Bosnia Erzegovina: scuole nostre, scuole vostre
Un’appassionata analisi delle proteste che vedono da qualche anno coinvolti gli studenti di Jajce, Bosnia centrale, a favore di una scuola inclusiva. Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Il sistema scolastico post-Dayton in Bosnia Erzegovina prevede nelle scuole di tutti i livelli diversi programmi di insegnamento. In sostanza sono tre: quello utilizzato nelle aree della maggioranza serbo-bosniaca, quello della maggioranza croato-bosniaca e quello della maggioranza bosniaco-musulmana, ovvero bosgnacca.
Nella parte della Bosnia Erzegovina governata dai serbo-bosniaci, attuale RS, i problemi sono minori in quanto il territorio dopo la guerra è purtroppo molto omogeneo – per dirla con altre parole etnicamente ripulito – e qualche contestazione arriva all’attenzione dell’opinione pubblica solo se sollevata dai pochi gruppi di minoranza in alcune zone dell’Entità dove il rientro dei profughi è stato superiore alla media statale.
I problemi sono invece maggiori nelle città della Federazione della Bosnia Erzegovina dove la popolazione è ancora mista, nelle città dove vivono o convivono croati e bosgnacchi.
Gli studenti di Jajce
Sono trascorsi ormai quasi 2 anni da quando un gruppo degli studenti delle scuole superiori di Jajce – Bosnia centrale – ha cominciato a combattere una propria battaglia civica contro la segregazione negli istituti scolastici.
Sembra assurdo vero? Dovrebbero essere le istituzioni, le scuole in primis, a sconfiggere qualsiasi politica del cosiddetto “apartheid scolastico”. Ma non è così in Bosnia Erzegovina dove la scuola, come molte altre cose, funziona seguendo i criteri imposti dai partiti nazionalisti di maggioranza.
Le proteste di Jajce si sono sviluppate contro l’apertura di un nuovo istituto superiore pensato come struttura per studenti bosgnacchi, iniziativa sostenuta dai due partiti locali di maggioranza, l’Unione democratica croata (HDZ) e il Partito dell’azione democratica (SDA).
In città sono esistenti già due scuole superiori, il Liceo classico “Nikola Sop” e la Scuola superiore tecnica. Per il momento eseguono lezioni seguendo il programma di istruzione importato dalla Croazia con alcune modifiche. Un programma che nella logica attuale bosniaca sarebbe pensato solo per i croato-bosniaci ma l’insegnamento di alcune materie specifiche, come la madre lingua, la storia ecc. per chi non appartiene alla comunità per la quale il programma è stato pensato, viene effettuato da professori “ospiti”.
Le proteste sono partite da un piccolo gruppo della Scuola superiore tecnica di Jajce alla fine del 2015, dopo che le prime informazioni ancora non ufficiali sulla nuova scuola si erano diffuse in città: la notizia è stata percepita come l’annuncio di un’altra divisione non voluta dai cittadini. Gli studenti hanno allora deciso di scendere in piazza.
Da un corteo all’Osce
Questo gruppo con il passare del tempo ha raccolto sempre più adesioni, a prescindere dall’appartenenza etnica. E’ stato organizzato un corteo, poi un altro, poi è stato addirittura il direttore dell’Osce in Bosnia Erzegovina, Jonathan Moore, a recarsi personalmente a Jajce per parlare con i ragazzi, per dare loro il sostegno dell’Osce e per invitare pubblicamente le autorità locali e statali a trovare un’altra soluzione per conciliare i due programmi scolastici tenendo conto anche della presenza della terza componente costitutiva, quella serbo-bosniaca.
Si è inoltre costituito un Consiglio studentesco a rappresentanza degli studenti della città, che ha chiesto pubblicamente e ufficialmente alla ministra all’Istruzione scolastica del cantone della Bosnia Centrale, Katica Cerkez, di attivarsi per trovare urgentemente una soluzione che tenesse conto delle loro richieste.
Gli studenti delle scuole superiori non vogliono che lo “status quo” rimanga ancora a lungo. Non ritengono infatti che un programma scolastico introdotto subito dopo la guerra quando i cittadini croato-bosniaci erano la maggioranza assoluta rispetto agli altri debba rimanere intoccato e che a chi non lo vuole seguire debba essere imposto di farlo.
Allo stesso tempo non ritengono che la risposta debba essere la segregazione. Non vogliono infatti le cosiddette due scuole sotto lo stesso tetto: scuole dove solitamente vi sono anche muri che dividono gli ingressi in modo da impedire ai giovani di stare insieme anche nel cortile scolastico. Frequentare una scuola su misura di tutti con il rispetto per le diversità e senza offendere i sentimenti religiosi o di appartenenza etnica è davvero impossibile?
La voce degli studenti
Ecco come i ragazzi spiegano il tutto in un intervento durante uno degli incontri tra il Consiglio studentesco e le autorità straniere e quelle locali: “Noi studenti delle scuole superiori di Jajce non capiamo questo concetto, l’insistere sulle divisioni di chi non le vuole. Oggi tramite internet ci mettiamo in contatto con qualsiasi persona del mondo, parliamo anche le lingue che non ci insegnano a scuola, pensano veramente che riusciranno a tenerci lontani dai nostri concittadini? Noi siamo nati dopo la vostra guerra. Ci innamoreremo gli uni con gli altri e questa città sicuramente vedrà matrimoni misti proprio come si vedevano prima di noi”.
Questi ragazzi vogliono vivere senza muri tra loro. Quest’estate ho avuto occasione di incontrare uno di questi ragazzi, uno degli organizzatori delle proteste. “Mi raccontano – mi ha detto – ancora le loro storie. Una funzionaria di alto livello ha affermato in televisione che le mele e le pere non si possono mischiare. Pensa che pazzia, la signora non si rende conto che questa bellissima città si sta svuotando e che fra qualche anno non ci saranno né le sue mele né le sue pere, sopravvivrà soltanto chi è ignorante assoluto. C’è chi dice che esiste una petizione con circa 500 genitori-firmatari in cui si chiede l’apertura della scuola per i loro figli. Nessuno l’ha mai vista e non si conosce nemmeno un nome di questi firmatari. Mi hanno deluso anche adulti molto vicini a me. Tanti di loro lavorano nella pubblica amministrazione locale e a loro questo ordine di cose va benissimo. Mi dicono che se vinciamo noi studenti il sistema di spartizione del potere potrebbe cadere e loro potrebbero facilmente perdere il posto di lavoro. Che futuro ci promettono?”.
“Per quest’anno forse abbiamo vinto noi – ricordava questo giovane in estate – nessuno vuole fare troppe “onde” in periodo di elezioni, poi mancano anche i soldi ma non credo che questi approfittatori di guerra si fermeranno”.
Aveva ragione questo ragazzo. All’inizio di quest’anno le forze antiprogressiste si sono risvegliate. Vogliono ad ogni costo dividere la gioventù. Per poterla indottrinare e controllare.