Bosnia Erzegovina, esperimenti di democrazia deliberativa

Un’assemblea di cittadini in BiH ha proposto una via di uscita per l’annoso problema della riforma costituzionale, in attesa da anni dopo la sentenza Sejdić-Finci del 2009. Un’intervista a Nenad Stojanović

30/09/2022, Serena Epis -

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© BOLDG/Shutterstock

Il prossimo 2 ottobre i cittadini della Bosnia Erzegovina saranno chiamati a votare per eleggere i membri della Presidenza tripartita e di tutte le assemblee parlamentari del paese. Negli ultimi mesi, la riforma della legge elettorale è tornata ad animare il dibattito politico bosniaco. Dopo mesi di discussioni, i partiti politici non sono riusciti a raggiungere un accordo per una riforma, e allo stesso tempo è fallito anche il tentativo di mediazione dell’Alto Rappresentante Christian Schmidt, le cui proposte sono state accolte con diverse proteste da parte dei cittadini. Il risultato è che alla fine di questa settimana si tornerà alle urne con un sistema discriminatorio nei confronti di tutti i cittadini che non si identificano in nessuno dei tre popoli costituenti.

A febbraio di quest’anno, su iniziativa della delegazione dell’Unione Europea in BiH, si è svolta un’assemblea dei cittadini che ha coinvolto partecipanti da tutto il paese, i quali per due weekend si sono riuniti per discutere della crisi costituzionale e della riforma della legge elettorale.

Abbiamo intervistato Nenad Stojanović, politologo e professore all’Università di Ginevra, che ha partecipato in veste di esperto e co-responsabile per la progettazione dell’assemblea dei cittadini.

Come si è svolta l’assemblea dei cittadini?

L’idea dell’assemblea dei cittadini (Skupština građana ) era di riunire 57 cittadine e cittadini – 57 è il numero di membri delle due camere riunite del parlamento bosniaco -, sorteggiati da tutto il paese per discutere e proporre delle raccomandazioni sul tema della discriminazione del sistema politico e della legge elettorale. Con la collaborazione dell’istituto di ricerca IPSOS in Bosnia , sono state inviate 4000 lettere utilizzando un sistema di distribuzione aleatoria, alla quale hanno risposto circa 200 persone, ovvero il 5%, un dato in linea con la media registrata per iniziative simili in altri paesi europei. Su questa base abbiamo poi fatto una seconda estrazione, questa volta utilizzando delle quote di rappresentanza. Alla fine, circa 50 persone hanno partecipato all’assemblea. Queste sono state seguite da un gruppo di facilitatori che li ha guidati durante le discussioni.

Lei è stato direttamente coinvolto come esperto e uno dei responsabili per la progettazione dell’assemblea, quindi ha avuto un’esperienza diretta dell’iniziativa. Qual è stata la reazione dei partecipanti? Che approccio hanno avuto alle riunioni?

Erano tutti molto disciplinati, impegnati, interessati, seri. Questa esperienza ha confermato quello che avevo già potuto constatare con le altre assemblee, ovvero che i cittadini “comuni” – nel senso che non sono politici -, una volta accettato questo incarico, lo prendono molto sul serio. In un certo senso sono anche riconoscenti di avere la possibilità di dire la loro su temi politici anche molto importanti come quello della riforma elettorale in Bosnia Erzegovina. Dalla sentenza Sejdić-Finci della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 2009 infatti, la Bosnia è praticamente costretta a modificare il sistema elettorale, ma fino ad ora la politica non è stata in grado di trovare una soluzione. Per cui è sempre impressionante vedere cittadine e cittadini che non sono politici di professione discutere in modo serio e senza alcun tipo di tensione interetnica (ovviamente i gruppi erano misti, i partecipanti non erano divisi per regione o gruppo etnico). Nel contesto difficile della Bosnia, lavorare con le cittadine e i cittadini ridà una certa speranza, perché dimostrano di essere capaci di oltrepassare queste barriere, vere o presunte che siano, e lavorare per costruire qualcosa insieme.

Quali soluzioni sono state identificate dai partecipanti?

Il risultato del lavoro dell’assemblea è un rapporto con 17 raccomandazioni .

