Bosnia, maggio 2004 (2)

Il protettorato Bosnia Erzegovina sta scricchiolando. Un aggiornamento sulle recenti vicende politiche ed economiche nel Paese, sui principali fatti di cronaca e sull’andamento del processo di riconciliazione

24/05/2004, Andrea Oskari Rossini -

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Banja Luka

Pubblichiamo la seconda parte dell’articolo di aggiornamento generale sulla situazione politica, sociale ed economica nella Bosnia Erzegovina. La prima parte è stata pubblicata venerdì con lo stesso titolo Bosnia, Maggio 2004 (1)

Srebrenica

Dopo la conferma all’Aja della condanna del comandante Radislav Krstic per genocidio, in Bosnia la questione Srebrenica pesa sempre di più nelle dinamiche politiche interne, ed è uno dei tasselli più sensibili nel delicato mosaico di rapporti tra comunità internazionale e autorità della Republika Srpska.

La poderosa mole di documentazione raccolta negli ultimi anni dal Tribunale Internazionale, i documenti della Nato, le testimonianze dei sopravvissuti e soprattutto le rivelazioni di quegli ufficiali serbi sotto inchiesta che hanno avviato una collaborazione con gli inquirenti (Drazen Erdemovic, Momir Nikolic e Dragan Obrenovic), hanno permesso di conoscere praticamente tutto sugli avvenimenti del luglio ’95. Quello che ancora resta da sapere è perché Srebrenica. Una domanda, evidentemente, che non andrebbe rivolta solamente all’esercito della RS. Quello che le istituzioni della Republika Srpska dovrebbero invece chiarire è dove sono gli scomparsi. E’ questo il compito assegnato alla Commissione su Srebrenica, istituita dalle autorità di Banja Luka a seguito delle forti pressioni in tal senso da parte della comunità internazionale. La Commissione, nelle ultime settimane, è al centro del dibattito politico e del mondo dell’informazione bosniaco.

Nel 2003, la Camera per i Diritti Umani della Bosnia Erzegovina, dopo aver ricevuto decine di richieste da parte di Bosniaci che chiedevano di sapere dove erano sepolti i propri congiunti, scomparsi nei giorni successivi alla caduta di Srebrenica, aveva infatti disposto che fossero le autorità di Banja Luka a raccogliere le informazioni necessarie.

Dalla fine della guerra, dalle fosse comuni della zona di Srebrenica, molte delle quali piu’ volte trasferite nell’immediato dopoguerra per nascondere le tracce, sono stati esumati i resti di circa 6.000 vittime. Di queste, nel cimitero di Potocari, presso Srebrenica, sono sepolte 989 persone, mentre oltre 5.000 corpi esumati aspettano ancora i risultati dei test del Dna per essere ufficialmente identificati. Nell’area di Srebrenica finora sono state trovate ed esumate in tutto 60 fosse comuni. (Ansa, Sarajevo, 16, 30 aprile)

La Commissione Srebrenica, tuttavia, procede lentamente i propri lavori. Il 16 aprile scorso, Ashdown ha destituito Cvjetko Savic, capo di stato maggiore delle forze armate della RS, insieme al capo dell’ufficio governativo per la collaborazione con il Tribunale internazionale dell’Aja, Dejan Miletic proprio per gli ostacoli frapposti al lavoro della Commissione (Fena, 16 aprile).

Ashdown ha poi dichiarato che non concederà proroghe alla scadenza fissata per il rapporto definitivo dell’organismo, previsto per giugno. "Chiedo alla Commissione di non lavorare uno, ma cinque giorni alla settimana", ha dichiarato l’Alto Rappresentante ammonendo i Ministri dell’Interno e della Difesa della RS, Zoran Djeric e Milovan Stankovic, ad assicurare piena collaborazione e aggiungendo che li riterra’ personalmente responsabili. Ashdown ha rivolto lo stesso avvertimento anche al Primo Ministro e al Presidente della Rs, Dragan Mikerevic e Dragan Cavic. (Ansa, Sarajevo, 16 aprile)

Il 29 aprile (Ansa, Sarajevo, 30 aprile), il nuovo presidente della Commissione, Milan Bogdanic, ha annunciato che istituzioni della RS hanno fornito informazioni sui luoghi delle fosse comuni finora sconosciute, senza precisare i dettagli. Secondo la stampa locale, le fosse sarebbero 6. L’Alto Rappresentante ha risposto a questo rapporto con un comunicato stampa sostanzialmente positivo, sottolineando che apparentemente le autorità della RS hanno cominciato a collaborare efficacemente. Dopo il caso Lukic, la prudenza è d’obbligo…

