Boris Pavelić, il sorriso della libertà
Libertà di stampa, censura e politica: oggi e negli anni Novanta. Un’intervista con Boris Pavelić, giornalista del quotidiano croato Novi list e autore del libro Il sorriso della libertà, che ricostruisce le vicende del settimanale satirico Feral Tribune
Boris Pavelić, giornalista del quotidiano di Fiume Novi list, ha pubblicato nel 2014 il libro Il sorriso della libertà (Smijeh slobode), che ripercorre i 25 anni di satira del settimanale Feral Tribune: da quando era breve inserto di Nova Dalmacija, agli anni della presidenza Tuđman, sino alla sua chiusura nel 2008. Il libro è alla sua seconda edizione ed è divenuto un vero e proprio bestseller in Croazia. Il volume è stato presentato in tutta la ex Jugoslavia, al Parlamento europeo e sarà alla fiera del libro di Francoforte ad ottobre.
Come hai utilizzato i materiali d’epoca, i vari numeri del Feral Tribune e l’altro materiale che hai utilizzato per il libro?
Ho cercato di spiegare agli smemorati lettori attuali come erano gli anni Novanta e cosa significava a quel tempo resistere e quanta energia comportava. I lettori del libro mi hanno detto che ci sono riuscito abbastanza. E questo mi ha dato una grande soddisfazione.
Ho cercato di spiegare che periodo è stato, quanto era difficile e che il Feral Tribune ha cercato di mettere in evidenza questo male e di opporvisi. Il Feral credeva in certi valori: credeva nella libertà, e non c’è libertà se non è libertà totale. Non può esistere la libertà fino a un certo punto. E non è vero che diffondevano l’odio: diffondevano la risata contro quelli che diffondevano l’odio.
Quale la situazione dei media in Croazia negli anni Novanta?
Esistevano due categorie di media, e un’eccezione. Una prima categoria era quella dei media statali che erano completamente controllati: lo so per esperienza, venivano fatte telefonate per dire che cosa bisognasse fare quel giorno. Una vera propaganda. E non solo durante la guerra (1991-1995) e per questioni legate alla guerra, che almeno fino a un certo punto poteva essere comprensibile. Tutti i media statali erano controllati direttamente dall’ufficio del presidente Franjo Tuđman.
La seconda categoria era quella dei media indipendenti, che godevano di una certa libertà, che hanno pubblicato alcune cose importanti, ma che venivano comunque a patti con il regime: o per convinzione personale dei proprietari e dei redattori oppure, a volte, per sopravvivere in quella società controllata.
Infine esisteva l’eccezione del Feral. Loro facevano il giornale perché volevano farlo, non dovevano nulla a nessuno e lavoravano secondo la propria coscienza.
Nel tuo libro hai toccato la tematica, che finora non è mai stata affrontata sufficientemente, della situazione del paese durante il periodo del governo di Ivica Račan, dal 2000-2003. Puoi dirci qualcosa in merito a quel periodo?
La “rudezza” della destra odierna è conseguenza di quel periodo. Račan ha avuto la possibilità di cambiare il sistema ma non lo ha fatto. L’HDZ era in ginocchio. Per quanto riguarda i media, Račan ha mantenuto Vjesnik [quotidiano statale, in seguito chiuso, ndr] per tutto il periodo del suo mandato e l’ha conservato così come l’aveva creato l’HDZ.
Vjesnik è rimasta la fortezza dell’HDZ anche nel periodo Račan. La Radio televisione croata idem. Perché Račan si sia comportato così è difficile da dire. Una delle interpretazioni è che lo frenava la paura del proprio passato comunista. La mia conclusione è che lui sia stato la persona sbagliata, nel posto sbagliato e nel periodo sbagliato. Sapendo che il Feral Tribune non era compromesso, Račan lo temeva. Non faceva quello che aveva tentato Tuđman, non cercava di “eliminarli”, ma non li aiutava nemmeno ad uscire da alcune situazioni difficili.
Oggi l’autocensura sta diventando più presente e più pericolosa della censura classica? Esiste un limite chiaro fra l’autocensura e la censura in generale?
