Bollicine sul mercato

Radenska, Merkator, Laško. Alcuni tra i gioielli del sistema industriale sloveno, ultimamente però in grave crisi finanziaria. E spunta il nome di un imprenditore goriziano, Pierpaolo Cerani, che ne avrebbe assunto il controllo. Il dibattito in Slovenia

06/08/2009, Stefano Lusa - Capodistria

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Si sarebbe comprato un impero finanziario perché gli piace la Radenska, l’acqua minerale salata e frizzante che chi veniva in Jugoslavia in vacanza, negli anni Settanta ed Ottanta, si trovava immancabilmente sul tavolo al ristorante. Al momento sembra essere questa la motivazione "più convincente" fornita da Pierpaolo Cerani, l’imprenditore goriziano che da una decina di giorni sarebbe diventato il proprietario di "mezza Slovenia". Ora vorrebbe riempire gli Stati uniti con le bottiglie della sua acqua minerale preferita.

La scorsa settimana, Iniziative Generali 96, un’azienda guidata da Cerani, avrebbe acquisito una consistente fetta della Kolonel, l’impresa di Boško Šrot che attraverso una serie di finanziarie possiede il 55% della holding birrificio di Laško. Il gruppo controlla l’industria delle bevande slovene: il birrificio Union, la catena Radenska (che produce una serie di bevande analcoliche), quella della Fructal (che commercia in succhi di frutta), il birrificio croato Jadranska pivovara e persino due dei maggior quotidiani del paese: il Delo ed il Večer. La holding possiede anche una serie di altre aziende ed ha acquisito anche il 24,9% delle azioni della catena di supermercati Mercator. In sintesi, per la Slovenia si tratta di un vero e proprio impero, su cui negli ultimi tempi sono piovuti notevoli strali.

Boško Šrot ha costruito il suo castello finanziario in pochi anni. Tra gli anni Ottanta e Novanta non era che un semplice funzionario al comune di Laško; poi la sua entrata nella holding del birrificio e la sua scalata ai vertici dell’azienda. Nel 2005 ne prende la guida. Diversifica il campo d’attività ed inizia anche ad accaparrarsi il pacchetto di maggioranza del gruppo con operazioni considerate oggi piuttosto dubbie. Era quello il periodo in cui bisognava tutelare quelli che venivano definiti gli "interessi nazionali". Gli stessi politici, supportati dai mass-media, pensavano che fosse meglio creare una classe imprenditoriale propria piuttosto che cedere le industrie simbolo della Slovenia in mano agli stranieri.

La scalata personale di Šrot era potuta iniziare grazie ai finanziamenti che le banche gli concedevano allegramente e soprattutto a fondi d’investimento acquisiti a prezzi decisamente vantaggiosi. Con la crisi finanziaria mondiale i nodi sono venuti al pettine. Nel gruppo intanto si parla apertamente di un possibile ridimensionamento. In prospettiva potrebbero essere cedute quelle che non sono le attività primarie. In sintesi ci si sbarazzerebbe di supermercati e giornali, tenendo saldamente in mano l’industria delle bevande. Le banche hanno cominciato ad aprire meno generosamente i rubinetti ed anche i politici hanno iniziato ad esercitare sempre più pressione sui banchieri affinché i crediti in scadenza non venissero dilazionati. Al momento, così, il gruppo controllato da Šrot si troverebbe alle prese con grossi problemi di liquidità e le banche stanno mettendo in vendita le azioni che erano state offerte come garanzie per i crediti. La nova Ljubljanska banka ha venduto ieri oltre il 10% delle azioni della Mercator ed il 23% di quelle della birreria di Laško. Una buona fetta delle azioni è rimasta nelle mani di una finanziaria della banca stessa. La Kolonel – e le finanziarie da essa controllate – quindi, sommersa dai debiti, potrebbe rapidamente svuotarsi.

