Bosnia Erzegovina: una riforma sociale di carta

Cittadini, lavoratori e pensionati bosniaci in balia di una riforma sociale che stenta a garantire il minimo indispensabile. Alcune riflessioni su un sistema sociale tutt’altro che accettabile.

13/12/2001, Redazione -

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Mostar.com - La città di Mostar

Cittadini, lavoratori e pensionati bosniaci in balia di una riforma sociale che stenta a garantire il minimo indispensabile. Alcune riflessioni su un sistema sociale tutt’altro che accettabile.

Il tenore di vita, e quindi la situazione sociale generale in Bosnia Erzegovina, è decisamente lontano dal livello esistente prima della guerra. La percentuale molto alta di disoccupati dovuta ad una produzione bloccata dal processo di privatizzazione ancora in corso, è causa di una situazione di povertà sempre più profonda. E sappiamo bene che quando non ci sono fondi per il settore produttivo, non ci sono neppure per l’assistenza sociale, le attività umanitarie, ecc.

Se parliamo di legislazione, si deve dire che sulla carta l’assistenza sociale è ben strutturata. Infatti le leggi tuttora in vigore sono in gran parte eredità del periodo comunista, quando questo settore della società era più che tutelato. L’esempio di quanto pesano i servizi sociali sullo stipendio di un dipendente è abbastanza esplicativo. Per ogni dipendente assunto, l’azienda deve versare una determinata quota nei vari fondi sociali: il 41% nel fondo pensionistico, nel fondo sanità il 25% e nella cassa disoccupati il 4,7%. A questo va poi aggiunto il 5% di tassazione applicata allo stipendio lordo, che va nelle casse del fisco. La legge in vigore prevede per ogni impresa l’obbligo incondizionato al versamento di questa somma, pena l’impossibilità per il dipendente di ricevere lo stipendio. Questo per lo meno è ciò che richiede la legge, ma molte aziende pare che non l’abbiano fatto per molto tempo. Infatti, recentemente si è scoperto che alcune ditte di Mostar ovest – con sede nella parte croata della Federazione – negli ultimi anni non hanno mai versato tali contributi nelle casse dello Stato. Per cui alcuni dei lavoratori si sono accorti di non avere le carte in regola, quindi di essere stati truffati, solo al momento del pensionamento.

Per fortuna oggi i controlli sono più severi e tutto funziona meglio, anche se nel tentativo di risparmiare almeno su questa parte della spesa, molte ditte versano allo Stato le quote relative allo stipendio minimo previsto per legge. Per ora la soluzione pare trovata, anche se a lungo termine nasceranno comunque nuovi problemi, come il fatto che con versamenti minimi i lavoratori si ritroveranno un giorno ad avere pensioni troppo basse per la sussistenza.

I lavoratori di aziende private rappresentano un caso a sé, soggetto a numerose manipolazioni. I proprietari delle ditte di medie e piccole dimensioni, gli esercizi pubblici come bar o negozi, solitamente denunciano al fondo solo il 50% del proprio personale, mentre la restante metà dei dipendenti lavora in nero. La disastrosa situazione economica fa accettare alla gente un lavoro senza alcuna tutela sociale, purché alla fine del mese dia loro un introito economico regolare.
Ed ecco il motivo di fondi pensione locali poco sicuri, che assicurano pensioni bassissime (dai 150 ai 1.350 marchi tedeschi al mese, questi ultimi erogati solo agli ex-militari invalidi di guerra) spingendo la popolazione a rivolgersi a compagnie d’assicurazione straniere. Tra queste quella di maggior successo in Bosnia Erzegovina è l’austriaca Grawe. Pur non essendo spesso chiari i termini dei contratti di assicurazione, la gente è più pronta a rischiare sperando che una compagnia straniera non fallisca così facilmente come sono fallite le banche dell’ex Jugoslavia.
I lavoratori con un contratto fisso di dipendenza lavorano secondo vecchie regole, e quindi con contratti di lavoro obsoleti, senza alcuna tutela in caso di licenziamento, ecc. Da tempo i sindacati di categoria avrebbero dovuto attivarsi per il rinnovo, ma nulla è stato fatto. Anche perché purtroppo nella Federazione persino il sindacato è diviso tra quello croato e quello musulmano. Così, la cosiddetta riforma sociale rimane sulla carta, in attesa che qualcuno faccia il primo passo.

