Bosnia Erzegovina, sospesi nel limbo politico e giudiziario

Negli ultimi mesi, la crisi che da tempo ormai investe la Bosnia Erzegovina si è ulteriormente acuita, assumendo dimensioni mai così preoccupanti dalla firma degli Accordi di pace di Dayton. Anche gli ottimisti più incalliti non vedono alcun cambiamento né la possibilità che la situazione si stabilizzi prima delle elezioni del 2026

13/05/2025, Darko Kurić - Sarajevo

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Sede del parlamento, Sarajevo, Bosnia Erzegovina  © frantic00/Shutterstock

L’attuale crisi in Bosnia Erzegovina può essere osservata da una duplice prospettiva.

Da un lato, assistiamo ad una crisi costituzionale e giuridica, che si ripercuote anche sul versante della sicurezza e si riflette nella totale inefficienza delle istituzioni statali nell’attuazione delle leggi, nel caso della leadership della Republika Srpska (RS) guidata da Milorad Dodik. I leader politici della RS sono accusati di attentato all’ordine costituzionale e giuridico della Bosnia Erzegovina.

Dall’altro lato, da mesi ormai si susseguono gli annunci – e i tentativi falliti – di un rimpasto di governo a livello statale, di destituzione degli esponenti dell’Unione dei socialdemocratici indipendenti (SNSD) e di nomina di nuovi dirigenti degli organismi di sicurezza statale. Questi organismi sono di fondamentale importanza per trovare una via d’uscita dall’attuale situazione di incertezza politica e costituzionale.

Dodik non è ancora stato arrestato, nonostante il mandato di cattura emesso dal Tribunale della BiH più di un mese fa, a seguito dell’ordine di custodia cautelare disposto nei confronti del presidente della Srpska per non essersi presentato all’Ufficio del pubblico ministero della BiH per un interrogatorio.

Dodik è sospettato di sovversione dell’ordinamento costituzionale della Bosnia Erzegovina, insieme a Radovan Višković, primo ministro della Republika Srpska, e Nenad Stevandić, presidente dell’Assemblea popolare della RS.

Sfuggire alla giustizia

Il tentativo degli ispettori dell’Agenzia per le sicurezza nazionale (SIPA) di arrestare Dodik lo scorso 23 aprile, come atteso, è andato a vuoto. Gli ispettori, disarmati e con alcune cartelle in mano, hanno cercato di entrare nella sede del governo della Republika Srpska a Istočno Sarajevo con l’intenzione di consegnare a Dodik l’ordine di arresto. Sono però stati fermati dagli agenti di polizia RS armati di fucili. Secondo quanto riferito, gli ispettori della SIPA si sono ritirati per evitare potenziali situazioni pericolose.

Sulla scia di quanto accaduto a Istočno Sarajevo, la SIPA lo scorso 6 maggio ha confermato di aver sporto denuncia alla procura della BiH contro il ministero dell’Interno della RS per aver impedito l’arresto di Dodik.

La SIPA ha anche presentato un rapporto sottolineando l’esistenza del ragionevole sospetto che siano stati commessi due nuovi reati penali, previsti dal Codice penale della BiH: “Resistenza ad un pubblico ufficiale nell’esecuzione di un atto d’ufficio” e “assistenza all’autore del reato dopo il compimento dell’azione”.

Secondo informazioni non ufficiali, pubblicate da alcuni media locali, durante la sua visita a Istočno Sarajevo, il presidente della Republika Srpska è stato scortato da centinaia di membri di diverse unità di polizia della RS, giunti per l’occasione anche da altre parti dell’entità serba.

In quel momento drammatico a Istočno Sarajevo, così come nelle ore e nei giorni successivi, l’opinione pubblica ha potuto seguire quanto stava accadendo solo grazie ai resoconti dei media presenti sul posto. Le istituzioni competenti, da cui i cittadini si aspettano di più in situazioni analoghe, si rivolgono all’opinione pubblica raramente e con poche informazioni, contribuendo così alla sfiducia nei confronti delle istituzioni statali e delle loro capacità.

L’Interpol ha rifiutato per ben due volte di spiccare un mandato di cattura internazionale contro Dodik e Stevandić, respingendo la prima richiesta avanzata dal Tribunale della BiH all’inizio di aprile, e poi anche la richiesta di un riesame di metà aprile.

