha fatto numerose di queste previsioni, sebbene fossero molto meno specifiche.

L’affermazione è in linea con un rapporto realizzato da una commissione speciale che ha investigato sul massacro di più di 7.000 mussulmani nel luglio del 1995 a Srebrenica. Rapporto nel quale per la prima volta le autorità serbo bosniache hanno ammesso il massacro.

Alcune delle strutture della SFOR hanno già iniziato a chiudere, così come si stanno riducendo anche gli effettivi dell’esercito: le truppe verranno ridotte da 12.000 a 7.000. Nel 1996 le forze armate SFOR contavano 60.000 truppe.

Le sfide dell’Europa

Se a Istanbul andrà tutto come previsto l’EUFOR avrà tre obiettivi principali: lavorare con la comunità internazionale a favore della stabilizzazione del Paese, fornire garanzie di sicurezza ed aiutare le autorità locali nel cammino verso l’adesione della Bosnia alla NATO ed al suo programma Partnership for Peace (PfP) ed all’Unione Europea.

L’Alto rappresentante della comunità internazionale in Bosnia, Paddy Ashdown, ha assicurato alle autorità bosniache che l’Unione Europea lavorerà per raggiungere i suoi obiettivi in stretta cooperazione con la NATO. Ashdown ha anche affermato che una speciale attenzione sarà data alla lotta contro il crimine organizzato, una missione parallela gestita da un dipartimento separato dell’UE, la UE Police Mission (EUPM), che sta già operando in Bosnia.

L’EUPM ha sostituito le forze di polizia delle Nazioni Unite nel gennaio del 2003. Ha preso in consegna quello che era il compito delle Nazioni Unite, ossia l’addestramento e la supervisione delle forze di polizia e del servizio di dogana. Ha il compito di valutare l’operato dei membri della polizia locale ed anche il potere di sospenderli in caso di corruzione o condotta illegale, come ha fatto in numerosi casi da quando il suo mandato è iniziato.

L’obiettivo della missione dell’UE di aiutare la Bosnia ad integrarsi nelle strutture Euro-atlantiche è invece una sfida a lungo a termine. Il 24 maggio la Bosnia presentò ufficialmente domanda per diventare membro del programma della NATO Partnership for Peace. Il giorno dopo i funzionari della NATO risposero con un messaggio scoraggiante: con tutta probabilità al prossimo summit a Istanbul la Bosnia non sarebbe stata invitata a partecipare al PfP.

Sebbene la comunità internazionale abbia applaudito ai successi della Bosnia per quanto concerne la riforma del suo esercito e la creazione di un comando congiunto per i suoi eserciti separati su base etnica, i progressi in altre aree sono stati lenti. L’incapacità delle autorità locali, in particolare nell’entità della Republika Srpska, di arrestare Karadzic e Mladic o più in generale di cooperare con il Tribunale Internazionale sta ritardando gli sviluppi dello Stato.

La Bosnia è pronta per l’EUFOR?

Molti politici e cittadini della Federazione, a maggioranza croata e bosniaco-musulmana, si preoccupano che all’UE manchi la capacità o l’esperienza per garantire la sicurezza. Il ruolo della missione di pace delle Nazioni Unite durante il periodo della guerra – probabilmente molti dei comandanti di quella missione, che provenivano da Stati dell’UE, subentreranno presto nella missione – non è stato infatti ancora dimenticato dai bosniaci.

Da parte loro, i serbo-bosniaci saranno meno preoccupati del ridursi della presenza della NATO, ricordandosi i bombardamenti aerei delle forze della NATO comandate dagli Stati Uniti, contro le posizioni serbo bosniache attorno a Sarajevo nel 1995.

La più grande vergogna nel passato della missione delle Nazioni Unite fu la caduta della città demilitarizzata di Srebrenica nel luglio del 1995, quando l’esercito serbo bosniaco circondò la città, allora "safe area" protetta dal battaglione olandese, e procedette al massacro di almeno 7.000 giovani ed uomini bosniaci mentre le forze di pace guardavano impotenti.

