Boris Dežulović: irrecuperabile Croazia
Trent’anni fa terminava l’assedio della città di Vukovar, uno dei simboli della guerra nella ex Jugoslavia. Boris Dežulović, giornalista di punta della Croazia, in un suo recente editoriale che abbiamo tradotto cerca di mettere in luce le profonde contraddizioni in cui vive Vukovar oggi. Per questo però è stato minacciato di morte. Lo abbiamo intervistato
Nel suo recente editoriale intitolato “Fanculo Vukovar”, Boris Dežulović accusa il partito conservatore al governo in Croazia, l’HDZ, di aver trasformato negli anni la città di Vukovar – il cui assedio terminava esattamente 30 anni fa – in “un mero lumino funebre, un futile totem di plastica”, “un mausoleo” in cui la vita “non solo non è tollerata, ma nemmeno prevista”. Secondo il celebre giornalista, che ha ricevuto pesanti critiche e minacce di morte negli ultimi giorni, la polemica attorno al suo articolo dimostra che in Croazia ci sono dei temi di cui non si può parlare liberamente.
Negli ultimi giorni hai ricevuto decine di minacce di morte sui social media. Come ti senti?
Non è certamente piacevole, qualcosa che non augurerei a nessuno. Tuttavia, io vivo in un paesino e, se i fascisti non avessero pubblicato il mio indirizzo online, me ne sarei rimasto qui tranquillo. Ma ora, anche se non ho paura (non perché sia coraggioso, ma perché sappiamo di che genere di codardi e coglioni stiamo parlando), la situazione non è bella per chi mi sta attorno, per i miei famigliari. Per questo ho deciso di denunciare una sessantina di commenti, quelli con le minacce peggiori. Io sono per la libertà di espressione e non ho mai fatto causa a nessuno. Ma le minacce e il linguaggio d’odio non sono libertà di espressione.
Chi ha pubblicato online il tuo indirizzo personale?
È stato uno che vive qui in paese. È così che funziona il fascismo: non servono tanti fascisti (oggi non ce ne sono più che nel 1933 o nel 1941), basta che ci siano quelli che applaudono, gettano i fiori e denunciano le persone sospette. Questo è fascismo.
Non è la prima volta che ricevi delle minacce, anche gravi. Che cosa significa questo per la Croazia di oggi?
Sì, non è la prima volta. Sono 35 anni che lavoro come giornalista, prima in Jugoslavia e poi nella Croazia indipendente, e la mia attività è costellata di reazioni di questo tipo, semplicemente perché non viviamo in un paese normale (non lo è questo e non lo era il precedente). Le minacce si ripresentano regolarmente, ogni volta che un giornalista osa parlare di quello che colloquialmente chiamano «le fondamenta dello stato croato». Ovvero, ogni volta che fai domande sui crimini di guerra, sulla criminalità, sulla corruzione al potere… stai in qualche modo minando le fondamenta dello stato croato.
Le reazioni al tuo articolo mostrano anche che non si può parlare liberamente di tutto in Croazia. Domanda forse un po’ scontata, ma pensi che i media siano liberi in questo paese?
La mia risposta è no. Esistono giornalisti liberi, ma non media liberi. Ogni media è limitato o dalla fedeltà al regime, oppure dalle pressioni di quest’ultimo, oppure semplicemente dal punto di vista economico. Oggi i media non vivono più della tiratura, delle vendite, ma della pubblicità, dei click, e quindi sono ricattabili dal punto di vista economico. Quando ho iniziato a lavorare come giornalista, la pubblicità costituiva il 25-30% dei ricavi dei giornali, mentre il resto veniva dalle vendite. Adesso è vero il contrario, nelle stime più ottimistiche. Per questo, i media liberi nel senso classico del termine non esistono più. Ciò che è veramente libero è internet, ma come quella libertà poi si manifesta, lo abbiamo visto in questi giorni. È un caos totale, in cui l’informazione verificata non sarai mai abbastanza attraente perché la gente ci clicchi sopra e la legga.
Com’è stato interpretato il tuo editoriale su Vukovar?
Il mio articolo su Vukovar non è né il primo, né il secondo, né il terzo sull’argomento, ovvero su una città che negli ultimi trent’anni è stata uccisa dal sistema per essere trasformata in un simbolo, in cui la vita non è tollerata. Peggio ancora, è diventata una città in cui la vita non è proprio prevista. Il mio era un grido a favore della vita a Vukovar, ma loro lo hanno interpretato come un insulto alla città degli eroi e alle sue vittime, inquadrandolo dunque come una minaccia alle fondamenta dello stato. Non è che non me lo aspettassi e non è la prima volta, ma è comparabile a quanto successe nel 1995, quando al Feral Tribune [uno storico settimanale satirico che uscì tra il 1984 e il 2008, nda.] iniziammo a pubblicare degli articoli sui crimini dell’operazione Tempesta e allora tutta la Croazia si rivoltò contro di noi. Per fortuna allora non c’erano i social network, altrimenti sarebbe andata anche peggio.