Lunedì 10 maggio (Vecernji List, 12 maggio), le autorità della Republika Srpska hanno infine annunciato che la Commissione sta lavorando alla preparazione di un terzo rapporto. Branko Todorovic, presidente del Comitato Helsinki per i Diritti Umani della Republika Srpska, è tuttavia scettico sulle reali possibilità di questo organismo di portare elementi di verità sui fatti di Srebrenica. Mercoledì (Dnevni List, 20 maggio), Todorovic ha presentato materiale documentale sul lavoro di "formazione dei testimoni" svolto dalle autorità della RS nei confronti delle persone che devono essere interrogate dalla Commissione. Todorovic ha chiesto al presidente di rivolgersi chiaramente al pubblico dicendo se la Commissione è davvero in grado di scoprire qualcosa.

Comunque vada a finire, la vicenda della Commissione su Srebrenica ha ormai assunto i caratteri di catalizzatore dello scontro in atto tra Alto Rappresentante e istituzioni della RS. Non sembra possibile, allo stato attuale, una via d’uscita indolore, un qualche patteggiamento o accomodamento. O verranno fornite le informazioni sugli scomparsi, o Ashdown avrà perso questa battaglia.

Armi e munizioni

L’Ansa riporta con precisione gli aggiornamenti sui recenti ritrovamenti di armamenti vari in Bosnia. Il 21 aprile, un deposito illegale è stato trovato dalla SFOR a Prnjavor (RS): 40.000 munizioni, 12 mine da mortaio, 178 bombe da fucile, 24 mine anti carro, dieci razzi terra-aria, in perfetto stato e in imballaggio originale intatto.

Il 23, a Rogatica (RS), i militari italiani hanno trovato invece un arsenale nella casa di un uomo fermato casualmente durante una attività di controllo del territorio: tre mitragliatrici, 27 bombe a mano, 2 kg di esplosivo al plastico, 3 fucili, 1 pistola, 2 detonatori, 3 micce, una quantita’ di munizioni e numerosi ricambi per varie tipologie di armi.

Il 29, la polizia della Republika Srpska ha ritrovato una grossa quantita’ di armi da guerra nell’area di Miljevina, presso Foca. In un bosco sono stati ritrovati, tra l’altro, un proiettile calibro 76, 120 granate, una mitragliatrice e relative munizioni.

Il 5 maggio, la polizia serbo bosniaca ha ritrovato presso Pale 97 chilogrammi di esplosivo, 2.100 detonatori e centinaia di metri di miccia a lenta combustione.

In totale, nel corso dell’operazione condotta dalla SFOR in collaborazione con la polizia locale nell’area di Prnjavor nella seconda metà di aprile, sono stati ritrovati e sequestrati, tra l’altro, 208 armi leggere, 396 bombe a mano, 241 bombe da fucile, 16 mine anti uomo, oltre 65.000 di proiettili di vario calibro, 32 razzi anti carro e 47,5 chilogrammi di esplosivo. Con l’aiuto della popolazione locale in una stalla e’ stato scoperto un deposito con 40 casse di armamenti.

L’11 maggio, i carabinieri dell’Msu (Unita’ multinazionale specializzata) hanno scoperto una ingente quantita’ di esplosivo tra cui 21 chili a forma di ciotoli nell’area di Kiseljak.

Ieri, infine, polizia locale e SFOR hanno ritrovato un grande quantitativo di armi illegali, mine da mortaio (10.000 casse) e bombe da fucile (3.000, il conteggio non è ancora concluso), senza carica esplosiva, in una fabbrica di filo di ferro a Cazin, nel nord-ovest del paese (Fena, Ansa, 20 maggio)

Secondo un rapporto del Programma di sviluppo delle Nazioni unite (Undp) sul controllo delle armi leggere nel Sud-est europeo, presentato a Sarajevo alla fine di aprile, il numero di armi leggere in possesso dei civili prima della guerra, 340.000, sarebbe raddoppiato durante il conflitto. Nel 1999 le armi leggere detenute invece dalle forze armate erano 540.000, ridotte nel 2003 a 210.000. Dal 1998 ad oggi la Forza di stabilizzazione della Nato in Bosnia (Sfor) ha raccolto, e distrutto, circa 22.600 armi leggere e 4 milioni di munizioni di vario calibro. Insomma, in giro c’è parecchia roba.

