Bosnia Erzegovina: la diplomazia del pallone

Il Consiglio dell’UE ha accolto la proposta anglo tedesca per ridare vita al percorso europeo della Bosnia Erzegovina. L’analisi di Osservatorio

18/12/2014, Andrea Oskari Rossini - Sarajevo

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Federica Mogherini e Johannes Hahn a Sarajevo, 5 dicembre 2014 (Foto EEAS, Flickr )

Il seguente articolo è il secondo di una serie di tre dedicata al percorso di integrazione europea della Bosnia Erzegovina

La recente svolta di Bruxelles nel dialogo con Sarajevo promette una futura implementazione dell’Accordo di Associazione e Stabilizzazione (ASA) senza prevedere, almeno per il momento, contropartite certe da parte delle istituzioni locali. Il rispetto della sentenza Sejdić-Finci della Corte Europea di Strasburgo resta una condizione, ma la sua messa in opera è rimandata a data da destinarsi. La carta dell’ASA viene giocata praticamente al buio. La storia recente del dialogo/confronto tra istituzioni bosniaco-erzegovesi e istituzioni internazionali mostra però che la questione delle contropartite è cruciale.

Il caso della N/FSBIH

Un recente studio pubblicato congiuntamente da due autori dell’Università di Birmingham e dell’Università di Toronto1 prende in esame uno dei pochi processi di riforma condotti con successo nella Bosnia post Dayton, analizzandone le cause. Nell’ottobre 2010, la FIFA e la UEFA comunicarono alla Federazione calcistica della Bosnia Erzegovina, la N/FSBIH, che sarebbe stata sospesa dalla partecipazione alle competizioni europee di club e ai campionati mondiali di calcio se non avesse riformato la propria presidenza.

In maniera speculare alla presidenza del paese (e a molte altre istituzioni bosniache) la N/FSBIH era guidata da una presidenza tripartita formata da un rappresentante serbo, uno croato e uno bosgnacco. Secondo FIFA e UEFA, questa organizzazione complicava il lavoro delle federazioni internazionali, alimentava meccanismi di corruzione ed era in generale inadatta a svolgere i propri compiti. Il termine per attuare la riforma era stato stabilito unilateralmente, marzo 2011.

Nell’inadempienza della N/FSBIH, il primo aprile scattò la sospensione. I club bosniaco-erzegovesi erano fuori dall’UEFA, mentre la nazionale non poteva più partecipare alle gare di qualificazione per i mondiali. La rabbia dei tifosi, già irrequieti per una serie di scandali che avevano coinvolto la Federazione, montò. Nonostante le fortissime resistenze politiche2, la crisi venne risolta nel giro di due mesi, e la N/FSBIH adottò un nuovo statuto in accordo con le richieste di FIFA e UEFA.

Gli autori dello studio cercano di spiegare perché FIFA e UEFA sono riuscite in pochi mesi a ottenere le riforme volute, mentre anni di pressioni da parte della comunità internazionale non hanno raggiunto lo stesso risultato. Anzitutto, secondo Cooley e Mujanović, diversamente da quanto avvenuto per la soluzione della Sejdić-Finci, il trade-off per la Federazione calcistica era molto chiaro e non negoziabile: senza le riforme, la nazionale e i club erano fuori dal gioco3.

FIFA e UEFA, inoltre, avevano adottato un ruolo decisamente proattivo, senza lasciare nel vago il dettaglio delle riforme proposte, e intervenendo direttamente nella negoziazione. Di fronte ai tentativi di ostruzione dei leader locali, FIFA e UEFA avevano infatti imposto un comitato di ‘normalizzazione’ (la N/FSBIH non aveva più legittimità di fronte alle istituzioni internazionali) guidato da una leggenda del calcio jugoslavo, Ivica Osim. Nel giro di pochi mesi, il comitato di normalizzazione riuscì ad ottenere le riforme richieste, con il beneplacito dei leader politici locali.

Ipotesi

Il paragone tra calcio e politica è certo azzardato, ma utile a trarre alcune ipotesi di discussione. In primo luogo, senza contropartite certe, il nuovo approccio europeo è votato all’insuccesso. La proposta dovrebbe essere sostanziata con una roadmap chiara, nella quale ad ogni scadenza temporale corrispondano precisi obblighi per le parti.

