Boris Tadić di nuovo alla guida del DS

Al tanto atteso congresso del partito di maggioranza serbo, il DS, è stato rieletto presidente Boris Tadić. Grande imbarazzo per il fallimento del voto elettronico. Successo per il sindaco di Belgrado, che diventa vicepresidente, sconfitta per il ministro degli Esteri Vuk Jeremić

28/12/2010, Petra Tadić - Belgrado

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Boris Tadić, presidente della Serbia e neo eletto presidente del DS (DEMOKRATSKA STRANKA)

 

 

 

Boris Tadić resta alla guida del Partito democratico (DS) . Così è stato deciso durante l’assemblea del partito tenutasi sabato 18 dicembre a Belgrado. "La Serbia entrerà nell’Unione europea nel 2016 e il DS vincerà le elezioni nel 2012", gli slogan con cui Tadić nel suo discorso ha inaugurato questa sua nuova presidenza.

Dall’assemblea del Partito democratico, annunciata e rinviata per mesi, ci si aspettava che si dicesse e che si indicasse dove è oggi la Serbia, in che direzione andrà e, ciò che interessa a molti, quando si terranno le prossime elezioni politiche. Sui contenuti dell’assemblea diremo più avanti. Prima però parliamo dell’impressione più forte emersa da quest’assemblea, che può essere sintetizzata in modo colloquiale con la parola "imbarazzo".

L’imbarazzo del voto elettronico

I democratici volevano dimostrare che la Serbia sta progredendo e volevano farlo grazie alle nuove tecnologie. Tremila delegati della nuova guida del partito per la prima volta avrebbero dovuto essere eletti con il voto elettronico.

Dopo la prima parte di seduta, trascorsa in modo piuttosto noioso, e dopo il discorso di Boris Tadić e dei candidati alla posizione di vicepresidente, i delegati sono stati invitati alle postazioni di voto. Ogni delegato è entrato nella cabina elettorale, ha digitato il codice pin personale, ha votato per il presidente e per i vicepresidenti, ha stampato la sua scelta e poi ha inserito il foglietto nell’urna. Per le 17 era stato fissata la parte cerimoniale della seduta a cui erano stati invitati numerosi ospiti, rappresentanti di partito, alti funzionari statali e il coro diplomatico. Ma alle cinque non c’era traccia dei risultati del voto. Il sistema elettronico era “saltato”, suscitando una confusione generale. Il comitato organizzativo non sapeva cosa fare e molti delegati avevano già abbandonato la sala del centro congressi Sava Centar. Nel frattempo si è passati al voto manuale e alla fine tutti i voti sono stati raccolti. I vincitori sono stati resi noti solo alle 22.

Chi quel giorno era tra i delegati all’assemblea poteva leggere sul viso di molti rabbia, delusione e nervosismo. Si è parlato di risultati irregolari, si è persino fatto cenno a teorie cospirative. Si è detto anche che alcuni, avendo visto che stavano perdendo, avrebbero messo fuori uso il sistema elettronico. L’impressione è che in questione ci fosse un pressapochismo nell’organizzazione del voto elettronico.

Srbijanka Turajlić, docente presso la facoltà di elettrotecnica di Belgrado, intervistata dai media locali non è stata tenera: "I democratici ancora una volta hanno dimostrato di credere di saper fare tutto da soli, motivo per cui non hanno pensato di chiamare degli esperti del settore. Qualsiasi studente sarebbe stato in grado di garantire loro un sistema funzionante”.

Le promesse di Tadić, rieletto presidente del partito

Ma torniamo alle elezioni. Boris Tadić era l’unico candidato alla presidenza del partito. Nel suo discorso ha affermato che il DS deve porsi l’obiettivo di vincere alle elezioni politiche, a fine legislatura, nel 2012. Tadić ha poi annunciato un piano per la Serbia del prossimo decennio. Ciò su cui occorre lavorare è a suo avviso la riforma del sistema giudiziario, l’avvio del dialogo sul Kosovo, l’occupazione, la riforma del sistema elettorale, gli investimenti nelle infrastrutture, l’adozione della legge sulle restituzioni, il proseguimento della lotta alla corruzione e alla criminalità e tutto ciò che è necessario per entrare nell’Unione europea.