Intanto, Dodik continua ad accusare gli esponenti dell’opposizione della RS di essere traditori, rivolgendo la stessa accusa a tutti i serbi che sono rimasti a lavorare nelle istituzioni statali, nonostante il suo invito ad abbandonarle.

Il presidente della Srpska rivolge parole pesanti anche ai paesi e ai leader che hanno condannato le intenzioni e le aspirazioni secessioniste e si sono schierati dalla parte dello stato di diritto, della sovranità e dell’integrità territoriale della Bosnia Erzegovina.

Il leader dell’SNSD approfitta della complessità e della fragilità delle istituzioni statali – dimostratesi incapaci di sottoporlo ad un interrogatorio per sospetto attentato all’ordine costituzionale – sfruttandole per la propria promozione personale. Dodik si presenta come un leader politico intoccabile tra i serbi.

Dodik e i suoi sostenitori cercano di spostare qualsiasi vicenda su un piano politico. Tuttavia, la situazione in BiH è ormai andata oltre un ambito prettamente politico. Ora si tratta di una questione giuridica e della capacità delle istituzioni statali di attuare le leggi.

Fino a quando i cittadini della BiH dovranno ancora aspettare una soluzione a questa complessa situazione, dipenderà in gran parte dalla forza e dalla determinazione delle istituzioni statali preposte all’applicazione della legge, ma anche dai giochi politici. Nell’attuale crisi, la più grave del periodo post-Dayton, sembra che a livello statale non funzioni nulla.

Lo stallo politico

Alcune delle principali agenzie di sicurezza sono ancora guidate dagli attori secessionisti, altre non hanno nemmeno un capo. Dal punto di vista politico, la SIPA e lo status di questa agenzia di polizia statale, da mesi ormai in attesa della nomina di un nuovo capo, sono cruciali per i tentativi di Dodik e per i suoi uomini di evitare l’arresto.

Nei giorni scorsi, alcuni esperti hanno spiegato che, proprio a causa dell’attuale situazione in cui la SIPA non ha una dirigenza che possa gestire le operazioni, non c’è alcuna possibilità legale di emettere un ordine per l’impiego delle unità speciali di questa agenzia.

Darko Ćulum, direttore della SIPA nominato dall’SNSD di Dodik, si è dimesso a marzo, però non è stato ancora rimosso dall’incarico perché le sue dimissioni non sono state accettate dal Consiglio dei ministri della BiH.

Ad ostacolare la nomina di un nuovo direttore e vicedirettore della SIPA sono le polemiche all’interno della coalizione di governo a livello statale (composta dalla cosiddetta “Trojka”, dall’HDZ e dall’SNSD). Una coalizione che sopravvive formalmente, anche se i partiti della Trojka (SDP, NiP e NS) da mesi annunciano di voler formare una nuova maggioranza e avviare un rimpasto di governo, rifiutando categoricamente i colloqui e qualsiasi collaborazione con l’SNSD a causa dell’attuale situazione.

Senza il sostegno dei rappresentanti dell’SNSD nel Consiglio dei ministri, le dimissioni del direttore della SIPA non possono essere messe all’ordine del giorno, né tanto meno si può discutere la nomina di nuovi dirigenti, compreso un nuovo vicedirettore per sostituire un altro latitante, Zoran Galić, esponente dell’HDZ BiH.

Lo scorso 15 aprile un esponente dell’SNSD ha disertato anche la seduta di una commissione indipendente del Parlamento della BiH, convocata per stilare la lista dei candidati per l’incarico di vicedirettore della SIPA. La lista non è stata adottata per mancanza del quorum.

Il ministero della Sicurezza della BiH è un’altra istituzione chiave da mesi ormai in attesa di una nuova dirigenza La nomina di un nuovo ministro al posto di Nenad Nešić, attualmente in custodia cautelare e sotto inchiesta, spianerebbe la strada anche all’elezione dei nuovi vertici della SIPA.