Quei limiti non sono mai stati netti, specialmente in periodi difficili. Durante gli anni Novanta spesso accadeva che il redattore facesse quello che credeva che il padrone volesse. Questo è stato portato a dimensioni caricaturali nel periodo Sanader [capo del governo fra il 2003 e il 2009, ndr]. In quel periodo i media subirono uno strano fascino per Ivo Sanader e fecero molto a suo vantaggio. Sanader desiderava controllare i media, ma non aveva quel potere. Se i media avessero voluto contrastarlo, lo avrebbero potuto fare.
Io non credo che la situazione dei media in Croazia sia così catastrofica e così pessima da doversi sempre lamentare. Il problema più grosso è che i nostri media, i nostri redattori, pensano che qualcuno debba porgere loro la libertà su un piatto. Ma se vuoi essere veramente libero, ti devi opporre a ogni pressione, e questo i nostri redattori non lo fanno. I nostri redattori dicono “i media sono pessimi”, e poi fanno sì che sia veramente così. Non pensano con la propria testa. Pensano con la testa del premier.
L’autocensura è più pericolosa della censura anche perché quest’ultima, al giorno d’oggi, in Croazia, non esiste. Non credo infatti che oggi in Croazia una notizia possa essere nascosta. Anche senza considerare i social network, esiste un ristretto numero di media che pubblicheranno ogni notizia. Credo che oggi in Croazia i media possano adempiere al loro scopo principale, cioè pubblicare ogni notizia che merita di essere pubblicata.
In che modo commenti le recenti pressioni sui giornalisti in Croazia? Parliamo del caso del licenziamento di Boris Dežulović, editorialista di Slobodna Dalmacija, e della rimozione dell’editoriale di Davor Kril dal portale dello stesso giornale. Ma tu stesso hai ricevuto forti pressioni e minacce di licenziamento. Si tratta di una situazione momentanea in vista delle elezioni in arrivo?
E’ certamente così, ma non è tutto qui. Sono pressioni scioccanti se si considera che avvengono nel 2015 e in un paese membro dell’UE. E credo siano parte di un progetto più ampio.
Guardiamo ai fatti: l’HDZ ha assunto come proprio consulente sui media Miljenko Manjkas, un censore esperto, che conosce i media, i giornalisti e persino i proprietari. Ha lavorato in passato nell’ufficio di Tuđman, nel reparto dedicato ai media, è stato caporedattore di Večernji list, e Sanader l’ha sostituito addirittura perché era troppo di destra per i suoi gusti. Il fatto che l’HDZ di Tomislav Karamarko, presidente dell’HDZ, abbia assunto proprio lui dice molte cose.
Io mi chiedo però quale sia l’interesse dei proprietari e dei redattori dei media di legarsi così tanto a un partito politico che non è ancora al potere. Non posso del resto nemmeno affermare che vi sia un collegamento diretto fra le recenti pressioni sui media e la nomina di Manjkas.
In ogni caso l’HDZ di Karamarko mostra una caratteristica molto preoccupante, del tutto atipica per un partito democratico moderno, e si tratta del desiderio di controllare i media. A nessun partito in una democrazia normale verrebbe in mente di controllare i media. Karamarko, come lui stesso ha affermato, fa riferimento a Tuđman, e Tuđman controllava i media: era anzi l’elemento costitutivo della sua politica.
Se l’HDZ dovesse arrivare al governo, non prevedo nulla di buono per i media. Anche se dovessero perdere le elezioni: saranno così potenti che continueranno a minacciare la democrazia in modi simili e in questo sta la trappola più grossa delle elezioni in arrivo. Il piano è controllare i media forti per poi ricattare tutti gli altri.
Tu stesso hai subito pressioni e minacce di licenziamento. Ci puoi raccontare cosa ti è accaduto?
Il 2 giugno scorso il settimanale Nacional ha pubblicato un’intervista con Josip Manolić [ufficiale di alto rango nei servizi segreti della Jugoslavia socialista, e presidente del governo e del parlamento croato durante gli anni Novanta, ndr] che ha dichiarato che Karamarko alla fine degli anni Ottanta era una spia dell’UDBA, i servizi segreti jugoslavi. Il 4 giugno mi chiamano dalla redazione e mi dicono che Nacional aveva pubblicato quest’intervista, io non l’avevo vista, e mi dicono “dai un occhio”.
