Bosnia Erzegovina: media in transizione

14/11/2001, Redazione -

"La Bosnia Erzegovina è un paese ancora in transizione": questa è una frase usata spesso per aprire molti ragionamenti sulla situazione odierna del paese. Parlando della situazione dei mass media bosniaci forse la frase è ancor più vera e la transizione è più visibile che in altri settori della vita civile.
Ma per arrivare a descrivere la situazione attuale dobbiamo fare alcuni passi indietro e capire com’era la situazione prima della guerra.

Il sistema radio-televisivo prima e durante la guerra

In questo paese "sui Balcani montuosi" (con le parole della poetessa Desanka Maksimovic) prima della guerra tutto era ben diverso. C’era ancora il socialismo, o almeno i suoi ultimi respiri. La proprietà dei media non era statale, ma come si diceva allora "collettiva". Si trattava del famoso sistema dell’autogestione, che consisteva nella gestione delle imprese da parte degli stessi operai. O almeno così era sulla carta, e si diceva che la cosa funzionava. Come funzionasse, era un po’ difficile da capire… Comunque sia, già all’inizio degli anni novanta, con i primi cambiamenti democratici nella Federazionejugoslava, nascono alcuni media privati: si tratta soprattutto di radio e televisioni locali. La prima televisione privata, ufficialmente registrata nella Jugoslavia di allora, è una piccola emittente locale di Mostar, "TV AS". Stiamo parlando del dicembre del 1990, periodo in cui inizia la prima timida apparizione di media indipendenti. Si parla anche della privatizzazione dei canali ufficiali, ma tutto resta nel vago. Arriva infatti la guerra, e tutto si blocca.
Con l’inizio della guerra le trasmissioni dei media indipendenti vengono sospese, perché la legge marziale lo imponeva. Continuano a funzionare i canali ufficiali, che nel frattempo non sono più di proprietà "collettiva", ma si triplicano perché ogni gruppo nazionale dà vita ad un proprio stato. La televisione BiH, essendo situata a Sarajevo, passa sotto controllo della Repubblica Indipendente di Bosnia Erzegovina, mentre le componenti serba e croata fondano entrambe propri media elettronici: rispettivamente RTV Republika Srpska e Radio Herzeg-Bosna.

La carta stampata

Per illustrare la "transizione" del sistema dei periodici e dei quotidiani, possiamo prendere ad esempio il famoso caso di Oslobodjenje. Allora, cioè al tempo dell’autogestione, esistevano le cosiddette SOUR – organizzazioni unite del lavoro – cioè conglomerati di più imprese sotto una stessa proprietà. Ad esempio il gruppo Oslobodjenje, a parte il famoso quotidiano, aveva al suo interno varie riviste, tra cui una sportiva, una per donne, due magazine sportivi, uno politico – Svijet, e inoltre giornalini per ragazzi, una tipografia – OKO, un’agenzia per la distribuzione – Opressa, etc… Iniziata la guerra il grande palazzo dell’impresa Oslobodjenje viene distrutto e diventa subito un simbolo della guerra per la verità bosniaca. Le redazioni del gruppo si disperdono nella città, e piano piano rimangono solo il quotidiano Oslobodjenje e la tipografia OKO. Ma si tratta ormai di due organizzazioni praticamente distinte e, al termine della guerra, si comincia a parlare della loro privatizzazione. Inizialmente è lo stesso direttore del gruppo Oslobodjenje, Salko Hasanefendic, a voler comprarsi il giornale e cambiargli linea politica, ormai nota per la sua indipendenza. Ma il personale inizia uno sciopero e la privatizzazione viene sospesa. Nel frattempo la tipografia OKO annega ormai nei debiti e ha come soluzioni solo la bancarotta o la vendita. Tra i maggiori debitori di OKO c’è proprio il quotidiano Oslobodjenje, che, a causa dei suoi problemi economici, da tempo non riesce a pagare la tipografia. OKO viene messa perciò in vendita e la compra il giornale oggi più letto in Bosnia, Dnevni Avaz, o meglio il suo proprietario, Fahrudin Radonjcic. Si dice che all’inizio della sua attività, cioè cinque anni fa, Radonjcic fondò il giornale con il grande supporto del partito SDA, ma che oggi avrebbe cambiato gioco e si sarebbe messo dalla parte del nuovo governo di sinistra. Si tratta in ogni caso di un imprenditore che la sa lunga e l’acquisto da parte sua della tipografia OKO ha suscitato molto scalpore nell’intero paese. Lo stesso Alto Rappresentante per la BiH, Wolfgang Petrisch, ha dichiarato che l’acquisto poteva comportare un monopolio di fatto assoluto nel settore della stampa per Radonjcic.

Non meno interessante è la storia di un altro organo di stampa, il Vecernje novine, prima della guerra il quotidiano più letto in Bosnia. Il giornale sopravvive alla guerra finanziandosi con fondi della Regione di Sarajevo, cioè dell’attuale Cantone. Poi arriva la privatizzazione. A comprare Vecernje novine è un imprenditore bosniaco – Irfan Ljevakovic – disposto a saldare i debiti che il giornale aveva accumulato verso la tipografia OKO e verso altri. Con il nuovo proprietario, il giornale cambia nome in "Jutarnje novine", pur rimanendo erede del Vecernje novine. Si ricomincia da zero e pare che il giornale riesca a riprendersi, ma una sgradevole scoperta attende il nuovo proprietario. In passato, il Vecernje novine aveva organizzato una specie di lotteria, attraverso la vendita di biglietti gratta e vinci. La tipografia slovena che aveva stampato i biglietti si era sbagliata, lasciandone in circolazione un certo numero il cui valore risultava scoperto. Successo quello che è successo, oggi i lettori del giornale stanno ancora aspettando che il giornale paghi i premi vinti. E si tratta di una somma per nulla irrisoria: più di un milione di marchi tedeschi. Appena colta la situazione, Ljevakovic cambia idea e decide di ritirarsi con il capitale investito, ma troppo tardi per uscirne indenne. Il caso infatti finisce in tribunale.
Rispetto ad altri quotidiani della Bosnia Erzegovina vale la pena menzionare il Nezavisne Novine di Banja Luka, comprata dal suo caporedattore, Zeljko Kopanja.