La riconciliazione fa passi da gigante

Un editoriale del sarajevese Oslobodjenje, il 13 aprile scorso (a firma Zija Dizdarevic), passa in rassegna ruolo e funzioni delle tre principali comunità religiose del Paese, alla luce delle polemiche sorte dopo il ferimento del pope di Pale Starovlah, e di suo figlio, nel noto raid della SFOR. L’articolo, quanto a tono e contenuti, è piuttosto deciso. Secondo l’autore, la Chiesa Ortodossa Serba è stata uno dei pilastri della politica che ha portato alla aggressione e al genocidio e, dopo gli ingiustificabili fatti di Pale, ha mandato nuovi segnali che la distanziano dalla Bosnia Erzegovina e dal processo di pace. Per quanto riguarda la Chiesa Cattolica, secondo l’opinionista essa "prende spesso il ruolo dell’HDZ", e ha sostenuto questo partito anche in progetti come quello della istituzione di un autogoverno croato in BiH. Per quanto riguarda infine la comunità islamica, non fa che insistere sulla tesi dei "Bosgnacchi in quanto maggioranza che deve avere uno status speciale, che ha sofferto il genocidio e anche oggi è minacciata", e il suo leader, Mustafa Ceric, sarebbe il manager delle politiche dell’SDA. Le comunità religiose in BiH, conclude Oslobodjenje, equiparano la nazionalità alla fede, la religione all’ideologia, e su questa base affermano il proprio ruolo di organizzazioni parapolitiche, autoproclamate in nome del popolo. I partiti che loro sostengono sono sotto pressione da un punto di vista costituzionale e legale, sotto il monitoraggio politico e dei media, ma le élites religiose sono praticamente intoccabili."

La cronaca degli ultimi avvenimenti, sotto questo profilo, non lascia in effetti molto spazio all’ottimismo. Il 9 marzo scorso il Consiglio Episcopale della Chiesa Ortodossa di Bosnia Erzegovina ha deciso di ritirarsi dal Consiglio interreligioso della BiH, pubblicando una requisitoria nei confronti degli altri (Cattolici, Musulmani ed Ebrei), accusati di "non aver mai preso in considerazione i crimini commessi contro i nostri."

Anche la Chiesa Cattolica ha annunciato la propria decisione di ritirarsi dal Consiglio Interreligioso della BiH, organismo creato nel 1998 per promuovere la comprensione e la cooperazione tra le diverse comunità religiose. Nel Consiglio restano solamente i rappresentanti ebrei e musulmani (Associazione Sarajevo, 13 aprile 2004).

Nel frattempo, la comunità islamica bosniaca ha avviato una azione legale contro le autorità della Republika Srpska (Oslobodjenje, 16 aprile), per la distruzione di circa 1.200 moschee nel corso della guerra 1992-1995. Il vice Reis-ul-ulema, Ismet Effendi Spahic, ha dichiarato ai giornalisti che la documentazione è in corso di preparazione: "Le moschee dovrebbero essere ricostruite da quelli che le hanno distrutte. Ad esempio, a Banja Luka non c’è stata la guerra, ma anche lì le moschee sono state distrutte … Questo processo potrebbe durare un anno, il tempo necessario per raccogliere la documentazione."

Centri collettivi, fosse comuni

I periodici ritrovamenti di fosse comuni, di cui la stampa dà notizia, sono probabilmente l’indicatore più efficace – e drammatico – del cammino immobile della Bosnia Erzegovina. Durante le operazioni per esumare i corpi da una delle ultime fosse ritrovate, presso il villaggio di Zaklopca in Republika Srpska, che conterrebbe i corpi di circa 70 persone tra cui quelli di 10 donne e 16 bambini, gli abitanti hanno aggredito verbalmente gli esperti al lavoro. L’intervento della polizia ha evitato che la situazione degenerasse (Ansa, Sarajevo, 8 maggio). Alcuni giorni più tardi, l’11 maggio, è stata invece scoperta la fossa n. 45 a Prijedor, nel villaggio di Hambarine (Fena, 11 maggio).

Le fosse comuni individuate in Bosnia dalla fine della guerra sono circa 300, ma sono ancora circa 16 mila le persone che risultano scomparse (Ansa, 8 maggio).

La sorte di quanti, profughi, dopo dieci anni ancora vivono in centri collettivi, è il secondo indicatore di un passato che non passa. A Sarajevo, il Ministro per i Rifugiati e gli Sfollati della Federacija BH (Fena, 13 maggio) ha dichiarato che intende chiedere alle istituzioni dello Stato e alle ong sostegno finanziario per la ricostruzione delle case di quanti ancora vivono nei 56 centri collettivi dell’Entità. Secondo il Ministro, Sulejman Alijagic, sono necessari circa 40 milioni di marchi convertibili per la chiusura di questi centri, e se la raccolta fondi continua in questo modo, saranno necessari altri 12 anni. Sono 7.600, compresi 900 bambini in età scolastica, le persone che vivono ancora in centri collettivi nella Federazione.

