Sembra che in Bosnia sia tutto in transizione, le aziende, le banche, il turismo, lo Stato, il paese intero. Il vecchio sistema del periodo comunista non esiste più ed in questi anni di dopoguerra il paese sta cercando la strada per trovare una soluzione stabile a tanti problemi e così divenire un paese stabile. La Bosnia d’oggi è attraversata da diversi tipi di turisti, tra i quali anche coloro, forse con un misto di sadismo e di gusto dell’orrido, che oggi vengono in Bosnia Erzegovina per cibarsi con avidità dei segni lasciati dalla guerra. E come scritto dal quotidiano Slobodna Bosna il 2 agosto scorso, c’è qualcuno che pare essersi già preparato a soddisfare tale domanda, proponendo la visita ai simboli di guerra di Sarajevo e Pale. Un operatore turistico indipendente che opera nella capitale, organizza per gli stranieri la visita alla casa del latitante Karadzic – ricercato dal Tribunale Internazionale de L’Aja – alla "modica" cifra di 500 marchi tedeschi, un giro di visita al "Tunnel" sotto la pista dell’aeroporto di Sarajevo – che ricordiamo essere stato in guerra unica via di fuga dalla città – e la visita alle fosse comuni di Srebrenica.
Gli "internazionali"
Se vogliamo parlare della presenza di stranieri in Bosnia Erzegovina, si deve sottolineare che sono tantissimi, tra americani, francesi, italiani e tanti altri. Tutti loro appartengono alla stessa categoria, e denominati "internazionali" dalla popolazione locale. Tra questi troviamo gli appartenenti allo SFOR – la Forza Internazionale di Stabilizzazione, ma anche coloro che operano sotto l’egida dell’OHR (Ufficio dell’Alto Rappresentante), delll’UNHCR (Alto Commissariato per Rifugiati delle Nazioni Unite), della CRI (Croce Rossa Internazionale), delle varie ONG e delle ambasciate. Ma li si può inscrivere nella categoria dei turisti? Se consideriamo che tutti loro sono stranieri, vivono temporaneamente in Bosnia e spendono – parecchia – valuta, forse possiamo azzardarci a farlo. In fin dei conti pagano l’affitto di casa – a prezzi salati, comprano nei negozi – soprattutto in quelli che offrono prodotti d’importazione, mangiano nei ristoranti – di qualità e anche molto cari. Sarajevo oggi è una città vivace e grazie a loro possiede uno standard di vita superiore alla media bosniaca. E la stessa cosa avviene, anche se in scala minore, in città come Mostar e Banja Luka. Ma cosa accadrebbe a queste città, se tutti questi stranieri dovessero andare via?
I "turisti per caso"
Se non fosse per la presenza degli "internazionali" d’inverno le città sarebbero ancora più vuote e desolanti di quanto non siano già. D’estate invece avviene come nei paesi di mare, le città si riempiono di gente: profughi scappati all’estero ai tempi della guerra, che ora tornano a trovare i parenti. Se nei primi anni del dopoguerra le loro visite avvenivano quasi in incognito, di cui si aveva notizia solo nell’ambito ristretto del proprio nucleo familiare rimasto a vivere in Bosnia, ora essi vengono considerati dai residenti dei veri turisti. Ormai fuori dal luogo di origine da molti anni, mostrano su di sé i classici segni dell’ "integrazione": vestiti come un qualsiasi svedese, tedesco, italiano, girano per le città con cinepresa o macchina fotografica appesa al collo, e portafoglio alla mano per comprare souvenir. Ma alla fine di quello che doveva essere un "ritorno a casa", partono alla volta dei paesi che li hanno accolti con la sensazione di aver fatto la parte dei "turisti per caso".
Il turismo "religioso"
Unico luogo bosniaco dove i "turisti" ci sono sempre stati – anche negli anni del conflitto – è Medjugorje, anche se molti di coloro che frequentano questo luogo Santo pensano di essere in Croazia. Medjugorje, situata in Erzegovina a circa 40 km a sud di Mostar, non tanto tempo fa era solo un paese, ma l’arrivo massiccio e costante di migliaia di pellegrini in visita ai luoghi dove si dice appaia la Madonna, l’ha trasformata in una città. E se i mesi di maggior afflusso sono quelli estivi, i "turisti" di Medjugorje non si arrestano di fronte all’inverno così come non si sono fatti fermare in passato dalla guerra in corso.
Gli introiti derivanti dal passaggio di tantissimi americani, irlandesi, tedeschi, francesi e italiani, ma ultimamente anche di cechi, slovacchi e polacchi, entrano maggiormente nelle tasche di aziende private, anche se numerosi viaggi di pellegrinaggio vengono organizzati direttamente dalla Chiesa Cattolica bosniaca, in diretto contatto con le "consorelle" straniere, soprattutto quella italiana.