La missione delle Nazioni Unite fu la prima in Bosnia. Arrivò nel giugno del 1992. Con un organico di circa 40.000 militari, fu la più costosa e complessa operazione di peace-keeping nella storia delle Nazioni Unite. Fallendo l’obiettivo della pace, assunse un aspetto fortemente umanitario, che comprendeva il monitoraggio della tregua, il mantenimento di una presenza nelle "safe areas" e l’accompagnamento dei convogli umanitari.

Dopo la firma dell’Accordo di Pace di Dayton, firmato nel dicembre del 1995 e che ha sancito la fine delle ostilità, il reparto delle Nazioni Unite fu sostituito dal reparto d’intervento guidato dalla NATO, che aveva il compito di assicurare la sicurezza e fornire assistenza nella ricostruzione delle infrastrutture distrutte dalla guerra. L’IFOR collaborò anche con l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa nel monitoraggio delle prime elezioni del dopoguerra nel settembre del 1996.

Lo stesso anno l’IFOR fu sostituito dallo SFOR, che ha avuto come missione principale quella di assicurare il rispetto degli accordi sul controllo delle armi e di consegnare alla giustizia i criminali di guerra. Il contingente SFOR è stato anche impegnato nella realizzazione delle riforme della difesa bosniaca.

L’EUFOR è pronto per la Bosnia?

L’UE ha poca esperienza nella conduzione di missioni di pace internazionali, sebbene nel 2003 le forze armate dell’UE siano state spiegate nella Repubblica Democratica del Congo per una missione di tre mesi e in Macedonia per una missione di cinque mesi.

Bruxelles ha valutato i precedenti incarichi come un successo che può aprire la strada a missioni future. Ma anche se l’UE afferma che le sue missioni in Congo e Macedonia l’hanno preparata per la Bosnia, le operazioni sono difficili da comparare. L’incarico in Bosnia sarà potenzialmente più a lungo termine e più complesso dal punto di vista logistico, richiedendo un organico di 7.500 persone, mentre l’operazione in Congo vedeva schierate in campo 1.300 truppe e quella in Macedonia solo 300.

Mentre l’operazione in Congo ha comportato il dispiegamento di truppe in una zona di conflitto — dove anche recentemente sono scoppiati rinnovati conflitti, portando Bruxelles a considerare l’invio di altre forze di pace — la sfida in Bosnia non è più il conflitto armato, ma la realizzazione dei progetti di stabilizzazione della comunità internazionale e l’assistenza alla Bosnia al fine di prepararla per l’adesione alla NATO e all’UE—obiettivi di lungo termine che non possono essere realizzati sotto la minaccia delle armi.

L’analista politico Senad Slatina, dell’organizzazione di ricerca ed advocacy International Crisis Group, afferma che l’UE ha alcuni punti di forza e debolezze che le garantiscono maggiore successo nelle zone non di conflitto.

L’UE non avrebbe avuto un’organizzazione migliore di quella delle Nazioni Unite, che hanno guidato la prima missione di pace otto anni fa. "La missione della NATO—guidata dagli Stati Uniti—è stata l’unica missione militare internazionale di successo in Bosnia" ha affermato.

"La Bosnia ha avuto delle esperienze negative per quanto riguarda le missioni militari dell’UE" dice Slatina, riferendosi all’operazione delle Nazioni Unite che era composta dalle Nazioni membro dell’UE del pre-allargamento. Inoltre la tendenza degli europei, dovuta alla mancanza di coesione della missione, è stata "sempre quella di impegnarsi nel monitoraggio e di non intervenire realmente". È un problema che si può notare chiaramente nella incapacità di prendere veloci ed unanimi decisioni riguardo ad eventi come quelli della caduta di Srebrenica, quando il telefono rimbalzava tra quattro capitali europee senza che venisse presa una decisione ed intanto le truppe internazionali si tenevano in disparte e guardavano il massacro.

Ma queste debolezze, egli afferma, è probabile che siano meno un problema nella Bosnia del dopoguerra, o almeno è meno probabile che abbiano conseguenze pericolose. Slatina crede che Bruxelles sia preparata per la sua missione nella Bosnia del dopoguerra ed afferma che spera che le priorità dell’UE si spostino dalla sicurezza al progresso economico, che è la preoccupazione più urgente della Bosnia.

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