Compro il Nacional e mi rendo conto che l’intervista era una “bomba”. Decidiamo di scriverne un pezzo. Il 5 giugno ho lavorato al testo e l’ho mandato a Fiume, dove ha sede la redazione principale di Novi list, per la stampa. Avevo scritto un testo lungo per l’edizione cartacea ed uno breve per il web. Nella redazione di Zagabria però mi fermano e mi dicono: ”Dobbiamo ottenere le reazioni dell’HDZ” e che “il testo non può essere pubblicato senza la reazione dell’HDZ”.
Il fatto è che io ho chiamato l’HDZ e ho chiamato Manjkas, e anche il portavoce dell’HDZ Ivan Jabuka: ma non mi hanno mai risposto. Ed era chiaro che non mi avrebbero mai risposto. Erano infatti passati due giorni dall’intervista ed era evidente che avvevano scelto la linea del silenzio.
Ho quindi chiesto ai colleghi di continuare a chiamare l’HDZ e nel frattempo ho chiamato il redattore di turno per il web, gli ho mandato il testo e lui lo ha pubblicato. Ma dopo un’ora, il testo sparisce dal web.
In redazione è poi partita l’inquisitoria: chi ha pubblicato il testo? Chi ha detto cosa a chi? Però a me era stato detto dal redattore di Zagabria che il testo sul cartaceo non poteva uscire senza la reazione dell’HDZ. Ciò non significava che non poteva uscire il testo per il web dove io tra l’altro avevo riportato che avevamo cercato un commento dell’HDZ ma che non l’avevamo ottenuto. Inoltre non avevo pubblicato direttamente io il pezzo sul web, ma un redattore di Fiume. Non ho infatti "il potere" di pubblicare direttamente le notizie sul web.
Ciononostante sono stato accusato di aver pubblicato la notizia sul web senza il permesso del caporedattore Nenad Hlače. Il 15 giugno, per il mio compleanno, in redazione mi aspettava una busta con la decisione del mio licenziamento straordinario e mi comunicavano di avere 3 giorni per fare ricorso. Tutta questa storia è assurda. Il fatto che la pubblicazione di tale notizia venga descritta come un errore giornalistico è tipico della censura.
Ho fatto ricorso, dopo aver preso un avvocato, perché ho capito che non c’era da scherzare. La motivazione del mio licenziamento era lunga tre pagine, un lavoro impegnativo insomma. Qualcuno dall’”alto” è stato seduto a pensare come argomentare, come inventarsi le motivazioni per un licenziamento straordinario.
Solo la pressione dell’opinione pubblica ha impedito poi il mio licenziamento, nient’altro. La decisione che l’azienda aveva rinunciato ed aveva archiviato il tutto è arrivata già il 18 giugno. Il caso stava divenendo una valanga mediatica. Sono rimasto veramente commosso dalla reazione dei lettori. Ma nella comunicazione sulla rinuncia al licenziamento vi è scritto che l’azienda è convita che io mi sia meritato il licenziamento e che io mi sono reso colpevole di un atto che lo avrebbe giustificato, sottolineando che la prossima volta, il caporedattore avrà diritto a licenziarmi senza previo consenso della direzione.
Per tutto quanto accaduto ho denunciato Novi list e ho chiesto che il tribunale annulli l’avvertimento che ho ricevuto. In caso contrario, per motivi formali-giuridici, potrò in futuro essere licenziato senza preavviso.
Quanto è tutelato un giornalista in Croazia, per quanto riguarda le leggi, i sindacati, l’Associazione del giornalismo croato (HND)?
La normativa è più avanti della prassi. Vi sono statuti dei media che vietano la censura, che non funzionano. L’HND è più debole rispetto a quello che potrebbe essere, anche se il nuovo presidente Saša Leković ha fatto molto per rafforzare l’organizzazione e lo si vede perché viene attaccato selvaggiamente nei modi più infimi, anche sul piano etnico.
Il sindacato stenta a vivere, è l’organismo peggiore in assoluto. Il problema in questo caso riguarda i giornalisti che lavorano coi cosiddetti contratti a prestazione d’opera (RPO): lavoratori precari che dipendono dall’arbitrio dei proprietari e dei giornalisti contrattualizzati. la precarietà è disastrosa per il giornalismo: non c’è certezza, le persone non riescono a crescere professionalmente. Non puoi vivere di lavoro occasionale nel giornalismo.
Questa pubblicazione è stata prodotta nell’ambito del progetto European Centre for Press and Media Freedom, cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l’opinione dell’Unione Europea. Vai alla pagina del progetto