Bosnia Erzegovina: esiste ancora la CRPC?
Dopo otto anni di lavoro, la Commissione per i reclami sulle proprietà immobiliari (CRPC) ha trasferito le sue competenze alle istituzioni locali. Ma – secondo l’ICHR – il passaggio non è stato gestito in modo adeguato
A cura dell’ICHR
Chi si ricorda della Commissione per i reclami sulle proprietà immobiliari (Commission for Real Property Claims – CRPC)? Oltre a qualche accademico che si interessa dei meccanismi di reclami di massa, oggi pochissime persone in Bosnia Erzegovina ricordano la Commissione creata in base all’allegato 7 degli Accordi di pace di Dayton. Ancor meno persone sanno che la CRPC, come istituzione del governo bosniaco, esiste ancora e decide sui reclami sugli immobili. La sua attività è divenuta rilevante gli scorsi mesi in seguito ad una decisone della Commissione sui diritti umani che ha criticato il completo trasferimento di competenze dagli organi internazionali a quelli locali e ha sottolineato i difetti di una strategia di passaggio di competenze non adeguatamente pianificata.
La CRPC ha rappresentato uno dei principali interventi della comunità internazionale in Bosnia. Durante i suoi otto anni di vita (1996-2003) la CRPC è arrivata ad impiegare oltre 400 persone, ha ricevuto reclami per oltre 320.000 immobili ed ha confermato i diritti di proprietà per oltre 312.000 decisioni. Il costo totale dell’operazione ammonta a 33.500.000 $, finanziato dai principali donatori alla Bosnia Erzegovina. Ma l’effettività della CRPC è stata minata perché pur potendo confermare i diritti di proprietà, non aveva alcun mezzo per applicare le decisioni. I richiedenti che tentavano di tornare in possesso delle loro proprietà dovevano rivolgersi alle autorità locali per farsele restituire. Le autorità locali, su pressione della comunità internazionale, hanno quindi creato un meccanismo interno per i reclami che ha iniziato a risolvere le rivendicazioni sulle proprietà con crescente rapidità. Ma il percorso interno di restituzione delle proprietà operava parallelamente alla CRPC e mancava completamente un coordinamento tra le loro attività. Nei giudizi sui reclami di proprietà esisteva una doppia procedura tra la CRPC e le autorità interne, ma solamente queste potevano legalmente far rispettare i reclami e restituire le proprietà ai richiedenti.
Alla fine del 2003 la CRPC ha terminato le sue operazioni. Come parte della strategia di passaggio di competenze ha firmato una accordo con le autorità della Bosnia Erzegovina che prevedeva il trasferimento presso di loro dei casi ancora prendenti presso la CRPC.
Due funzioni sono state trasferite dalla CRPC alle autorità interne: la soluzione di circa 1.400 casi che la CRPC, per diversi motivi, non era stata in grado di giudicare e la cosiddetta "procedura di riconsiderazione", cioè una procedura che introduceva una seconda istanza obbligatoria prima che le parti potessero richiedere la revisione del certificato emesso dalla CRPC.
Il trasferimento dei casi irrisolti è avvenuto verso la fine del 2004. Questi casi, dopo un certo ritardo, sono stati presi in carico dagli uffici comunali che, per la maggior parte, li avevano già risolti. Controlli a campione indicano che il 90-95% dei contenziosi erano già stati risolti dalle autorità abitative municipali.
La procedura di riconsiderazione è stata trasferita ad una "CRPC interna" nominata dal Consiglio dei ministri della Bosnia Erzegovina, che continua a decidere sulle richieste di revisione dei certificati della CRPC. Tale soluzione è stata affrontata negli ultimi mesi dell’esistenza della CRPC dopo ampie negoziazioni tra questa, il Ministero per i diritti umani, l’UNHCR, l’OSCE e l’OHR. L’intera strategia di chiusura della CRPC e la fine del suo mandato sono state un continuo processo di negoziato tra le autorità interne e i funzionari della CRPC che erano sotto pressione per la scadenza del loro mandato, alla fine del 2003.
Di conseguenza, la procedura di riconsiderazione ha creato numerosi problemi sia legali che politici. Molti dei casi soggetti a riconsiderazione riguardavano gli appartamenti dell’JNA (Esercito Jugoslavo) dei quali, secondo le leggi sulle proprietà, si poteva ritornare in possesso solamente se il richiedente soddisfaceva ad una serie di criteri restrittivi. Negli anni scorsi gli appartamenti della JNA sono stati una questione molto contesa, con numerosi casi presentati alle istituzioni interne bosniache per i diritti umani. Il ministero della Difesa della Federazione aveva infatti richiesto la revisione dei certificati dell’CRPC nel tentativo di ottenere il controllo su quegli appartamenti. Tale problematica questione si sovrapponeva al periodo di chiusura della CRPC e finì all’esame della CRPC interna.
In uno di questi casi di fronte alla Commissione sui diritti umani – Mile Savic v Federation of Bosnia and Herzegovina and Bosnia and Herzegovina – il richiedente, dopo essere tornato in possesso del suo appartamento ed essercisi stabilito nuovamente, rischiava lo sfratto poiché le regole della CRPC nel frattempo erano cambiate. La Commissione ordinò di sospendere gli sfratti e nel settembre 2005 rilevò la violazione dell’articolo 8, 6 (1) e il protocollo 1 della Convenzione Europea per i Diritti Umani, dal momento che gli sfratti rappresentavano un’interferenza illegale con i diritti di Savic. Allo stesso tempo ha concluso che la CRPC interna, creata dagli accordi tra la CRPC e la Bosnia Erzegovina, non è un tribunale come inteso per l’articolo 6 (1) della Convenzione Europea. La Commissione ha concluso anche che per proteggere la "legalità il paese dovrebbe assicurare la protezione giuridica" agli applicanti e che dovrebbe cambiare le leggi in merito.
Nella decisone la Commissione ritiene inoltre che la soluzione delle questioni di proprietà e la riconsiderazione delle decisioni della CRPC dovrebbero essere di competenza della Corte della Bosnia Erzegovina. Il caso è ancora aperto ma la decisione sopra menzionata potrebbe rendere necessario alle autorità della Bosnia Erzegovina di trovare un’altra soluzione per la procedura di riconsiderazione presso la CRPC interna. Con la sua decisione la Commissione per i diritti umani ha infatti sottolineato come la strategia di chiusura di una missione internazionale come la CRPC, se non basata su una attenta pianificazione e forti argomenti giuridici, potrebbe creare situazioni di violazione dei diritti individuali.