Bosnia Erzegovina, l’agenda di riforme è solo un primo passo verso l’UE
Il governo di Sarajevo è riuscito a evitare un nuovo taglio del 10% dal Piano di crescita da oltre un miliardo di euro, ma “c’è ancora il rischio di perdere i fondi se le riforme non saranno attuate”. Intervista ad Adnan Ćerimagić, Senior Analyst presso l’European Stability Initiative

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La Commissaria europea per l'allargamento e la politica di vicinato Marta Kos e la Presidente del Consiglio dei ministri della Bosnia ed Erzegovina Borjana Krišto © Unione Europea
La Bosnia Erzegovina tira un sospiro di sollievo. Lo spettro di altri 100 milioni di euro andati in fumo svanisce e il Piano di crescita dell’Unione europea può proseguire. Almeno per il momento.
“C’è ancora il rischio di perdere i fondi se le riforme non saranno attuate”, avverte Adnan Ćerimagić, Senior Analyst presso l’European Stability Initiative (ESI), in un’intervista per OBCT.
“Per la Bosnia Erzegovina la situazione è ancora più complessa rispetto agli altri Paesi dei Balcani occidentali, perché non solo il governo centrale, ma anche le entità, i cantoni all’interno della Federazione e il distretto di Brčko fanno parte dell’agenda delle riforme”.
Lo scorso 30 settembre il Consiglio dei ministri della Bosnia Erzegovina ha adottato l’agenda di riforme necessaria per accedere al Piano di crescita dell’UE, proprio nell’ultimo giorno disponibile per evitare quello che è già successo a luglio. Vale a dire un taglio del 10% del budget complessivo previsto per Sarajevo, pari a oltre un miliardo di euro.
La palla passa ora a Bruxelles, con la Commissione europea che ha iniziato a esaminare i documenti finali, prima che gli Stati membri dell’UE mettano il timbro ufficiale sull’agenda di riforme. Solo una volta completato questo processo, Sarajevo potrà accedere ai restanti 976,6 milioni di euro. E la strada è ancora tutta in salita.
Quanto è stata difficile l’approvazione di questa agenda di riforme?
L’intero processo è stato tutt’altro che trasparente, non solo in Bosnia Erzegovina ma in tutta la regione dei Balcani occidentali, per quanto riguarda i negoziati tra i governi e la Commissione europea.
Quello che sappiamo è che la Bosnia Erzegovina era l’unico Paese con potenziale accesso al nuovo Piano di crescita a non aver presentato una bozza dell’agenda di riforme.
Ciò ha portato la Commissione a prendere provvedimenti per esercitare pressione sul governo di Sarajevo. In estate, ha trattenuto 100 milioni di euro previsti per la Bosnia Erzegovina.
Chi è stato il maggiore responsabile di questo ritardo?
Nel corso dell’ultimo anno in Bosnia Erzegovina si è assistito a un rimbalzo di responsabilità: i cantoni, la Republika Srpska e persino la Commissione europea, per non aver fornito un riscontro.
Ma con l’arrivo della commissaria [per l’Allargamento, ndr] Marta Kos a Sarajevo e il suo discorso all’Assemblea parlamentare il 22 settembre, era diventato chiaro chi sarebbe stato considerato il responsabile del mancato rispetto della scadenza per la presentazione dell’agenda delle riforme.
Nel suo discorso la commissaria aveva affermato che, per continuare il processo, “abbiamo bisogno che la Republika Srpska sia attiva al tavolo dei negoziati”.
Quali sfide deve affrontare ora Sarajevo?
La Commissione europea dovrà ora verificare se questa agenda di riforme corrisponde alle osservazioni già formulate. Se ritenuta soddisfacente, sarà trasmessa agli Stati membri e poi passerà attraverso il processo di approvazione a Bruxelles.
Solo allora la Bosnia Erzegovina, almeno in teoria, potrà accedere ai restanti 900 milioni di euro. In teoria, perché secondo la logica del Piano di crescita, il Paese deve attuare le riforme per sbloccare i fondi. Le scadenze sono comuni per tutti i Paesi candidati: giugno 2025, dicembre 2025 e poi ogni sei mesi fino alla fine del 2027.
Ora, entro dicembre la Bosnia Erzegovina dovrebbe attuare tutte le misure concordate per le prime due scadenze. Le aree interessate comprendono l’ampliamento dell’istruzione prescolare, la magistratura, lo Stato di diritto e la trasparenza a vari livelli. E non è ancora chiaro quale sarà la decisione finale della Commissione.
Oltre alla questione relativa al Piano di crescita, quali altri ostacoli si frappongono al percorso di Sarajevo verso l’UE?
Il percorso di integrazione europea della Bosnia Erzegovina si sta svolgendo in un contesto più ampio, quello del futuro politico di Milorad Dodik [ex-presidente della Republika Srpska, ndr] e della seconda sentenza della Corte bosniaca in merito alla sua sfida all’Alto Rappresentante. Il processo dell’UE era diventato ostaggio di questa lotta giudiziaria e politica, visto che Banja Luka aveva cercato di utilizzarla per negoziare un accordo migliore per Dodik.
Grazie anche al ruolo giocato dalla commissaria Kos, il percorso verso l’UE del Paese non è stato compromesso del tutto, anche se allo stesso tempo sono stati fatti pochissimi passi avanti. Nel quadro generale, è comunque preferibile così piuttosto che aver compiuto progressi attraverso accordi oscuri dietro le quinte.
A oggi, mancano ancora decisioni fondamentali, tra cui la nomina del capo negoziatore e l’adozione di due leggi: quella sulla Corte statale e quella sull’Alto Consiglio giudiziario e dei procuratori. Le bozze non sono state rese pubbliche ed è importante notare che la commissaria Kos ha dichiarato esplicitamente in Parlamento che queste leggi devono essere conformi agli standard dell’UE.
Molto dipenderà dagli sviluppi relativi al futuro politico di Dodik, nonché dalle elezioni presidenziali anticipate nella Republika Srpska a novembre. La coalizione a livello statale si è già spaccata a causa del continuo sostegno dell’SNSD [Alleanza dei socialdemocratici indipendenti, partito di governo nell’entità serbo-bosniaca, ndr] a Dodik, anche dopo la sentenza.
Resta da vedere se, con l’offerta dell’agenda di riforme e la prospettiva di avviare i negoziati di adesione, sarà possibile ricostituire una coalizione che governi fino alle prossime elezioni dell’ottobre 2026. La campagna elettorale è già in corso e gli attori politici potrebbero decidere che, per massimizzare le proprie possibilità alle urne, è meglio non dar seguito alle richieste dell’UE.
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