Bosnia Erzegovina: ritorno alla Biennale
Dopo quattro anni di assenza la Bosnia Erzegovina torna alla Biennale di Venezia, il 12 maggio verrà inaugurata la mostra del giovane artista Radenko Milak
La Bosnia Erzegovina torna alla Biennale di Venezia dopo quattro anni di assenza con un progetto internazionale dal titolo Università del Disastro capitanato dall’artista Radenko Milak e affiancato da un team internazionale di curatori composto da Fredrik Svensk, Sinziana Ravini, Anna van der Vliet e Christopher Yggdre. La mostra, che sarà inaugurata a Venezia il 12 maggio 2017, sarà anche il punto di partenza di uno spazio creativo, un work in progress che culminerà con una conferenza che si terrà a Venezia, nel corso dell’ultima settimana della Biennale a novembre, a cui parteciperanno scrittori, ricercatori, teorici ed artisti. Abbiamo incontrato la commissaria del padiglione Sarita Vujković, direttrice del Museo d’Arte Contemporanea della Republika Srpska a Banja Luka, promotore del progetto, l’artista Radenko Milak, e Christopher Yggdre, uno dei membri del team curatoriale. Ecco cosa ci hanno raccontato.
Sarita Vujković, la Bosnia Erzegovina torna quest’anno alla Biennale di Venezia dopo quattro anni di assenza. Anche questa volta è il Museo di Arte Contemporanea di Banja Luka a promuovere la partecipazione bosniaca, come era già successo nel 2013 con l’artista Mladen Miljanović. È soddisfatta del traguardo raggiunto?
Siamo molto orgogliosi del fatto che, dopo diversi mesi trattative con il ministero degli Affari Civili della Bosnia Erzegovina, con il ministero dell’Istruzione e della Cultura della Republika Srpska e con il ministero della Cultura e dello Sport della Federazione di Bosnia Erzegovina abbiamo finalmente ricevuto la conferma ufficiale della partecipazione bosniaca alla 57. edizione della Biennale di Venezia. L’organizzatore è ancora una volta il Museo d’Arte Contemporanea della Republika Srpska i cui sforzi sono nuovamente tesi a trovare un modo affinché il nostro paese possa essere presente a Venezia in modo permanente, non solo per la biennale d’arte ma, speriamo, anche per quella di architettura.
Quali sono le sue aspettative?
Fin dalla partecipazione bosniaca all’edizione 2013, l’obiettivo a lungo termine del Museo è stato quello di fissare nuovi parametri per quanto riguarda l’organizzazione del padiglione a Venezia. Grazie al progetto di quest’anno, che vede partecipi il nostro artista Radenko Milak e altri ospiti internazionali, vogliamo stabilire delle collaborazioni con altre istituzioni e artisti al fine di migliorare lo sviluppo del panorama artistico contemporaneo in Bosnia Erzegovina.
Perché pensa che Radenko Milak sia il candidato migliore per rappresentare la Bosnia Erzegovina a Venezia?
Come Mladen Miljanović, l’artista che ha rappresentato la Bosnia Erzegovina nel 2013, anche Radenko Milak appartiene alla generazione più giovane dei nostri artisti che negli ultimi dieci anni ha fatto molto parlare di sé. Dopo essersi laureato presso l’Accademia di Belle Arti di Banja Luka, ha sviluppato la sua carriera ottenendo molti riconoscimenti internazionali e questo ha influito sulla scelta di assegnare a Radenko il compito di rappresentare il nostro paese. Il suo progetto Università del Disastro si inserisce all’interno di una piattaforma che vogliamo si sviluppi anche dopo Venezia. Il nostro obiettivo è quello di stabilire una collaborazione con un team curatoriale internazionale e di sviluppare una rete di artisti che condividano la stessa idea artistica all’interno di questa piattaforma. Questo sarà probabilmente una delle novità fondamentali riguardanti la nostra presentazione e posso dire con certezza che si tratta di un progetto innovativo, non solo per la nostra regione.
Radenko Milak, questa è la sua prima volta alla Biennale di Venezia. Cosa vuol dire per lei ‘rappresentare’ il suo paese?
Sono stato invitato a rappresentare la Bosnia Erzegovina dal Museo d’Arte Contemporanea della Republika Srpska e dal commissario Sarita Vujković. Non ho davvero pensato in termini di ‘rappresentazione’, quanto piuttosto in termini di un’opportunità per realizzare il progetto site-specific Università del Disastro associato al nome del mio paese, la Bosnia Erzegovina.
La partecipazione alla Biennale di Venezia è un onore o è problematica?
Dal momento che la Bosnia Erzegovina non ha un suo padiglione permanente, il che implica una discontinuità di partecipazione, la stessa decisione di avere un padiglione a Venezia è stata molto impegnativa da prendere e ha richiesto molto coraggio, da parte del Museo in primis, ma anche da parte mia, come artista.
Come si sente a riguardo?
La vita ha dinamiche molto interessanti. Con questo progetto sono già stato invitato a partecipare ad altre mostre e progetti che si svilupperanno dopo Venezia. Sono molto soddisfatto e felice del fatto che l’Università del Disastro farà il suo debutto alla Biennale.
Il modo in cui approccia la mostra di Venezia è diverso da quello che avrebbe con una mostra ‘normale’?
L’Università del Disastro più che una vera mostra è una piattaforma in cui si riuniscono teorici dell’arte, curatori e artisti. La nostra idea è quella di presentare un progetto con un forte potenziale di crescita che ponga le basi per un futuro di continuità. L’attenzione sarà focalizzata su varie attività; parallelamente alla mia mostra, infatti, presenteremo altri artisti internazionali che lavorano con diversi media.
Di cosa tratta l’Università del Disastro?
