Bosnia Erzegovina, candidato all’UE

Lo scorso 15 dicembre il Consiglio europeo ha finalmente deciso di accogliere le raccomandazioni della Commissione europea e di concedere lo status di paese candidato alla Bosnia Erzegovina. Decisione che, secondo molti analisti, non comporterà grandi cambiamenti né vantaggi per i cittadini e l’economia della BiH. La strada verso l’UE è ancora tutta in salita

21/12/2022, Arman Fazlić - Sarajevo

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Durante il Consiglio europeo del 15 dicembre 2022 © Unione europea

La decisione del Consiglio europeo di concedere lo status di candidato alla Bosnia Erzegovina è giunta dopo che i ministri degli Affari Europei degli stati membri, riunitisi nel Consiglio Affari Generali lo scorso 13 dicembre, si sono espressi sulla questione, raccomandando di “conferire lo status di paese candidato alla Bosnia Erzegovina, previa conferma da parte del Consiglio europeo”.

Nelle conclusioni del Consiglio Affari Generali si sottolinea quanto sia urgente, considerando l’attuale contesto geopolitico, che la Bosnia Erzegovina faccia passi in avanti nel suo percorso di avvicinamento all’UE, “in particolare attraverso l’attuazione di tutte e quattordici le priorità chiave individuate nel parere della Commissione relative alla domanda di adesione della Bosnia Erzegovina all’UE, approvato dal Consiglio bel 2019”.

Una decisione storica e/o simbolica

La Bosnia Erzegovina è il quinto paese dei Balcani occidentali ad aver ottenuto lo status di candidato all’adesione all’UE, dopo la Macedonia del Nord (2005), il Montenegro (2010), la Serbia (2012) e l’Albania (2014).

La questione della concessione dello status di candidato alla Bosnia Erzegovina è ritornata in auge in occasione del Consiglio europeo del 23 e 24 giugno scorsi, dopo l’annuncio dei leader dell’UE di voler conferire lo status di candidato alla Moldavia e all’Ucraina. A insistere maggiormente sulla necessità di rilanciare il processo di adesione della Bosnia Erzegovina all’UE è stata la Slovenia.

Nel corso del Consiglio europeo dello scorso giugno il premier sloveno ha infatti chiesto che nelle conclusioni della riunione – contenenti tra l’altro anche la decisione di concedere lo status di candidato alla Moldavia e all’Ucraina – venisse specificata una prospettiva più concreta riguardo al percorso europeo della Bosnia Erzegovina. Così si è arrivati alla decisione di invitare la Commissione europea a fare il punto dello stato di attuazione delle riforme in BiH, cruciali per l’integrazione europea del paese, affinché il Consiglio potesse tornare a discutere della possibilità di concedere lo status di paese candidato alla BiH. Dopo il parere positivo della Commissione, lo scorso 15 dicembre il Consiglio europeo ha ufficialmente conferito lo status di candidato alla BiH.

Una decisione che diversi funzionari europei e bosniaco-erzegovesi hanno definito storica. Al termine del Consiglio Affari Generali dello scorso 13 dicembre il ministro ceco per gli Affari europei, Mikuláš Bek, ha dichiarato che si tratta di un momento storico per la Bosnia Erzegovina, auspicando che il paese riesca a sfruttare l’occasione per velocizzare il processo di adozione delle riforme necessarie.

“La concessione dello status di paese candidato alla Bosnia Erzegovina è un importante segnale per i Balcani occidentali, soprattutto considerando l’attuale contesto geopolitico”, ha affermato Maroš Šefčovič, vicepresidente della Commissione europea, precisando che l’allargamento è una questione di importanza strategica per l’UE e che nessun’altra politica o iniziativa può essere un’alternativa alla prospettiva europea dei Balcani occidentali.

Per quanto riguarda i vantaggi legati allo status di candidato, va innanzitutto sottolineato che d’ora in poi la Bosnia Erzegovina potrà partecipare alle riunioni del Consiglio Affari Esteri dell’UE. Quanto invece ai benefici economici, Johann Sattler, capo della delegazione dell’UE a Sarajevo, in una recente intervista rilasciata a Radio Slobodna Evropa, ha precisato che lo status di candidato non comporta la possibilità di accedere a particolari fondi europei.

Alcuni esperti infatti sottolineano che i fondi europei sono aperti a tutti i paesi a prescindere dallo status di cui godono nell’ambito del processo di allargamento: per ottenere risorse è necessario sviluppare un approccio strategico e presentare progetti ben definiti.

La professoressa Lejla Ramić-Mesihović, direttrice del Dipartimento di Relazioni Internazionale e Studi Europei presso l’International Burch University di Sarajevo, spiega che i fondi europei non sono strettamente legati allo status di paese candidato in quanto tale. Dall’altra parte, come precisa la professoressa, il fatto che la Bosnia Erzegovina abbia ottenuto lo status di candidato sicuramente avrà un certo peso per quanto riguarda le richieste di prestito presso le istituzioni finanziarie internazionali, come la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (BERS) e la Banca europea per gli investimenti (BEI), che vedono tra i membri dei propri consigli di amministrazione anche i rappresentanti dell’UE.