Televisione di stato e il sistema radio-televisivo indipendente

Il 27 ottobre scorso la televisione di stato TVBiH si è spenta e ha lasciato il posto alla nuova rete federale FTV. Si tratta di due canali visibili sul territorio della Federazione bosniaco-croata, nei quali lavorano giornalisti appartenenti a tutte e tre le nazionalità, ma con caporedattori soprattutto croati (cattolici) e bosniaci (musulmani). La nuova rete federale eredita dalla defunta TVBiH anche la sede, situata in un palazzo nel centro di Sarajevo.
La realizzazione di una Tv federale è seguita ad una legge approvata dal Parlamento federale a metà dello scorso ottobre, anche se la stessa legge fu imposta tre anni fa dall’Alto Rappresentante per la Bosnia Erzegovina, Wolfgang Petrisch. Rimane ancora da chiarire se la TVF sarà un ente statale o pubblico, sebbene il Parlamento si sia dichiarato disponibile a sostenere finanziariamente TVF senza intromettersi molto nella politica organizzativa della televisione.
Nella Republika Srpska esiste invece la RTRS (Radio Televisione della Republika Srpska) a diffusione territoriale equivalente a quella della FTV in Federazione.

In Bosnia Erzegovina esistono anche centinaia tra televisioni e stazioni radio locali (quasi tutte private) nate durante la guerra, che emettevano senza alcuna autorizzazione solo con la scusante "è la guerra". Ad esempio, una città come Mostar, che conta solo 100.000 abitanti, possiede 9 stazioni radio e nel resto del paese la situazione non è molto diversa.

Oggi il loro destino promette male. Nei prossimi mesi IRC (Commissione internazionale per i mass media) dovrà rimettere in sesto una situazione alquanto complicata. Questa commissione ha già cominciato l’esame di tutte le domande di autorizzazione permanente presentate dalle radio e dalle tv private, ma dovendo rispettare le regole che prescrivono la concessione di un limitato numero di radio-frequenze, è prevedibile che molti media elettronici chiudano i battenti.

L’altro aspetto che incide sulla sopravvivenza di radio e tv private è quello economico. Solo un esiguo numero delle attuali 400 stazioni radio sono finanziate dai comuni di appartenenza. Negli ultimi anni un grande numero di esse, "in nome della democrazia", venivano sponsorizzate da molteplici organizzazioni umanitarie come Soros, Usaid, ecc. Oggi questi finanziamenti sono finiti, e con l’attuale economia disastrosa e l’impossibilità di sostenersi con la pubblicità, molte radio si troveranno comunque di fronte alla chiusura.

Essere giornalista in Bosnia Erzegovina

Una delle regole che in Bosnia Erzegovina si dovrà cominciare a rispettare è il riconoscimento del personale professionalmente preparato. Negli ultimi dieci anni qualsiasi persona, in nome della democrazia oppure della lotta per il proprio popolo, poteva diventare giornalista. La guerra ha letteralmente capovolto le condizioni e le regole del giornalismo. Un po’ per necessità, legata alla partenza all’estero dei giornalisti con esperienza, in poco tempo sono nati nuovi giornalisti. Molti di loro assolutamente inesperti, ma con l’intento di evitare l’arruolamento e di combattere il nemico a modo proprio. Non è difficile capire che l’esistenza di "diversi stati nello stato" ha creato un sistema giornalistico particolare, dove la regola principale era parlare sempre contro il popolo nemico. Molte radio e televisioni sono nate proprio basandosi sull’odio nazionale e per sottolineare le differenze, ed è per contrastare questo tipo di mass media che, con la fine della guerra, sono nate numerose cosiddette radio dipendenti, sponsorizzate dagli organismi internazionali. Ma anche sul piano del personale, la fase della transizione dovrà finire. Da un lato IRC con le sue regole e dall’altro lato il processo di privatizzazione, hanno esigenze precise. I contratti imposti richiedono che i nuovi proprietari mantengano un determinato numero di dipendenti, ma con l’arrivo della nuova gestione molti temono di perdere comunque il posto di lavoro.

Prima della guerra in Bosnia Erzegovina esisteva un’unica associazione dei giornalisti. Oggi ve ne sono di diverse. In federazione ora sussistono due associazioni dei giornalisti bosniaci, una di giornalisti croati e una, appena nata a fine ottobre scorso con il nome "Apel", che dovrebbe vedere radunati giornalisti sia bosniaci che croati. In Republika Srpska esiste a sua volta un’ulteriore organizzazione di categoria. Per ora, sembra che per i giornalisti della Bosnia Erzegovina non esistano interessi comuni, anche se un segno di incoraggiamento viene dalla recente unione di due agenzie stampa: la BiH Press (bosniaca) e la HABENA (croata), ora unite nell’agenzia federale FENA. Rispetto ai problemi e alle condizioni di lavoro del mondo della stampa, si è discusso anche durante la seduta della prima università per le comunicazioni del Sud-est europeo, svoltasi a Sarajevo dal 19 al 21 ottobre scorso. Da qui risulta che la rete di distribuzione e la diffusione della stampa, come anche le tasse altissime, sono solo una parte delle complesse problematiche con le quali si confronta la stampa della Bosnia Erzegovina.

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