Bosnia Erzegovina, una crisi da non sottovalutare

È in corso in Bosnia Erzegovina l’ennesima crisi istituzionale. Ciò che tuttavia la differenzia dalle precedenti crisi sono i tentativi di minare le stesse fondamenta degli Accordi di Dayton. E riemerge il fantasma del conflitto

02/11/2021, Elvira Jukić-Mujkić - Sarajevo

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Milorad Dodik, membro della presidenza tripartita della Bosnia Erzegovina © Alexandros Michailidis/Shutterstock

Separatismo e concreti sforzi finalizzati alla secessione della Republika Srpska dalla Bosnia Erzegovina. Queste le accuse mosse a Milorad Dodik, membro serbo della Presidenza tripartita della Bosnia Erzegovina e leader dell’Unione dei socialdemocratici indipendenti (SNSD), che ormai da settimane porta avanti diverse iniziative volte ad aumentare i poteri della Republika Srpska (una delle due entità che costituiscono la Bosnia Erzegovina) a scapito di quelli delle istituzioni centrali.

La polemica scaturita da queste iniziative politiche, in cui non mancano ipotesi di un nuovo conflitto, distoglie l’attenzione dell’opinione pubblica dai numerosi scandali di corruzione, dalla pessima situazione economica in cui versa il paese e dall’intensificarsi del fenomeno dell’emigrazione dei cittadini bosniaco-erzegovesi all’estero.

Al contempo, sui mezzi di informazione e sui social media viene ulteriormente surriscaldata un’atmosfera guerrafondaia che – in un paese dove, pur essendo trascorsi ventisei anni dalla fine della guerra, non ha mai conosciuto una vera pace interna – fa rabbrividire, richiamando alla mente quanto accaduto all’inizio degli anni Novanta.

Dodik e la lotta per “il ripristino delle competenze”

Nel corso di una seduta del Comitato centrale dell’SNSD, tenutasi la scorsa settimana a Pale in occasione del 30° anniversario della costituzione dell’Assemblea del popolo serbo di Bosnia Erzegovina , gli esponenti dell’SNSD hanno annunciato di volersi impegnare per “ripristinare, nel quadro dei principi costituzionali e di Dayton, le competenze trasferite dalla Republika Srpska alle istituzioni centrali della BiH”, ingaggiando così “una battaglia per difendere la Republika Srpska”.

Dodik ha inoltre annunciato che le istituzioni della Republika Srpska adotteranno provvedimenti legislativi volti a “sospendere” 140 leggi emanate negli ultimi decenni dall’autorità dell’Alto rappresentante per la Bosnia Erzegovina, leggi definite da Dodik come non volute, bensì imposte alla Republika Srpska. Nelle sue recenti esternazioni pubbliche Dodik ha anche affermato che oggi la vita in Bosnia Erzegovina sarebbe migliore se la Republika Srpska per anni non fosse stata spogliata dei suoi diritti. Tra le decisioni adottate dall’ufficio dell’Alto rappresentante, da Dodik considerate come imposte e dannose, ci sono alcuni provvedimenti riguardanti la creazione di nuove istituzioni (come il tribunale della Bosnia Erzegovina) e il conferimento alle istituzioni centrali dei poteri in alcuni ambiti molto importanti (difesa, servizi segreti, magistratura).

Pensata come una soluzione transitoria per porre fine alla guerra in Bosnia Erzegovina, la Costituzione della BiH, contenuta nell’annesso IV dell’Accordo di Dayton del 1995, stabilisce all’articolo 3 le competenze delle istituzioni centrali e delle due entità che compongono la Bosnia Erzegovina, precisando che “tutte le funzioni e le competenze che non sono esplicitamente attribuite alle istituzioni della Bosnia Erzegovina dalla presente Costituzione spettano alle entità”. Negli anni successivi alla firma dell’Accordo di Dayton, l’Alto rappresentante per la Bosnia Erzegovina, adottando una serie di decisioni, ha posto le basi per la creazione di alcune istituzioni indispensabili, contribuendo inoltre a precisare meglio le competenze spettanti alle istituzioni centrali e alle entità.