La prima casella della roadmap, inevitabilmente, dovrebbe corrispondere al rafforzamento dell’attuale Direttorato per l’Integrazione Europea4. Il Direttorato dovrebbe essere trasformato in una struttura di rango ministeriale direttamente responsabile della conduzione del dialogo con Bruxelles, e non sottoponibile a veti politici da parte di partiti o entità. Senza la creazione di un meccanismo di coordinamento dotato di poteri esecutivi, sarà infatti impossibile identificare le responsabilità per le eventuali ostruzioni e progredire lungo il percorso tracciato, come è avvenuto finora. Per dirla con le parole del Commissario Hahn, rispondendo alla domanda di un giornalista locale5 nella conferenza stampa del 5 dicembre a Sarajevo, “per dialogare con noi ci deve essere una sola voce. Ci aspettiamo una capacità di negoziare, e questi negoziati devono poi essere tradotti in decisioni concrete. Sta a voi decidere come organizzarvi, ma per ottenere progressi nel nostro mutuo percorso di avvicinamento abbiamo bisogno di una struttura decisionale nel paese che renda possibile prendere le necessarie decisioni e ottenere i necessari progressi6”.

Lungo tutto l’itinerario della roadmap dovrebbe inoltre essere chiaro che la posta in gioco, cioè la perdita della qualifica di potenziale candidato e la progressiva uscita a tempo indeterminato della Bosnia Erzegovina dal percorso di integrazione europea7, non è negoziabile.

La leva esterna, cioè la determinazione europea a condurre il dialogo secondo un calendario chiaramente definito, non è tuttavia sufficiente. Quando i rappresentanti delle élite politiche (e calcistiche) tentarono di dipingere i tentativi di riforma portati avanti da FIFA e UEFA come imposizioni straniere irrispettose del contesto locale, le federazioni internazionali trovarono un inaspettato alleato nelle associazioni dei tifosi, e più in generale nel pubblico, che era perfettamente consapevole del livello di corruzione e inefficienza che si annidava nella federazione locale, così come del fatto che la riforma non rappresentava in alcun modo un attacco nei confronti dell’una o dell’altra etnia8.

Lo spazio pubblico

Il problema europeo, oltre a quello di stabilire un’efficace ‘leva esterna’ nel quadro di un percorso di riforma non negoziabile, appare dunque essere anche quello di avere un’influente ‘leva interna’, cioè il sostegno dei cittadini al percorso stesso.

Sotto questo profilo, l’Unione parte da una posizione di enorme vantaggio. La stragrande maggioranza dei bosniaco-erzegovesi è infatti favorevole all’ingresso nell’Unione Europea, con percentuali nei sondaggi pari o superiori all’85% nel corso degli ultimi anni9. Anche tutte le principali forze politiche del paese sono teoricamente a favore del percorso di integrazione ma, nella pratica, considerazioni di politica interna, rivalità o strumentalizzazioni hanno sempre dominato rispetto ad un genuino impegno pro-europeo. I principali leader politici, inoltre, hanno sin qui avuto gioco facile nel palleggiarsi le responsabilità degli insuccessi negoziali, distorcendone la sostanza e trovando ampia eco in un sistema compiacente di mezzi di comunicazione.

Su di un piano più generale, se consideriamo indicatori quali l’allineamento del paese alle dichiarazioni e decisioni adottate dal Consiglio Europeo nel quadro della Politica Estera e di Sicurezza Comune, vediamo poi che nel corso del 2014, ad esempio, la Bosnia Erzegovina – quando invitata – si è allineata a solo 23 delle 44 risoluzioni della PESC (per una percentuale del 52%)10.

L’appoggio della classe politica al percorso europeo non è quindi scontato, ed è importante il coinvolgimento sempre maggiore della società civile e in generale dell’opinione pubblica nel percorso negoziale, insieme al ridimensionamento della posizione delle forze politiche, in particolare dei 6, 7 partiti finora considerati come interlocutori privilegiati da parte di Bruxelles, a favore di un coinvolgimento delle istituzioni in quanto tali. Di questo sembrano del resto sempre più consapevoli anche i rappresentanti europei, come mostrato dalle dichiarazioni dell’Alto Rappresentante Mogherini nella conferenza di Sarajevo11.

La società civile bosniaca, inoltre, ha recentemente conosciuto una primavera nel movimento dei cosiddetti Plenum che, per quanto di breve durata, ha mostrato la forza potenziale della mobilitazione diretta dei cittadini e sedimentato la creazione di reti civiche a livello nazionale (su questo v. infra). I Plenum rappresentano un’importante pratica di cittadinanza attiva e andrebbero dunque coinvolti in quanto tali nel dialogo, secondo forme e modelli da sperimentare.

Per quanto riguarda più in generale la comunicazione con l’esterno, tuttavia, l’UE soffre di una cronica mancanza di influenza sui media locali. Sotto questo profilo, l’apertura del percorso negoziale alle nuove forme di organizzazione civica non può evidentemente bastare e deve essere affiancata da una rinnovata strategia di comunicazione con il pubblico.