Leggermente migliore sembra invece la situazione in Republika Srpska. Il Consigliere al Ministro per i Rifugiati e Sfollati dell’Entità, Branko Vukadinovic, ha dichiarato ai giornalisti che in RS non ci sono più centri collettivi, e che questo problema è stato definitivamente risolto con il ritorno dei profughi nelle proprie case e con la costruzione di appartamenti per gli ex abitanti dei centri (1.300 in totale gli appartamenti costruiti in 21 municipalità della RS).

Dalla Ljubija a Zenica?

In tutto questo, la Bosnia avanza speditamente sulla strada della globalizzazione. In aprile, la Borsa Valori di Sarajevo (SASE) ha festeggiato il proprio secondo anno di attività. Lo scambio giornaliero ha raggiunto un volume di 600.000 marchi convertibili (circa 300.000 €).

Da festeggiare, in realtà, non c’è molto. Il tasso di disoccupazione nel Paese è intorno al 44%. La produzione langue: l’export continua a diminuire, l’import ad aumentare. In un articolo del 13 aprile scorso, il sarajevese Dnevni Avaz riporta alcune statistiche: in febbraio 2004 l’export è diminuito del 2,5% rispetto al mese precedente, mentre l’import nei mesi di gennaio e febbraio 2004 è cresciuto del 6,5% rispetto allo stesso periodo del 2003.

La strada delle privatizzazioni, imboccata dal governo, non sembra emozionare i sindacati: secondo le organizzazioni dei lavoratori, la nuova legge varata dal Parlamento sui fallimenti delle aziende porterà 130.000 persone a perdere il proprio impiego, e il programma di sostegno sociale preparato dal governo per alleviare le conseguenze della privatizzazione, fallimenti e riorganizzazione delle aziende, è inadeguato. I sindacati minacciano uno sciopero generale e la richiesta di dimissioni del governo in giugno, se le loro richieste non saranno prese in considerazione (Ansa, Sarajevo, 29 aprile).

Il quadro, fosco, è però illuminato in questo periodo da una notizia cui viene attribuito un significato largamente positivo: l’acquisto da parte della holding britannico indiana "LNM group" del 51% della miniera di ferro di Ljubija, presso Prijedor, ferma dall’inizio della guerra (Fena, 20 aprile 2004). In Bosnia, la Ljubija costituiva un sistema integrato con le acciaierie di Zenica. Dopo la guerra, i due colossi si trovano nelle due diverse Entità del Paese. La "LNM" sarebbe interessata a ricostituire il gruppo, ed ha presentato una offerta al governo della Federacija BiH per acquisire il pacchetto di maggioranza della "BH Steel", di Zenica. Nella corsa al controllo delle acciaierie, la "LNM" è in competizione con il gruppo "ISPAT", di Bombay. La decisione, secondo il primo ministro della Federacija, Ahmet Hadzipasic, dovrà essere condivisa con la compagnia kuwaitiana che attualmente detiene il 50% della "BH Steel" (BHTV 1, 4 maggio).

Secondo Dragan Cavic, presidente della RS, e Dragan Mikerevic, Primo Ministro della RS, la acquisizione della Ljubija rappresenta il ritorno alla vita della regione di Prijedor. Verranno creati posti di lavoro per oltre 5.000 persone, con conseguenze per l’intero Paese. La holding anglo indiana si è impegnata ad investire nella produzione 25 milioni di marchi convertibili per il primo anno, a corrispondere le assicurazioni sociali e pensionistiche per i lavoratori, e a pagare i salari arretrati degli ultimi tre anni (RTRS, 30 aprile 2004).

Sempre più vicini, sempre più lontani

Quello che invece la globalizzazione non gradisce, e anche da queste parti lo si è cominciato a capire, è la libera circolazione delle persone. Nei giorni scorsi, la Bosnia Erzegovina ha firmato un accordo con il governo italiano per il rimpatrio dall’Italia degli immigrati clandestini. L’accordo è stato siglato a Sarajevo il 12 maggio dal Ministro per la Sicurezza bosniaco, Barisa Colak, e dal Vice Ministro degli Esteri italiano, Roberto Antonione, che ha ricordato nell’occasione come la immigrazione illegale sia una delle questioni che più preoccupano l’Italia e l’Unione Europea (Fena, 12 maggio).

Fossero queste le preoccupazioni…

(2 – fine)

Vedi anche:

Bosnia, Maggio 2004 (1)

La Bosnia da Karadzic a Ashdown

Europa: un allargamento senza Balcani

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