Anche in passato i funzionari della Republika Srpska hanno criticato l’operato dell’Alto rappresentante, parlando dei “poteri tolti” alla Republika Srpska e lanciando iniziative per il “ripristino” di tali poteri, iniziative intese come parte integrante di una più ampia tendenza volta al rafforzamento e al raggiungimento dell’indipendenza della Republika Srpska.

Una polemica per distogliere l’attenzione

Negli ultimi anni sono stati fatti diversi tentativi di portare avanti un dialogo tra i leader politici bosniaco-erzegovesi e vari attori internazionali sulla riforma della Costituzione della BiH, senza però riuscire a raggiungere un’intesa che soddisfi le aspirazioni dei leader di tutti i gruppi etno-nazionali presenti in Bosnia Erzegovina. Con il passare del tempo, l’incapacità di trovare un compromesso ha portato all’emergere di visioni contrapposte sulla riforma costituzionale.

Un tema così serio e complesso come quello delle competenze istituzionali è stato recentemente strumentalizzato per dare una risposta rapida ad uno scandalo di corruzione emerso nello scontro tra maggioranza e opposizione in Republika Srpska in quella che sta ormai assumendo i contorni di una campagna elettorale in vista delle elezioni politiche previste per l’autunno 2022.

Due mesi fa alcuni media hanno riportato la notizia che ai pazienti ricoverati negli ospedali in Republika Srpska sarebbe stato somministrato ossigeno industriale al posto di quello medicale, destando scalpore nell’opinione pubblica. Le autorità competenti hanno respinto tali accuse, mentre il principale partito al governo in Republika Srpska (l’SNSD di Dodik) ha definito l’intera vicenda come un attacco orchestrato dall’opposizione.

Nelle settimane successive allo scoppio dello scandalo si sono susseguiti vari tentativi di stabilire la responsabilità per la fornitura dell’ossigeno di dubbia qualità agli ospedali in Republika Srpska. Puntando il dito contro l’Agenzia del farmaco della Bosnia Erzegovina, competente per il rilascio di autorizzazioni alla distribuzione dei medicinali sull’intero territorio nazionale, la leadership di Banja Luka ha intrapreso i primi passi verso la creazione di un’agenzia per i medicinali della Republika Srpska. Tale mossa, accompagnata dalle affermazioni di Dodik secondo cui si tratterebbe dell’inizio della “riconquista dei poteri” sottratti alla Republika Srpska, ha esacerbato la crisi politica attraversata dalla Bosnia Erzegovina.

La legge sui farmaci e dispositivi medici, approvata lo scorso 20 ottobre dall’Assemblea della Republika Srpska, pone le basi per la creazione di un’agenzia per i medicinali della Republika Srpska. Nel frattempo Dodik ha annunciato ulteriori provvedimenti la cui adozione metterebbe a rischio la sopravvivenza di alcune agenzie statali, come quella per le imposte indirette e quella per la sicurezza, ma anche delle forze armate della BiH.

L’ufficio dell’Alto rappresentante per la Bosnia Erzegovina, responsabile della supervisione dell’implementazione dell’Accordo di Dayton, ha definito il tentativo di contestare la competenza e l’operato dell’Agenzia del farmaco della Bosnia Erzegovina come “una mossa pericolosa e inutile che mette a rischio la vita e il benessere di tutti i cittadini della BiH”, sottolineando che la legge sui farmaci e dispositivi medici approvata dall’Assemblea della Republika Srpska rappresenta una grave intromissione nelle questioni di competenza dell’Agenzia del farmaco della BiH e un ostacolo al normale funzionamento dell’Agenzia. L’ufficio dell’Alto rappresentante ha infine ricordato che le due entità che costituiscono la Bosnia Erzegovina sono tenute a rispettare la Costituzione della BiH e le decisioni delle istituzioni centrali.