Mare e montagna per i più ricchi
La Bosnia Erzegovina presenta, all’interno dei suoi confini internazionalmente riconosciuti, 24 km di costa adriatica che interrompono – sulla carta – il tratto meridionale della costa Croata, isolando Dubrovnik dal resto della Dalmazia. Nei fatti le cose sono invece un po’ differenti. Infatti Neum, unico grande centro abitato della costa bosniaca, è in realtà considerata croata, come se esistesse ancora l’autoproclamata Repubblica di Herceg-Bosna (link al libretto ICS dove si parla del 1993) Le istituzioni federali e statali della Bosnia Erzegovina non hanno ancora ripreso il controllo su questa cittadina, che continua ad essere "sorvegliata" dall’Autonomia croata. Gli alberghi costruiti prima della guerra da ditte bosniache di Tuzla, Zenica e Sarajevo per essere utilizzate come luoghi di villeggiatura per i propri operai, durante la guerra sono stati "confiscati" da imprenditori croati grazie al forte sostegno della lobby politica di Tudjman.
Ma anche quest’estate, la maggior parte dei bosniaci si è dovuta accontentare di fare brevi visite ai laghi antistanti alle città di residenza, perché la villeggiatura al mare – anche sulle coste montenegrine dove i prezzi sono decisamente più bassi che in Croazia – per il loro standard di vita rappresenta ancora un miraggio. I laghi più famosi, meta dei brevi viaggi di piacere che i locali si concedono, sono il Boracko Jezero nei pressi di Mostar, e il lago di Modrac frequentato soprattutto dai cittadini di Tuzla. Ma secondo i dati resi ufficiali dalla Televisone TPK di Tuzla, quest’anno la presenza negli alberghi antistanti al lago di Modrac è diminuita di molto a causa dell’inquinamento dell’acqua.
Mostar e Sarajevo vengono considerati luoghi turistici "mordi e fuggi". La gente che viene da fuori si ferma per due o tre giorni e poi continua il proprio viaggio. Le zone montagnose che circondano Sarajevo si riempiono di cittadini sarajevesi per la classica gita domenicale con pic-nic a base di "cevapcici", mentre i turisti stranieri – anche se ancora molto pochi – vi fanno visita d’inverno. Essi vengono più che altro per vedere i luoghi e le piste dove si tennero le Olimpiadi invernali del 1984, e la bassa affluenza è in parte dovuto alla scarsità di strutture alberghiere – di cui molte ancora rase al suolo e non ricostruite – ma anche a causa di un certo tipo di messaggio propagandistico che all’estero fa pensare alla Bosnia come ad un paese dove la guerra non è ancora finita.
L’Ente del Turismo è inesistente
Nessuno è in grado di dire quanti turisti visitino la Bosnia Erzegovina nell’arco di un anno. Innanzitutto perché è difficile capire chi è il "vero" turista, e in secondo luogo perché non esiste un ente turistico che funzioni in maniera coordinata su tutto il territorio nazionale. Ecco che la situazione di transizione si nota anche ambito turistico. Alcune realtà locali si sono auto organizzate, come quella di Banja Luka che ha realizzato una guida turistica dei luoghi da visitare in città e dintorni, ma per la quale ci sono voluti due anni di lavoro. Tra le questioni poco chiare e che sfuggono al controllo, sono le modalità di finanziamento di queste programmi cosiddetti turistici e le proprietà delle strutture d’accoglienza turistica. Infatti ono poche le "organizzazioni" del turismo in regola con il fisco, mentre non si comprende chi sia il proprietario della maggior parte degli alberghi della Bosnia Erzegovina. Una parte di essi è statale, altri sono già privatizzati, alcuni vengono affittati a stranieri per essere usati come sedi di ambasciate. In uno Stato in transizione forse non può che essere così.
E come realtà in transizione non esiste lo Stato, un’istituzione che organizzi un programma unitario. Anzi, qui sono fin troppe: una locale, una federale, una della Repubblica Srpska, una Federale, etc. In Bosnia Erzegovina si combatte da anni anche solo per definire quale sia il souvenir tipico. Mentre a Mostar si continua a vendere l’immagine dello "Stari Most" – Ponte Vecchio – distrutto quasi otto anni fa, Sarajevo offre oggetti tipici del periodo turco come kilim e oggetti in rame battuto. Qualcuno ha anche provato a lanciare sul mercato lo "stecak" – stelle sepolcrali dei Bogumili – come souvenir nazionale, ma è stato un tentativo che non ha attecchito.
La comunità internazionale, presa da priorità ben più urgenti, non si è chiaramente occupata di questo settore. Solo quando si supererà questo periodo di transizione, potremo dimenticare il turismo di transito.