Bosnia Erzegovina: piccoli imprenditori contro la crisi

Non è facile trovare lavoro in Bosnia Erzegovina. Ancor meno avviare un’attività in proprio. Ma c’è chi ci riesce. Un incontro con i giovani imprenditori che lavorano per dare una prospettiva al loro paese

25/06/2018, Aleksandar Brezar -

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Dina Šiber e Gordana Miladinović - Kosovo 2.0

(Pubblicato originariamente da Kosovo 2.0, selezionato e tradotto da Le Courrier des Balkans e OBCT)

Axel Alić e sua moglie Nikolina hanno dei cv che dovrebbero interessare molti datori di lavoro della Bosnia Erzegovina. Ma sono anni che questo giurista e questa laureata in pedagogia e psicologia sono iscritti all’Agenzia nazionale del lavoro. Con due figli piccoli si sono trovati davanti ad una scelta dirimente: continuare ad attendere, forse invano, che qualcuno decidesse di dar loro un impiego o partire per trovare lavoro all’estero.

La coppia ha a lungo pensato alla seconda opzione, dandosi da fare per ottenere la documentazione necessaria ad emigrare in Australia. Ma alla fine ha scelto per una terza via. Hanno aperto Yumm, un negozio che vende a prezzi ribassati prodotti alimentari vicino alla scadenza. Ecco l’ultima possibilità che si sono dati in Bosnia Erzegovina. Se falliranno, se ne andranno.

“Volevamo dar vita a qualcosa che qui ancora non c’era”, spiega Axel. Uno dei loro obiettivi è anche di lottare contro il sovra-consumo. “I supermercati buttano molto cibo nella spazzatura e questo provoca gravi problemi ecologici”.

Al di là della questione di sapere se il mercato bosniaco è pronto o meno ad iniziative di questo tipo, ve ne è un’altra, fondamentale: le istituzioni offrono ai giovani imprenditori le condizioni e i mezzi per avviare le proprie iniziative e per farle prosperare?

Samir Mujović è vice-presidente di Zemana, azienda di Sarajevo specializzata nel campo della sicurezza informatica. “Sono contento di non dipendere solo dal mercato locale”, ammette. I suoi prodotti, antivirus per smartphone e per computer vengono utilizzati da milioni di clienti in 121 paesi del globo. L’Agenzia per la sicurezza Usa ha classificato l’anti-malware di Zemana come uno dei tre più affidabili al mondo e lo utilizza nell’ambasciata Usa a Mosca.

In Bosnia Erzegovina sono in pochi a conoscere Zemana e l’azienda ha, in patria, pochi clienti. A Samir Mujović spiace che le istituzioni pubbliche locali abbiano poca attenzione per le produzioni locali. La sua azienda propone anche software in lingua serbo-croata, con tanto di manuali d’istruzione e corsi di formazione ma spesso gli si preferiscono soluzioni che vengono dalla Romania o dalla Russia. “Qui, tutto è controllato, in particolare per quanto riguarda il mercato pubblico – si dispiace Samir – sono in pochi a prendere le decisioni e tutto funziona secondo il principio ‘io ti do qualcosa, tu mi dai qualcosa in cambio’”.

Harun Omić dirige il servizio marketing di The Brew Co., un birrificio artigianale di Sarajevo. “Se parlerete con 100 diversi imprenditori bosniaci, sentirete 100 diverse storie su come sia difficile fare impresa qui”, racconta, un po’ fatalista. “Uno dei problemi principali è lo stato d’animo. In Bosnia Erzegovina l’interesse per le piccole e medie imprese resta molto limitato”, riassume, lamentandosi della mancanza assoluta di sostegno pubblico a chi intende promuovere un’impresa. Questo però non gli impedisce di rimanere ottimista. “Noi non vogliamo che la gente ci segua perché siamo un prodotto locale. Vogliamo che vengano da noi perché gli offriamo un prodotto che amano. Certo è una vera e propria sfida riuscire ad ottenere risultati in un ambiente così difficile”.

Il percorso di Dina Šiber e Gordana Miladinović è piuttosto atipico. Mentre la maggior parte dei giovani bosniaci intendono lasciare il paese per tentare all’estero hanno preferito rientrare ed aprire una loro azienda, The Hive, specializzata nel digitale (design, branding, comunicazione, stampe 3D). La ristrettezza del mercato bosniaco resta comunque un ostacolo al loro sviluppo, ammettono. “Abbiamo iniziato nel 2011 ispirandoci al modello delle startup. Ma nei paesi occidentali si hanno a disposizione numerose informazioni sullo stato del mercato, il numero di clienti potenziali…”, dettaglia Gordana Miladinović. “Qui è tutto diverso, il mercato è troppo piccolo” , mentre, continua lo stato da tutto il sostegno alle grandi aziende, trascurando completamente il mondo delle Pmi. “È un vero problema, questo scoraggia molto la gente, in molti non osano neppure provarci”.

Secondo i dati del ministero del Commercio estero 80.000 giovani bosniaci hanno ottenuto un permesso di lavoro all’estero negli ultimi cinque anni. Le cifre relative alle partenze reali sono sicuramente superiori. “Non vorrei essere troppo critico, ma la Bosnia Erzegovina non è tra i paesi che funzionano meglio”, sottolinea Gordana Miladinović. “Si sente la povertà. Credo comunque che la gente viva nell’illusione che altrove vada meglio, in particolare per il lavoro. Ma anche se la quotidianità è difficile, occorre rimboccarsi le maniche per far cambiare le cose”, continua. “Se vogliamo che tutto questo cambi, occorre muoversi”.

“Onestamente, credo vi siano opportunità qui” assicura Harun Omić. “Sappiamo tutti che per riuscire occorre lavoro e disciplina. Anche quelli che se ne sono andati lo sanno, anche se non hanno visto come si poteva farlo in Bosnia Erzegovina. Siamo consapevoli che la situazione in questo paese è dura, ma non potrebbe essere peggio quindi non si può che progredire!”. Un ottimismo che caratterizza le azioni di questo giovane imprenditore che si sta impegnando nel rilancio del Cinéma Imperijal, un luogo mitico di Sarajevo, per farne uno spazio culturale con mostre e concerti.

“Molti bosniaci continuano a sottolineare, soprattutto coloro i quali hanno vissuto anche la Jugoslavia socialista, che le fabbriche non lavorano più”, sottolinea Samir Mujović. “Ma siamo in un paese di 3,5 milioni di abitanti. Abbiamo bisogno di un’industria automobilistica forte? O di grandi fabbriche di armamenti?”. A suo avviso la Bosnia Erzegovina dovrebbe investire il più presto possibile sulle nuove tecnologie “perché è un settore di prospettiva, in piena crescita e che non richiede grandi investimenti finanziari”. E questo permetterebbe ai giovani laureati, i più numerosi a partire, di trovare degli sbocchi. “E di sviluppare le loro idee”.

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