Tra le diverse proposte, per quanto riguarda la Presidenza tripartita della Bosnia Erzegovina, che non include un rappresentante del gruppo degli “Altri” – ovvero delle minoranze presenti nel paese – hanno proposto una soluzione interessante ed innovativa, diversa da tutte quelle che sono state finora avanzate. Innanzitutto hanno suggerito di ridurre gli attuali poteri della Presidenza, di renderla una Presidenza di rappresentanza trasferendo alcuni poteri al Consiglio dei Ministri. In secondo luogo – e questo è l’elemento davvero interessante – hanno proposto che i membri della Presidenza vengano nominati tra i candidati eletti in Parlamento così da garantirne la legittimità popolare. Ognuno dei quattro Presidenti nominati – uno per ciascun popolo costituente più uno in rappresentanza degli Altri – rimarrebbe in carica a rotazione per un anno, dopodiché tornerebbe a ricoprire la sua posizione di membro del parlamento. Questa è una soluzione creativa e fattibile, che pensandoci bene richiama un sistema già esistente in Regno Unito, il cosiddetto sistema di Westminster. Il fatto piuttosto interessante è che i partecipanti sono giunti a questa soluzione in totale autonomia e senza avere in mente tale sistema.

Per quanto riguarda l’altra questione – l’elezione della Camera dei Popoli – i partecipanti hanno avanzato una proposta radicale, ovvero di eliminare complementare la Camera, non solo a livello statale, ma anche a livello delle entità. Questa proposta, senz’altro radicale ma che era stata caldeggiata anche dalla Commissione di Venezia del Consiglio d’Europa, è stata adottata quasi all’unanimità. I partecipanti hanno discusso dell’utilità di questa Camera e si sono resi conti che in realtà serve solo per bloccare certi processi decisionali evocando il famoso “interesse etno-nazionale”, quindi alla fine hanno proposto di abolirla.

Che reazioni hanno avuto i rappresentanti politici e le istituzioni locali rispetto ai risultati dell’assemblea?

Prima dell’assemblea dei cittadini abbiamo fatto una serie di lavori preparatori per coinvolgere anche attori locali. Mesi prima abbiamo organizzato una presentazione per i giornalisti, per renderli partecipi dell’iniziativa. Allo stesso modo si è cercato un contatto con un gruppo di rappresentanti delle due Camere del Parlamento, ma questo contatto ha funzionato fino ad un certo punto. Abbiamo anche invitato rappresentanti di diversi partiti ad un incontro durante il primo weekend per confrontarsi con i membri dell’assemblea. Tre di loro si sono presentati, di cui un membro della prima camera del Parlamento e uno della seconda. Il terzo non è un parlamentare, ma è molto vicino ad un ex Presidente del Consiglio. Tutto sommato tre profili abbastanza “alti” li abbiamo avuti.

A marzo i risultati dell’assemblea sono stati presentati in Parlamento davanti ad un gruppo di parlamentari, tutto si è concluso lì. Conoscendo la situazione in Bosnia, non mi sarei aspettato altro, purtroppo. Raramente i parlamentari sono disposti a seguire le raccomandazioni, c’è chi decide di impegnarsi più di altri, esaminando le proposte e magari scrivendo un rapporto su cosa possono attuare e cosa no. In Svizzera ad esempio in alcuni casi in cui c’è stato questo tipo di impegno da parte delle autorità. In Bosnia questo non c’è stato.

Andando oltre il livello politico-istituzionale, quanto e come se ne è parlato nel paese? Si è aperto un dibattito tra i media e l’opinione pubblica?

No, direi che un dibattito ampio come avremmo sperato non c’è stato. Ci sono stati degli articoli sui giornali o sui portali, anche Oslobođenje, storico quotidiano, ha dedicato due pagine a questa assemblea cittadina. Sia io che il mio collega politologo di Sarajevo abbiamo scritto un articolo, però non possiamo dire che questo abbia fatto partire un dibattito ampio.

Non saprei dire il perché. È chiaro che alle istituzioni queste assemblee non interessino molto. In un certo senso le vedono come un attacco alle loro prerogative, non capiscono il senso di organizzare assemblee di cittadini estratti a sorte, per loro le elezioni sono l’unico metodo democratico possibile. Ma questa è una reazione generale che c’è ovunque, quindi non sorprende.

Alla luce del risultato di questa esperienza, quale può essere il valore aggiunto di questo strumento di democrazia deliberativa nel contesto bosniaco e in relazione all’attuale crisi istituzionale? Cosa resta di questa iniziativa e quali prospettive di replica esistono per il futuro?