“Per la Bosnia Erzegovina lo status di candidato è importante perché incide, seppur indirettamente, sul rating creditizio, ma anche come indicatore del grado di sicurezza legale e di una potenziale stabilizzazione finanziaria del paese”, spiega a OBCT Lejla Ramić-Mesihović.

La professoressa sottolinea poi che, pur avendo la Bosnia Erzegovina ormai da anni la possibilità di accedere ai fondi previsti dallo Strumento di assistenza pre-adesione (IPA), nell’ultimo decennio le istituzioni bosniaco-erzegovesi non si erano impegnate abbastanza sul fronte della pianificazione strategica a medio termine in modo da poter assorbire i fondi europei necessari per lo sviluppo di alcuni settori economici.

“Il problema principale per quanto riguarda l’elaborazione di strategie a medio termine relative al programma IPA e agli altri fondi, come quelli previsti dallo Strumento di assistenza pre-adesione per lo sviluppo rurale (IPARD), risiede nel fatto che in Bosnia Erzegovina si cerca di sfruttare qualsiasi occasione per destabilizzare il paese, tra litigi e polemiche sui poteri previsti dalla Costituzione”, commenta la professoressa.

Per Adi Ćerimagić, analista del think tank ESI con sede a Berlino, la concessione dello status di candidato alla BiH non avrà un impatto rilevante sulla quotidianità e sul tenore di vita dei cittadini bosniaco-erzegovesi. Affinché questa decisione simbolica – spiega Ćerimagić – possa incidere non solo sulla dinamica dei negoziati di adesione, ma anche sulla quotidianità, è necessario che l’UE riveda l’intera politica di allargamento, offrendo a tutti i paesi coinvolti una prospettiva realizzabile.

“In realtà, lo status di candidato è un messaggio simbolico con cui l’Unione europea desidera far sapere, innanzitutto ai cittadini bosniaco-erzegovesi, che, nonostante tutte le sfide che si trova ad affrontare, ancora conta sulla Bosnia Erzegovina come futuro membro. Per quanto riguarda i vantaggi legati allo status di candidato, oltre a quel messaggio simbolico, non vi è nulla di concreto. Per i cittadini non sarà più facile viaggiare e trovare lavoro nell’UE, le merci e i servizi provenienti dalla BiH non entreranno più facilmente nel mercato UE e non ci saranno fondi aggiuntivi per la BiH”, spiega Ćerimagić a OBCT.

Il percorso di adesione

Ad ottobre la Commissione europea ha presentato la sua ultima relazione sui progressi della Bosnia Erzegovina nel percorso di avvicinamento all’UE, esprimendo un giudizio assai negativo perché – come si precisa nel rapporto – la BiH non ha compiuto alcun progresso nei settori chiave. È stata proprio l’assenza di riforme a spingere alcuni membri della Commissione alla proposta di concedere lo status di candidato alla BiH.

Alla fine la Commissione ha deciso di raccomandare lo status di candidato per la BiH, aspettandosi però che il paese soddisfi otto requisiti riguardanti la riforma del sistema giudiziario, il rispetto dei diritti umani e la necessità di garantite la funzionalità e il coordinamento delle istituzioni in vista dell’adozione dell’acquis comunitario. I requisiti in questione sono strettamente legati alle quattordici priorità, individuate dalla Commissione europea nel suo parere sulla domanda di adesione della Bosnia Erzegovina del 2019, priorità che il paese deve soddisfare per poter avviare i negoziati di adesione.

Gran parte di questi requisiti è difficilmente realizzabile, perché manca un ampio consenso politico sulle questioni di cruciale importanza, come la riforma costituzionale, il trasferimento dei poteri alle istituzione centrali, la creazione di una corte suprema competente a livello statale, la chiusura dell’Ufficio dell’Altro rappresentante, questioni a loro volta legate alla problematica relativa ai beni di proprietà dello stato e dell’esercito.

Dopo la concessione dello status di candidato, il prossimo passo nel percorso di avvicinamento all’UE è l’avvio dei negoziati di adesione che deve essere raccomandato dalla Commissione. “La Bosnia Erzegovina potrà intraprendere le riforme necessarie solo quando, come accaduto in Macedonia del Nord, al potere arriveranno politici e governi disposti a trovare soluzioni. Altrimenti, l’UE dovrà adeguare la sua politica e offrire non solo alla Bosnia Erzegovina, ma anche agli altri paesi della regione una chiara prospettiva, sia che si tratti di adesione a pieno titolo o di una fase intermedia che preveda, ad esempio, la possibilità di godere delle quattro libertà fondamentali [su cui è basato il mercato interno comune], dando così slancio al processo di riforme e di avvicinamento dei paesi [dei Balcani occidentali] all’UE”, conclude Adi Ćerimagić.

Il processo di adesione della Bosnia Erzegovina all’UE ha ufficialmente preso avvio nel 2008 con la firma dell’Accordo di stabilizzazione e associazione. Due anni dopo la Commissione europea ha deciso di abolire i visti d’ingresso per i cittadini bosniaco-erzegovesi. La Bosnia Erzegovina ha presentato formalmente la richiesta di adesione nel 2016, da allora però le autorità bosniaco-erzegovesi hanno fatto ben poco per avvicinare il paese all’Unione europea.

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