Nel frattempo ognuno se la cava come può. Lo stipendio medio si è attestato sui 462 marchi tedeschi al mese. Il tasso disoccupazione rimane altissimo, con una larga fascia di popolazione che non possiede alcuna fonte di reddito. I centri di assistenza sociale tentano di risolvere i problemi almeno dei più poveri, ma i fondi a loro disposizione sono sempre insufficienti a coprire il bisogno. Per esempio alle coppie con due figli in cui risultano disoccupati entrambi i genitori, viene erogato un contributo "sociale" di 100 DM al mese. Vi sono poi molte famiglie che vivono solo grazie a quei 100-150 DM che ricevono ogni mese attraverso programmi di adozione a distanza, realizzati da organizzazioni straniere che però vanno man mano diminuendo.

Si deve inoltre sottolineare che nemmeno i dipendenti dei centri di assistenza sociale vivono una situazione migliore rispetto agli assistiti. Ad esempio, il personale dei centri di Mostar nei primi mesi di novembre ha ricevuto la busta paga del mese di maggio. Ma questo accade anche ai lavoratori di molte ditte e organizzazioni, dove i ritardi nel pagamento degli stipendi va da 4 a 15 mesi. Per non parlare poi della categoria dei profughi. Ad oggi in Bosnia Erzegovina sono ancora tantissimi coloro che vivono in centri collettivi, o addirittura in tendopoli, assistiti dall’Alto Commissariato per i profughi. Ma questo livello di assistenza non basta non solo per vivere, ma soprattutto per tornare a casa dove, dicono gli stessi profughi, "la vita sarebbe meno difficile".

Condizioni di vita così difficili si possono poi sopportare quando si è in salute, mentre in caso di malattia tutto si complica ulteriormente. I fortunati che hanno un’occupazione fissa e che hanno versato regolarmente il dovuto alla cassa del fondo sanitario, sono per certi versi più tranquilli. Seppure per una serie di servizi, l’assicurato deve comunque partecipare alle spese. Ogni giorno di ospedalizzazione costa ad un dipendente in regola con i contributi 5 DM al giorno (oppure 20 kune nella zona croata), mentre le medicine deve pagarle per intero. A parte i 5 marchi di ospedalizzazione giornaliera, per un assicurato gli interventi chirurgici dovrebbero essere gratuiti. Ma la realtà purtroppo è ben diversa. Avendo un stipendio non alto (che non supera i 1.000 marchi tedeschi al mese), i medici non sono disposti ad operare senza un "incentivo". Così è diventata prassi, se si vuole salvare la propria vita o quella di un parente, "mettere qualcosa nella tasca del medico". Se si tratta invece di una persona che non ha assicurazione sanitaria, un giorno in ospedale costa circa 50 marchi, 56 marchi un giorno di cure termali, 500 marchi un’operazione alla cistifellea. I prezzi più alti riguardano la cura delle malattie cardiovascolari. Una clinica di Tuzla è specializzata in questo settore, e qui una radiografia al cuore viene fatta pagare 2.000 marchi, mentre un’operazione arriva anche a 14.000.

La legge prevede inoltre un elenco di medicine gratuite per i cittadini affetti da malattie cardiovascolari, diabete, o tumori maligni. Purtroppo questo vale sulla carta, mentre (anche in questo caso) le cose funzionano diversamente. Dato che le farmacie non ricevono quasi mai i fondi dallo Stato, tutte le medicine vengono fatte pagare a tutti indistintamente.

Curarsi in Bosnia Erzegovina costa tanto, ed è sempre più prerogativa dei ricchi. In conclusione, basta dire che una confezione di medicine per qualsiasi malattia cronica costa fino a 20 marchi e questo prezzo, messo a confronto con la pensione di 150 marchi tedeschi di una qualsiasi anziana diabetica, può dare il quadro delle condizioni di vita attuali della maggioranza della popolazione.

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