Quello che resta è sicuramente l’idea che se si vogliono cercare e trovare soluzioni a problemi che possono anche apparire difficili, lo si può fare. Le soluzioni esistono e magari non sono neanche così difficili da trovare. Se un gruppo di cittadini che non se n’è mai occupato è riuscito a farlo in due weekend, forse anche politici che lo fanno di professione dopo così tanti anni avrebbero potuto farlo. Se esiste la buona volontà, le soluzioni si trovano.

La direzione per il futuro è quella di tornare a ridare la democrazia nelle mani dei cittadini e delle cittadine. Oggi esistono le elezioni, ma queste non sono sufficienti, perché una volta eletti, i rappresentanti politici tendono a sfuggire al controllo dei cittadini, per i quali l’unica possibilità di “sanzionarli” è quella di aspettare le prossime elezioni. Ogni quattro anni però, i cittadini rischiano di trovarsi intrappolati in logiche etno-nazionaliste: durante la campagna elettorale chi sta al potere gioca subito la carta etnica, tra chi vorrebbe eliminare la Repubblica Srpska e chi vorrebbe creare una terza entità croata, ecc…. È come se fosse un ping pong tra di loro, al posto di parlare di ciò che hanno fatto piuttosto che di ciò che non hanno fatto nei quattro anni, dell’economia, dello stato sociale, dell’ecologia ecc, preferiscono parlare di questi massimi sistemi, delle questioni che riguardano la struttura dello stato. Così facendo però si perde l’idea di responsabilità democratica – cosiddetta accountability – questa idea del dover rendere conto da parte dei politici.

Rispetto alla necessità di ridare la democrazia nelle mani dei cittadini, in passato c’erano già stati casi di iniziative nate dal basso, come ad esempio quella dei plenum del 2014. In che cosa si distingue questo esperimento delle assemblee cittadine rispetto all’esperienza dei plenum?

L’esperienza dei plenum è interessante perché fa capire che c’è veramente un desiderio da parte dei cittadini di far politica dal basso, di dire la loro.

Il problema dei plenum del 2014 era che mancava loro una struttura. È molto difficile portare avanti delle rivendicazioni senza una struttura, perché chi ha il potere ha le risorse, la legittimità che viene dalla Costituzione, dalle leggi, dalle elezioni. È stata un’esperienza importante, però non mi ha sorpreso che si sia spenta dopo un po’ di tempo.

Quello che secondo me ci vorrebbe è una riforma della democrazia che includa queste innovazioni democratiche. Ad esempio, credo che le assemblee dei cittadini dovrebbero essere istituzionalizzate, incluse ovviamente le risorse di cui hanno bisogno per poter funzionare. Bisogna andare verso il modello che da alcuni anni esiste in Belgio o in alcune città come Parigi, Bruxelles e Madrid che stanno cercando di istituzionalizzare queste assemblee cittadine, le quali, pur non potendo prendere decisioni vincolanti, sono in grado di influenzare l’agenda politica. Secondo me questa è la direzione verso la quale la Bosnia, ma anche le democrazie in generale, dovrebbero andare.

Questa assemblea dei cittadini è stata promossa dalla delegazione dell’UE in Bosnia Erzegovina. Quanto è importante il ruolo di attori internazionali quali l’UE nel supportare tali iniziative?

Ovviamente sarebbe meglio se queste iniziative facessero parte delle istituzioni del paese, quindi che non ci fosse bisogno di nessun organismo esterno. In questo caso è stata l’UE a promuovere e finanziare l’iniziativa, ma l’ideale sarebbe che le assemblee venissero istituzionalizzate e che ci fossero dei fondi ad hoc per permettergli di funzionare.

Il problema quando interviene un organismo esterno come in questo caso l’UE, ma potrebbe essere il Consiglio d’Europa o diverse altre organizzazioni internazionali, è che c’è sempre il dubbio o il sospetto che ci sia qualcosa dietro, una specie di agenda nascosta. Il che può essere vero oppure no, però rimane il fatto che questo sospetto esiste, e questo non è ovviamente un bene. In questo caso, penso che l’UE abbia voluto dimostrare anche ai politici locali che è possibile fare democrazia diversamente.

Andando oltre il caso bosniaco, quale potenziale hanno queste iniziative di democrazia deliberativa, pensando anche alla Conferenza sul Futuro dell’Europa, alla luce della crisi della democrazia che stanno attraversando molti paesi in Europa?