L’acuirsi della crisi istituzionale

Nel luglio di quest’anno, pochi giorni prima della scadenza del suo mandato durato dodici anni, l’ormai ex Alto rappresentante per la Bosnia Erzegovina Valentin Inzko ha deciso di utilizzare le sue prerogative per introdurre emendamenti legislativi che vietano la negazione dei crimini di guerra e l’esaltazione dei criminali di guerra condannati. La reazione della leadership della Republika Srpska non si è fatta attendere.

Gli esponenti dell’SNSD, guidati da Dodik, hanno intrapreso una serie di azioni, dal boicottaggio dei lavori delle istituzioni centrali alla promozione di varie iniziative legislative, allo scopo di far fronte a quello che hanno definito un attacco alle istituzioni della Republika Srpska.

I tentativi di rispolverare certe vecchie questioni irrisolte e di esacerbare le tensioni politiche servono a distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dall’aggravarsi della situazione economica nel paese – situazione che spinge molti cittadini bosniaco-erzegovesi a emigrare verso l’Europa occidentale, ma anche in altre parti del mondo, in cerca di lavoro – e dagli scandali di corruzione come quello riguardante la somministrazione dell’ossigeno di dubbia qualità, permettendo alla leadership politica di evitare di assumersi la propria responsabilità del malgoverno che soffoca la Bosnia Erzegovina.

Nelle ultime settimane sui mezzi di informazione bosniaco-erzegovesi e sui social media si è tornati a parlare con insistenza della possibilità che nel paese scoppi una nuova guerra. Anche i media di altri paesi della regione parlano della Bosnia Erzegovina come di un paese “sull’orlo di un conflitto” e le affermazioni drammatiche e minacciose pronunciate da alcuni politici bosniaco-erzegovesi non fanno altro che contribuire al diffondersi di un clima di paura e di panico tra i cittadini.

In Bosnia Erzegovina si vota praticamente ogni due anni, considerando che le elezioni amministrative non si svolgono contemporaneamente a quelle politiche né a quelle presidenziali, e ogni tornata elettorale è caratterizzata dall’acuirsi di una retorica imperniata su divisioni etniche che contribuisce all’aumento delle tensioni, permettendo ai partiti che si presentano come promotori degli interessi dei principali gruppi etno-nazionali in Bosnia Erzegovina di conquistare facili punti politici.

Benché possa sembrare che la Bosnia Erzegovina sia ormai intrappolata in una condizione di perenne crisi, l’attuale impasse si distingue dalle precedenti perché è caratterizzata dai tentativi di minare le stesse fondamenta dell’accordo che pose fine alla guerra in Bosnia Erzegovina. È chiaro che lo scopo di tali tentativi non è solo quello di distogliere l’attenzione da alcuni scandali di corruzione. Di fronte a questa situazione è lecito chiedersi come sia possibile arginare un discorso che pone l’enfasi sulla possibilità di nuovi conflitti e se l’attuale crisi possa costituire il prologo alla secessione della Republika Srpska che viene annunciata ormai da anni.

Il coinvolgimento di alcuni attori internazionali nel dibattito sulle questioni di cui sopra e l’impegno degli Stati Uniti e dell’Europa occidentale per evitare lo scoppio di una nuova guerra non bastano per trasformare l’attuale crisi in Bosnia Erzegovina in una questione urgente e in una priorità per la comunità internazionale che non sembra preoccupata nemmeno dal crescente sostegno da parte di alcuni paesi, come Serbia, Russia e Cina, alle aspirazioni secessioniste di Dodik. Ciò che manca per arginare l’ennesima recrudescenza della retorica guerrafondaia a cui assistiamo sono misure audaci in grado di impedire il verificarsi di uno scenario imperniato sullo scontro e sulla paura.

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