All’inizio di novembre, la «CNN» ha inaugurato il proprio canale regionale nei Balcani, la «N1». Come recentemente ricordato da Adelina Marini sul portale online specializzato in questioni europee «euinside»12, la comparsa della «N1» rappresenta un ulteriore elemento di novità nell’affollato scenario dei media della regione, che comprende già la qatariota«Al Jazeera» e l’iraniana «Press TV». “L’Unione Europea non c’è, e questo è un dato di fatto – sostiene Marini. Non è troppo tardi, specialmente alla luce del cambio della guardia nelle istituzioni europee, prendere in considerazione una strategia globale per i media come strumento di politica interna ed estera per imporre un alto livello [di qualità] dei media e diffondere i valori europei13”. Secondo l’analista, “se l’UE vuole aumentare il proprio peso di politica estera [in questa regione strategicamente importante], dovrebbe unirsi al fronte dei media con un forte canale televisivo in lingue diverse per promuovere il punto di vista, i valori e le politiche europee14”.

(2 – continua)

1Laurence Cooley & Jasmin Mujanović (2014): Changing the Rules of the Game: Comparing FIFA/UEFA and EU Attempts to Promote Reform of Power-Sharing Institutions in Bosnia- Herzegovina , Global Society, DOI: 10.1080/13600826.2014.974512.

2All’inizio della crisi il presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik, aveva dichiarato che “tutto in Bosnia Erzegovina deve avere una presidenza tripartita, anche l’associazione degli apicoltori”, v. Bosnia football ban to level the playing field for minorities? (Part 2), di Michelle Chan, Minority Rights Group.

3Laurence Cooley & Jasmin Mujanović (2014): Changing the Rules of the Game: Comparing FIFA/UEFA and EU Attempts to Promote Reform of Power-Sharing Institutions in Bosnia- Herzegovina, Global Society, DOI, pag.20: “The contrast between the incentives offered for reform of BiH’s constitution and its football governance structures is also instructive. Whereas the consequences of failure to make the reforms demanded by FIFA and UEFA were very clear—BiH would no longer be able to play international football—the international community proper has, as we saw above, been ambivalent about its insistence on constitutional reform. Hence, five years after the Sejdić-Finci decision, barely a single step has been taken by any of the local political actors in BiH to actually implement the ruling. For all of the EU’s threats, nationalist elites in BiH do not believe that the Union would carry through with them […]”.

4http://www.vijeceministara.gov.ba/stalna_tijela/dei/default.aspx?id=1719&langTag=en-US.

5Sead Numanović, del quotidiano «Dnevni Avaz».

6V. la trascrizione integrale della conferenza stampa dell’Alto Rappresentante Mogherini e del Commissario Hahn sul portale della Delegazione dell’Unione Europea in Bosnia Erzegovina.

7Il cosiddetto “scenario turco”, v. In the queue , «The Economist», 27 settembre 2014.

8“Dodik may well have preferred to maintain the old N/FSBiH — fractured, corrupt and easy to manipulate — but he came under pressure not only from Bosniaks and the international football authorities, but also from other Bosnian Serbs, who wanted to see Borac Banja Luka (who had just won their first BiH Premier League title) take their place in the qualifying rounds for the UEFA Champions League. Faced by the prospect of losing access to the European and international football market altogether, Dodik and other nationalists were prepared to yield to FIFA and UEFA’s demands”, Laurence Cooley & Jasmin Mujanović (2014), op. cit., pagg. 19,20.

9L’88,2% secondo il sondaggio reso noto dal Direttorato per l’Integrazione Europea nel marzo 2011 , l’85% secondo un sondaggio reso noto dal Consiglio dei Ministri della BiH 3 anni più tardi , nel febbraio 2014.

10La Bosnia Erzegovina non si è allineata alle decisioni del Consiglio che introducevano misure restrittive da parte dell’Unione a seguito dell’annessione russa della Crimea e dei successivi eventi in Ucraina orientale. V. Bosnia and Herzegovina Progress Report, European Commission, October 2014, Brussels, 8.10.2014 SWD (2014) 305 final, pag. 6.

11“Let me also say that we know that we have to engage also and very strongly with civil society and that is something we are willing to do ourselves – a meeting today was extremely good with the civil society organisations”. Per quanto riguarda invece il ruolo delle istituzioni, rispondendo a una domanda di BN TV l’Alto Rappresentante ha dichiarato che “in a couple of days, the Parliament would be starting and we have met all the representatives of parties that have the seats in the Parliament. It is also a way of focusing on the institutions and on the role that the institutions have in this country”. V. la trascrizione integrale della conferenza stampa dell’Alto Rappresentante Mogherini e del Commissario Hahn sul portale della Delegazione dell’Unione Europea in Bosnia Erzegovina.

12EU Is Lagging Behind on the Media Front , di Adelina Marini, «euinside», 3 novembre 2014.

13Ibidem.

14Ibidem.

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