È importante citare la Conferenza sul futuro dell’Europa; tra le varie opzioni da considerare per migliorare la qualità democratica a livello di Unione Europea, penso che la soluzione principale sia proprio quella di andare nella direzione di un maggior numero di assemblee cittadine.

Questo strumento ha vari vantaggi. Prima di tutto, il sorteggio permette di attuare il principio di uguaglianza: all’interno di una comunità politica ognuno ha esattamente la stessa probabilità di essere sorteggiato, nessuno viene escluso. Direi che due principi fondamentali della democrazia, ovvero inclusione e uguaglianza, vengono garantiti meglio tramite sorteggio che tramite elezioni.

Per chi viene sorteggiato poi, le assemblee rappresentano una vera e propria scuola di democrazia, perché non solo gli permettono di dialogare e discutere, ma danno anche la possibilità di uscire dalla propria bolla e venire a contatto con persone diverse per etnia o religione, come nel caso della Bosnia, ma anche semplicemente per livello di istruzione o cultura. Questi scambi sono molto importanti.

Infine esiste un valore aggiunto anche per le istituzioni, perché i risultati delle deliberazioni all’interno delle assemblee cittadine offrono una prospettiva diversa rispetto a quella che possono avere i parlamentari su una data questione. Spesso nelle assemblee ci sono persone direttamente interessate da un dato problema – come ad esempio la disoccupazione – che possono esprimere la loro opinione. Se le istituzioni riuscissero ad utilizzare in modo intelligente gli input che vengono dalle assemblee cittadine, ne trarrebbero vantaggio anche loro.

D’altra parte però, se le raccomandazioni che emergono da queste iniziative non vengono prese in considerazione o presto dimenticate, non si corre il rischio di aggravare la condizione di sfiducia nei confronti della politica e delle istituzioni?

Certo, questo rischio esiste, soprattutto laddove questi strumenti vengono utilizzati un po’ come un esercizio-alibi da politici che per rispondere alle critiche decidono di organizzare assemblee con cittadini estratti a sorte impegnandosi ad ascoltarli, salvo però poi ignorare le loro raccomandazioni. È chiaro che questo alla fine può avere l’effetto contrario di quello che si vorrebbe, per questo è importante chiarire sin dall’inizio qual è l’impegno da parte del potere politico.

È altrettanto chiaro che sarebbe anche sbagliato pretendere che un’assemblea di estratti a sorte prenda delle decisioni valide per tutta la nazione. Per questo l’ideale sarebbe abbinare le assemblee cittadine allo strumento del referendum, così come è stato fatto in Irlanda su temi quali l’aborto e i matrimoni tra persone dello stesso sesso, ad esempio. In questo modo si crea questo legame di legittimità tra l’assemblea cittadina e l’intera popolazione. Trovo che questa soluzione sia un modo piuttosto intelligente per unire due estremi, il sorteggio da un lato e la legittimità popolare dall’altro.

 

Il sistema elettorale della BiH

Secondo l’attuale sistema elettorale, alla Presidenza collegiale della Bosnia possono essere eletti solamente tre rappresentanti appartenenti ai cosiddetti popoli costituenti: bosgnacco, croato e serbo. Allo stesso modo, i 15 membri della Camera dei Popoli – una delle due camere dell’Assemblea Parlamentare della BiH – sono eletti anch’essi tra i membri dei gruppi etnici principali. Questo sistema risulta dunque discriminatorio nei confronti degli “Altri”, ovvero tutti coloro che non si identificano in nessuno di questi tre gruppi. La Corte europea dei diritti dell’uomo ha affrontato la questione in diverse sentenze, prima tra tutte la Sejdić-Finci del 2009, dichiarando il sistema bosniaco contrario ai principi della CEDU – di cui la Bosnia è parte – e invitando il paese ad attuare le riforme necessarie.

 

 

Progetto

L’esperimento di democrazia deliberativa è stato oggetto di discussione al seminario di Mostar nell’ambito del progetto Piattaforma accademica sulla Costituzione e l’adesione della Bosnia Erzegovina all’UE.

 

Questo materiale è pubblicato nel contesto del progetto "Bosnia Erzegovina, la costituzione e l’integrazione europea. Una piattaforma accademica per discutere le opzioni” sostenuto dalla Central European Initiative (CEI). La CEI non è in alcun modo responsabile delle informazioni o dei punti di vista espressi nel quadro del progetto. La responsabilità sui contenuti è unicamente di OBC Transeuropa. Vai ai materiali del progetto

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