L’idea alla base è nata nel 2014, quando ho esposto alla Kunsthalle di Darmstadt in Germania con una mostra personale dal titolo 365, in collaborazione con León Krempel. Parlando con Christopher Yggdre, uno dei curatori del padiglione bosniaco, ho capito che la maggior parte dei temi presenti nel mio progetto per la Biennale vengono da prospettive storiche legate al disastro. Questo è stato il punto di partenza. Più tardi, mi sono confrontato con il team curatoriale del padiglione e insieme abbiamo elaborato l’idea per la mostra di Venezia. È importante sottolineare che si tratta di una mostra internazionale. Come accennavo prima, altri artisti mostreranno le loro opere nel padiglione. Al termine della Biennale a novembre, ci sarà una conferenza internazionale che si occuperà dello stesso oggetto della mostra, ovvero il disastro.
Le sue opere in mostra sono fatte appositamente per Venezia?
Sì, ho fatto una nuova produzione. La prima parte del lavoro sarà composta da acquarelli realizzati per la prima volta in grande formato. La seconda parte sarà un’animazione e l’ultima mostrerà opere realizzate in collaborazione con l’artista sloveno e membro della NSK (Neue Kunst Slowenische) Roman Uranjek con il progetto Dates.
Quali sono i suoi primi o migliori ricordi della Biennale?
La Biennale di Venezia del 1993, curata da Achille Bonito Oliva. Non ho avuto l’opportunità di essere lì, ma il catalogo è stato molto influente per me e il mio lavoro.
Christopher Yggdre, lei è uno dei curatori del padiglione bosniaco-erzegovese alla Biennale di Venezia. Quando ha incontrato Radenko Milak per la prima volta e qual è stato l’aspetto che più l’ha colpita della sua produzione artistica?
Sì, mi occupo della curatela del padiglione insieme a Sinziana Ravini, Fredrik Svensk e Anna van der Vliet. Ciascuno di noi contribuisce al progetto con la propria sensibilità. A dire la verità, dopo la mia prima discussione insieme a Radenko Milak attorno al concetto dell’Università del Disastro, mi è subito sembrato chiaro che un progetto del genere non potesse avere che uno sviluppo collettivo e condiviso.
Prima di incontrare Radenko, il mio primo incontro è stato con il suo lavoro, sei anni fa a Sarajevo presso la galleria Duplex100m2. In particolare mi hanno subito colpito un dipinto e un acquarello in bianco e nero, entrambi con immagini della guerra in Bosnia. Al di là del virtuosismo tecnico delle due opere, ricordo perfettamente di aver pensato dentro di me che l’artista aveva afferrato il significato nascosto di quelle immagini e aveva espresso, nei suoi lavori, la Storia. Attribuisco grande importanza alla fotografia contemporanea nel suo modo di contribuire alle storie del nostro tempo. Allo stesso tempo, conosco i suoi limiti e vincoli in un mondo ultra mediatico. Il lavoro di un artista come Radenko contribuisce ad enfatizzare le immagini di attualità che ci riempiono gli occhi ogni giorno. Non so dire esattamente quello che mi impressiona di più circa la pratica artistica di Radenko Milak. Indubbiamente mi piace. Non dissocio la sua personalità e il carattere della sua opera, che ha un potere e un respiro perfettamente bilanciati tra significato ed emozione che, nel nostro tempo, in cui i malintesi intellettuali circa l’arte e la sua definizione sembrano moltiplicarsi, mi pare essere un tratto essenziale.
Perché pensa che Radenko Milak sia il candidato migliore per rappresentare la Bosnia Erzegovina a Venezia?
Non credo che possiamo dire in alcun modo che un artista rappresenti un paese. Un artista rappresenta solo se stesso, la sua immaginazione singolare, la sua parola, la sua presenza e la sua interpretazione del mondo. La Biennale di Venezia è la più antica Biennale d’arte del mondo e continua ad essere divisa tra la mostra internazionale e le mostre dei Padiglioni Nazionali Internazionali; credo che a queste due dimensioni principali sia necessario aggiungere progetti indipendenti. Non ci dobbiamo aspettare che un padiglione nazionale sia il posto giusto per dare voce "ufficiale" all’artista che dovrebbe rappresentare il suo paese.
Il progetto avrà un carattere internazionale e coinvolgerà diversi artisti provenienti da tutto il mondo. Cosa può dire al riguardo?
Le questioni teoriche e politiche legate a l’Università del Disastro ci impongono di essere in completa apertura verso il mondo, così che non si poteva realizzare la mostra senza invitare altri artisti provenienti da altri paesi. Nessuno degli artisti inclusi appartiene ad una sola cultura, paese, o lingua. Ciascuno di noi nel mondo – nonostante la tendenza alla recessione a cui stiamo assistendo – è oggi in diversi luoghi contemporaneamente, non abbiamo un’identità unica, ma una relazione d’identità, così come aveva ben teorizzato lo scrittore e pensatore Edouard Glissant. Aveva inoltre dichiarato, agli albori del XXI secolo, che credeva nel futuro dei piccoli paesi. Tutto il merito va alla Bosnia Erzegovina per aver deciso di ospitare un progetto come l’Università del Disastro. La nostra speranza è che la mostra a Venezia sia un primo passo, che l’Università del Disastro si sviluppi in futuro attraverso mostre, convegni e pubblicazioni e che si possa quindi definire collettivamente il suo futuro. È incredibile per me vedere come i problemi sollevati dai primi testi del progetto incontrino una forte eco. Non c’è dubbio che abbiamo una maggiore sensibilità al disastro in virtù della nostra storia recente e delle minacce del presente. Abbiamo bisogno di tutta la nostra immaginazione per astrarci dal disastro globale.