Dici che la situazione oggi è comparabile a quella degli anni Novanta, quando in Croazia c’era la guerra. Com’è possibile? Sono i social network a far emergere il peggio della società oppure è proprio quest’ultima ad essere marcia?
È un po’ la questione dell’uovo e della gallina, di chi è nato prima. Io credo che i social network mostrino la società così com’è e quella croata non è necessariamente peggiorata rispetto agli anni Novanta. Purtroppo è la stessa, ma i social network mostrano la struttura dettagliata della società con tutti i suoi livelli come se la passassero ai raggi x. Non succede solo dalle nostre parti, intendiamoci, i social network sono una questione sociologicamente interessante in tutto il mondo. Vediamo bene come gli algoritmi di Facebook generino odio, ma la Croazia come gli altri stati dei Balcani forse figurano tra i paesi più adatti per quest’esperimento. C’è già un 10% della popolazione che mi odia e vorrebbe uccidermi e questi diventano molto più pericolosi quando c’è una rete ad unirli, ad organizzarli.
Nel tuo editoriale denunci il fatto che Vukovar continua a svuotarsi della sua popolazione, ma citi anche il fatto che negli ultimi 30 anni ci sono comunque stati dei progetti, degli investimenti in città. Come mai questi ultimi non hanno funzionato?
Innanzitutto, va detto che gran parte dei soldi che la Croazia ha investito a Vukovar sono stati spesi per l’imbalsamazione della città, ovvero per conservarla morta. Quello che invece si doveva investire per la vita è servito solo ad arricchire poche persone. Nel momento in cui in Croazia è scoppiato il caso dell’ex ministra dei Fondi europei [l’ex ministra Gabrijela Žalac è stata arrestata qualche giorno fa per corruzione dopo un’inchiesta dell’Olaf, nda.], abbiamo scoperto come si spendono qui i soldi dei fondi europei. Ovviamente questo non lo ha scoperto la procura o la polizia croata ma quella europea. Menziono questo caso perché questa ministra che è stata ora arrestata viene proprio dall’est della Croazia e ha lavorato molto su progetti europei a Vukovar. Insomma, da un lato c’è la ristrutturazione della città, o piuttosto la sua conservazione come mausoleo, dall’altro – ed questa è un’immagine perfetta della Croazia – Vukovar, la città degli eroi, diventa un bancomat per i politici corrotti dell’amministrazione locale e nazionale. Ecco che la storia di Vukovar è un po’ la storia della Croazia. Vukovar: un totem a forma di bancomat.
Ma nonostante l’emigrazione e la mancanza di futuro che denunci, Vukovar continua da trent’anni a votare per l’HDZ. Come mai?
Sì, questo forse sembrerà paradossale ai lettori italiani o non croati, ma è così. Da più di trent’anni la Croazia, derubata e maltrattata dall’HDZ al potere continua a votare per questo partito. E questo per due motivi. Innanzitutto, perché l’HDZ – fin dalla sua fondazione da parte di Franjo Tuđman – ha ricattato il popolo croato con la guerra, presentandosi come un difensore degli interessi nazionali e ha mantenuto quella posizione per tutti gli ultimi trent’anni. Chiunque si ribella contro l’HDZ, contro la corruzione, contro la criminalità, è automaticamente accusato di essere anti-croato. Per questo la gente sta zitta. Va aggiunto che l’HDZ mobilita grandi masse grazie ad una corruzione capillare: il numero di persone che sono assunte all’interno dell’amministrazione pubblica controllata dall’HDZ è enorme e un numero ancora più grande, quasi 500.000 persone, ha ricevuto un qualche tipo di privilegio grazie allo status di veterano della guerra di indipendenza. Questo spiega quel solido 30% che l’HDZ ottiene ad ogni elezione.
Il secondo motivo è che chi è contrario a questa Croazia corrotta e criminale in mano all’HDZ lascia il paese! Quando scrivo che da Vukovar solo negli ultimi 10 anni sono partite 5.500 persone (ovvero un quinto della popolazione locale), non parlo di anziani, ma di giovani che hanno fatto degli studi, di persone che hanno un potenziale e un bagaglio di conoscenze che adesso offrono altrove all’estero. In altre parole, chi non vota per l’HDZ se la squaglia, perché non ha la possibilità di cambiare la società, o la propria città, o il paese, o di realizzarsi all’interno di quest’ultimo. L’unica opzione che gli rimane, è di trasferirsi in una città, che non è una città degli eroi, ma una città per persone vive, come Dublino, Praga, Vancouver eccetera. Purtroppo questo genera lo status attuale, un moto perpetuo sociale e politico, che continuerà per sempre, o meglio finché ci saranno persone nel paese. La buona notizia è che questa situazione non durerà a lungo, la cattiva è che finirà con la morte biologica della Croazia.
Non vedi proprio nessuna speranza di cambiamento per la Croazia?
Purtroppo no, secondo me la situazione non è aggiustabile. Io penso che la Croazia come stato indipendente, come progetto, sia fallita e non recuperabile.
Nel 2014 Vukovar: a Life-Size Monument to the Dead City di Boris Dežulović ha vinto lo European Press Prize come miglior editoriale dell’anno.