Bosnia Erzegovina, primi risultati delle proteste

Dopo oltre venti giorni di manifestazioni diminuisce la partecipazione ai cortei, ma cresce l’importanza delle assemblee popolari, i Plenum, che ottengono i primi risultati. A Banja Luka i veterani si mobilitano contro il governo della Republika Srpska

28/02/2014, Andrea De Noni - Sarajevo

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Il Plenum di Tuzla (foto TIP

Non demordono i bosniaci, dopo più di venti giorni dall’inizio della maggiore ondata di proteste nella storia del paese. Continuano a scendere in piazza, soprattutto a Tuzla, a Mostar e a Sarajevo. Nella capitale, non passa giorno senza che una piccola folla (martedì erano circa cinquanta persone, secondo i giornali locali) si riunisca a mezzogiorno per presidiare pacificamente l’incrocio tra le vie Maresciallo Tito e Alipašina, davanti all’Istituto di igiene, bloccando il traffico per qualche ora. A Mostar, sono una sessantina i cittadini che mercoledì hanno occupato Španski Trg. Se la partecipazione in queste due città potrebbe dare l’impressione di un primo, generale deflusso, occorre anche sottolineare però che nella stessa giornata, a Tuzla, circa mille persone hanno protestato di fronte al governo cantonale, dando così l’impressione – anche sotto il profilo numerico – che in fondo la popolazione non si sia ancora decisa ad abbandonare le barricate, dopo le concessioni fatte dalle istituzioni nel corso delle ultime settimane.

Si tratta, per il momento, di piccoli provvedimenti che hanno una portata locale. A Sarajevo, l’assemblea cantonale ha deciso, dopo una discussione durata quattro ore e che è stata abbandonata dai deputati del Partito per un futuro migliore (Savez za bolju budućnost, SBBBiH) di Fahrudin Radončić, di approvare all’unanimità quelle che erano state le richieste del plenum cittadino, e cioè:

1) la formazione di un governo tecnico, con rappresentanti che non siano espressione dei partiti;

2) la diminuzione degli stipendi pagati a funzionari e ad alti rappresentanti delle amministrazioni pubbliche;

3) la fine del bijeli hljeb, o “pane bianco”, come in Bosnia Erzegovina viene chiamato il diritto, riconosciuto ai ministri, di continuare a percepire il salario per un anno dopo il termine del loro mandato;

4) l’istituzione di una commissione d’inchiesta che esamini i processi di privatizzazione e di un’altra che invece indaghi sulle violenze e sulle responsabilità della polizia negli scontri del 7 febbraio scorso, che avevano portato – come si ricorderà – all’incendio di vari palazzi governativi tra cui quello della Presidenza del paese.

I risultati dei plenum

Rispetto alle settimane scorse, due sono forse le novità principali per quanto riguarda le proteste in Bosnia Erzegovina: la prima è che i plenum stanno cominciando ad avere un ruolo attivo nella vita politica bosniaca. La seconda è l’inizio della mobilitazione anche per quanto riguarda una categoria che, all’inizio, non era sembrata tra le più attive all’interno delle diverse correnti della protesta: i veterani di guerra.

Nei cantoni dove le proteste sono state più violente, con l’eccezione significativa di Mostar, le autorità cantonali hanno dimostrato la volontà di prendere in considerazione le richieste delle assemblee cittadine. A Tuzla, la città dove la ‘rivolta bosniaca’ aveva avuto inizio il 5 febbraio, l’Assemblea è stata la prima a votare per l’abolizione del ‘pane bianco’. Oltre alla capitale, anche a Bihać l’Assemblea cantonale ha deciso di mettere al voto le proposte presentate dal plenum locale (le quali includono, tra le altre cose, anche la formazione di un’agenzia per l’impiego). Il voto avverrà il 4 marzo prossimo.

Solo a Mostar, per il momento, la politica sembra sorda alle richieste del plenum, che continua a riunirsi regolarmente negli spazi messi a disposizione dal centro Abrašević. Tra le proposte adottate dall’assemblea, c’è anche quella di congelare tutti i prestiti con il Fondo monetario internazionale per un periodo di cinque anni, così come la restituzione del debito: i soldi risparmiati in questo modo potrebbero essere usati, secondo i manifestanti, per “creare impiego” e per “permettere la ripresa economica del paese”.

Finora, però, le autorità cantonali non hanno dato spazio alla voce della cittadinanza, che ha deciso anche di lanciare una petizione per chiedere all’Assemblea del cantone di adottare le conclusioni del plenum. A oggi le firme raccolte sono circa un migliaio.