“Noi già negli anni novanta avevamo un piano per la Serbia del 2010. Un obiettivo di questo piano era ciò che è avvenuto il 5 ottobre [del 2000, la caduta del regime di MIlosevic, ndr]. Il DS e Zoran Ðinđić hanno progettato assieme quel piano. Se non ci fosse stato il 5 ottobre noi oggi non avremmo un paese che ottiene riconoscimenti da parte dell’Ue per il processo di integrazione. Se la Serbia oggi dovesse fermarsi, ci sarebbero tragiche conseguenze. La Serbia non può fermarsi. Vi dico solo che se sono riuscito a tener questo discorso con una gamba infortunata, significa che possiamo vincere anche con una gamba sola”, ha dichiarato Tadić ai delegati del DS, sorreggendosi con una stampella a seguito di un recente incidente.

Poco  prima i delegati avevano votato degli emendamenti allo statuto del partito, secondo i quali il presidente del partito può sospendere di sua spontanea iniziativa i vicepresidenti e i comitati di tutta la Serbia, su cui in seconda istanza ha il potere di decidere il Comitato centrale.

I vice presidenti eletti

Per quanto riguarda la vicepresidenza vi erano cinque candidati per sei posti. Due candidati erano scontati: la Vojvodina ha un posto da vicepresidente garantito e Bojan Pajtić, presidente della Provincia, era l’unico candidato. Un’altra quota è riservata ad una donna e Jelena Trivan, unica candidata, ha tranquillamente atteso la votazione. Per i restanti tre posti da vicepresidente  hanno “gareggiato” Dragan Šutanovac, ministro della Difesa, Dragan Đilas, sindaco di Belgrado, Dušan Petrović, sostituto del presidente del partito e principale quadro del partito e Vuk Jeremić, ministro degli Esteri. Pajtić, Đilas e Šutanovac  si sono presentati di fatto assieme lasciando nei fatti Petrović e Jeremić a battersi per l’ultimo posto rimasto.

Pare che i tre di cui sopra abbiano tenuto conto dell’insoddisfazione di molti membri del partito per le modalità con cui Petrović avrebbe condotto il partito. Jeremić è diventato l’”effetto collaterale” dello scontro in atto. Il ministro degli Esteri ha cercato di assicurarsi un appoggio all’interno del partito, così da poter mantenere la sua posizione anche presso il presidente Tadić, ma evidentemente è cresciuto in un partito in cui non gode di molto sostegno.

Successo per Ðilas e sconfitta per Jeremić

Non c’è stata alcuna sorpresa in merito al candidato alla vicepresidenza che ha ottenuto meno preferenze. Come atteso, Vuk Jeremić non è stato eletto. Vera e propria sorpresa invece l’elezione di Dragan Ðilas con il maggior numero di voti dei delegati: nonostante non sia da molto nel partito. Molti hanno interpretato l’accaduto come un grande successo di Ðilas e un grande insuccesso di Dušan Petrović. Ðilas è diventato così il numero due su tutti i livelli  – il sindaco di Belgrado è ritenuta la seconda carica più importante del paese –  e da sabato 18 dicembre è il secondo uomo del DS con evidente sostegno della maggioranza dei comitati locali.

Alla fine, l’assemblea del DS ha mostrato che i democratici credono che nessuno sia meglio di loro. Anche se evidenti sono state le rotture all’interno del partito e le insoddisfazioni tra i delegati. Nel prossimo periodo non sono previsti grandi cambiamenti nel partito, anche se si specula sul fatto che Jeremić potrebbe cercare un’altra “casa politica”. Tuttavia, se i democratici non riconosceranno la crescente insoddisfazione dei cittadini e non risolveranno i problemi al loro interno, non avranno molti motivi per essere ottimisti guardando alle prossime elezioni.

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