Sono trascorsi tre mesi dall’annuncio della Trojka di voler escludere gli esponenti dell’SNSD dal governo statale e introdurre nuovi attori provenienti dai partiti di opposizione della RS, partiti che i media locali hanno già definito “la trojka della RS" (SDS, PDP e Lista per la giustizia e l’ordine). Una questione che dipende in gran parte dalla volontà di Dragan Čović (HDZ BiH), ma anche dai calcoli nelle due camere del parlamento della BiH, in particolare nella Camera dei popoli della BiH (la camera alta del parlamento statale).

Quando sembrava ormai che l’opposizione della RS avesse perso la pazienza aspettando di entrare a far parte del governo statale, lo scorso 9 maggio è stato siglato un accordo con alcune forze politiche della Federazione BiH, compresi i partiti della “trojka”. Gli analisti hanno definito l’accordo – focalizzato sull’integrazione europea della BiH e sul rimpasto di governo – come positivo, ma privo di qualsiasi fondamento nella realtà.

Čović ha vincolato le trattative con l’opposizione della RS all’adozione di una controversa legge elettorale, su cui il leader dell’HDZ BiH insiste da anni. Čović con ogni probabilità cerca di prolungare l’attuale crisi e mantenere lo status quo, anche per evitare che l’SNSD venga estromesso dal potere.

Sta di fatto però che gli attuali equilibri di potere alla Camera dei popoli della BiH, che si ripercuotono anche sul potere legislativo, ostacolano un eventuale rimpasto di governo a livello statale.

L’alleanza politica tra SNSD e HDZ è talmente forte che non è possibile sostituire il delegato dell’SNSD alla Camera dei popoli, proprio grazie alle manovre politiche di entrambi i partiti, di cui ciascuno ha il potere di abbattere il quorum. Il governo è capace soltanto di approvare le decisioni semplici e non controverse dal punto di vista politico, per le quali è garantito il quorum e l’alzata di mano.

L’Alto Rappresentante torna in gioco

Lo scorso 24 aprile, l’Alto rappresentante in BiH Christian Schmidt ha annunciato la decisione di sospendere tutti i finanziamenti al partito di Dodik e Višković (SNSD) e a quello di Stevandić (US).

Non c’è da aspettarsi che questa mossa danneggi più di tanto l’SNSD e Dodik, considerate le loro diversificate fonti di finanziamento. Tuttavia, la decisione di Schmidt è importante per un altro motivo: il ritorno ai cosiddetti “poteri di Bonn” che implica il sostegno degli attori più importanti della comunità internazionale, come l’UE e gli USA.

Martedì 6 maggio Schmidt ha presentato un rapporto al Consiglio di sicurezza dell’ONU, definendo quanto sta accadendo in BiH come “una crisi politica”. Nonostante la forte contrarietà dell’ambasciatore russo, la maggior parte dei membri del Consiglio di sicurezza ha condannato le azioni della leadership della Republika Srpska, sostenendo pienamente la sovranità e l’integrità territoriale della Bosnia Erzegovina.

Gli Stati Uniti e la Gran Bretagna sostengono fortemente il mandato dell’Alto rappresentante. All’inizio di aprile, la Germania e l’Austria hanno avviato la procedura per vietare l’ingresso nei due paesi ai tre leader della RS ricercati dal tribunale.

La leadership della RS ha reagito alle decisioni di Schmidt annunciando che il parlamento dell’entità serba a breve adotterà una legge sul divieto di finanziamento dei partiti nella RS. Se dovesse essere approvata, questa legge avrebbe gravi ripercussioni non solo sull’opposizione, ma anche su alcuni partiti della coalizione di governo, in particolare sui partiti satellite dell’SNSD.

Secondo gli analisti, la crisi che sta scuotendo la Bosnia Erzegovina è destinata a perdurare, come conseguenza della mancanza di qualsiasi strategia capace di fornire una risposta istituzionale ai progetti secessionisti di lunga data, complice anche la totale politicizzazione del settore della sicurezza, che ha causato danni incommensurabili.

Alle prese con l’attuale crisi, la Bosnia Erzegovina attende la prossima riunione del Consiglio europeo, che a giugno dovrebbe decidere la data dell’avvio dei negoziati con la BiH. Considerando la crisi in corso e la mancata adozione di importanti leggi di riforma, è poco probabile che il paese ottenga il via libera. Una delle condizioni poste da Bruxelles riguarda la nomina di capo negoziatore con l’UE, compito che spetta al governo a livello statale.

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