Anche se le conquiste ottenute attraverso il lavoro delle assemblee, in fondo, hanno una portata limitata (riguardando esclusivamente i cantoni) e anche se resta da verificare la capacità delle istituzioni di dare seguito a questi provvedimenti in un anno elettorale (a ottobre i cittadini di Bosnia Erzegovina dovranno recarsi alle urne per le elezioni politiche), l’attivismo dimostrato dai plenum e la loro capacità, per molti versi inedita, di influire direttamente sulle decisioni della politica ha suscitato l’entusiasmo di numerosi commentatori.

In molti, infatti, hanno tessuto nel corso delle ultime settimane le lodi di questi esperimenti di democrazia diretta. Tra le voci del coro a sostegno dei plenum, una delle più presenti è sicuramente quella di Asim Mujkić, docente ordinario alla facoltà di Scienze politiche di Sarajevo. In una recente intervista concessa al settimanale sarajevese Dani, Mujkić ha definito i plenum “isole di libertà”, che si oppongono “all’imperante narrazione capitalista, a favore del libero commercio”.

“In un certo senso”, questa l’analisi di Mujkić, “possiamo parlare di un momento estremamente simile alla fine degli anni ottanta, quando le parole d’ordine utilizzate dal comunismo non avevano più la capacità di mobilitare i cittadini”. Questo, secondo il professore, starebbe avvenendo anche ora, ma a tramontare è la dialettica etnica. “Con queste rivolte si è aperto uno spazio nel discorso pubblico, una nuova prospettiva, all’interno della quale la retorica etnica non trova posto, e questo secondo me è importante: l’etnopolitica comincia a perdere significato”.

I veterani scendono in piazza

L’altra grande novità della protesta è la partecipazione delle associazioni dei veterani, principalmente quelle della Republika Srpska, che hanno scelto a loro volta di manifestare la propria insoddisfazione nei confronti del governo.

Il ruolo degli ex combattenti all’interno del građanski bunt, la “insurrezione civica”, è stato inizialmente molto ambiguo. Se, da una parte, singoli veterani si sono visti all’interno delle assemblee e in strada, tra i manifestanti, è anche vero che le loro associazioni non hanno partecipato alle proteste e che permane, nei loro confronti, un senso di diffidenza se non di aperta ostilità: dopo tutto, in passato esse sono state spesso e volentieri tra le parti più restie al cambiamento della società, schierate a sostegno dei partiti tradizionali e beneficiarie di sostanziosi aiuti economici.

Ora le cose sembrano essere cambiate. Mercoledì scorso, a Banja Luka, più di mille veterani hanno protestato contro il governo dell’entità, per rivendicare condizioni di vita più dignitose. Una protesta alla quale non è stato dato nessuno spazio all’interno dei media della RS, e che è in programma anche per oggi.

Un successo, nonostante le difficoltà di organizzare una dimostrazione di massa nell’entità serba. “Soprattutto in tempi di crisi, è dura”, ha sottolineato Duško Vukotić, rappresentante dell’associazione dei veterani della RS, a Slobodna Bosna. “Qui, come in molte altre parti del paese, la gente che ha un lavoro spesso l’ha ottenuto, in un modo o nell’altro, attraverso legami con la politica. È normale che manifestare faccia paura, si temono le ritorsioni del governo, e di rimanere senza lavoro”.

Vukotić ha cominciato uno sciopero della fame per attirare l’attenzione dei media sulla difficile situazione economica di molti veterani, ancora in età lavorativa, che però sono disoccupati e vivono in condizioni di povertà.

“Per squalificare la nostra protesta”, continua Vukotić, “le autorità hanno persino detto che dei membri dei ‘berretti verdi’ (appartenenti, cioè, al vecchio esercito bosgnacco degli anni della guerra) si sarebbero messi in viaggio per venire a protestare a Banja Luka. Secondo loro, farebbe tutto parte di un complotto per destabilizzare e diminuire l’autonomia della RS. È pazzesco, ma questo è il messaggio che sta cercando di trasmettere il nostro governo: se qualcuno si batte a Banja Luka per i propri diritti e la propria dignità, nel momento in cui delle persone della Federazione fanno lo stesso, diventa automaticamente un nemico della Republika Srpska”.

In settimana i veterani della RS sono stati ospitati anche in una trasmissione televisiva, ‘Pošteno’, sulla televisione federale, insieme ai loro antichi nemici dell’HVO, l’esercito croato bosniaco e dell’Armija bosniaca. “Ora combatteremo insieme per il nostro diritto ad avere un lavoro”, hanno detto all’unisono.

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