Il gruppo avrebbe 800 milioni di debiti, ma il suo fatturato è di oltre 3 miliardi di euro e da lavoro a circa 22.000 dipendenti di cui 16.000 in Slovenia. Per ora Cerani controllerebbe il 30% della Kolonel e per acquisirla, visto l’alto indebitamento, avrebbe sborsato, secondo indiscrezioni, 3 milioni di euro. Una cifra tutto sommato irrisoria. Subito in Slovenia ci si è chiesti chi si nasconde dietro a Cerani. Alcune strade portano in Lussemburgo e Svizzera ed altre in Italia o negli Stati uniti. Alcuni, però, malignamente ipotizzano che dietro a tutto ci sia persino lo stesso Boško Šrot, che prima togliendosi dalla guida del gruppo e poi liberandosi fittiziamente della proprietà leverebbe alle banche i motivi per non dilazionare i pagamenti dei debiti contratti.

Per il momento, comunque, nessuno sembra prendere Cerani troppo seriamente. Il nuovo direttore generale del gruppo del birrificio di Laško, Dušan Zorko – che una quindicina di giorni fa ha preso il posto di Šrot a capo della hoding – non ha nemmeno voluto rispondere alle chiamate di Cerani, che avrebbe voluto comunicargli di essere diventato il nuovo proprietario della società. Per ora, Zorko, si è limitato a sollevare qualche dubbio sulla fattibilità di "riempire gli Stati uniti con bottiglie di Radenska". Cerani aveva espresso anche l’auspicio di incontrare presto il ministro delle Finanze France Križanič, per esporgli i suoi piani di risanamento del gruppo, ma questo ha dato ad intendere che non era la persona giusta. In effetti sarebbe stato più appropriato rivolgersi al ministro dell’Economia Matej Lahovnik.

I media sloveni hanno subito cominciato a chiedersi chi sia Pierpaolo Cerani. Oltre a mettere in evidenza la sua esperienza nel campo degli apparecchi bio medicinali e nelle forniture mediche hanno soprattutto posto l’accento sui suoi legami con Vittorio Emanuele di Savoia e la sua implicazione in presunti scandali, come quello che ha coinvolto anche l’ex premier bulgaro Simeone di Sassonia. Poi è stata messa in rilievo la sua passione per le automobili ed è stato fatto notare che adesso sarebbe alla guida di una Bentley da quasi 200.000 euro.

L’operazione di Cerani, comunque, resta in bilico. Se quelli che fino a ieri erano considerati i gioielli dell’industria nazionale dovessero passare effettivamente in mano a stranieri si assisterebbe ad una notevole svolta nella politica economica del paese, per ora forse tutto questo sarà evitato In Slovenia infatti, sin dall’indipendenza, si è stati molto attenti a non spalancare troppo il mercato. Basti pensare che persino un colosso come la Shell ha avuto molte difficoltà ad aprire i suoi distributori di benzina in Slovenia.

In ogni modo le acquisizioni straniere di aziende slovene e le loro linee commerciali e di sviluppo sono state spesso accompagnate da polemiche e sospetti. L’acquisizione di Banka Koper, la banca di Capodistria, da parte del gruppo Intesa Sanpaolo, ad esempio, è stata accompagnata da discussioni animose che si sono trascinate per mesi sui giornali. Al centro dell’attenzione i presunti intrecci tra politica, economia e più in generale gli interessi italiani in una regione come quella a ridosso del confine.

Le stesse argomentazioni si sono fatte recentemente sentire a causa dell’apertura di un negozio di materiale edile e di fai da te nella zona di Nova Gorica. La catena dell’OBI ha, infatti, pensato di allestire la rivendita anche con indicazioni in italiano. La vicenda è stata subito vista da qualcuno come una pericolosa estensione del bilinguismo. Immediatamente, poi, sono stati messi in rilievo i diritti negati agli sloveni d’Italia. In quella zona, però, anche altri negozi e soprattutto i casinò locali fanno abbondante uso dell’italiano per attirare i clienti che arrivano dall’altra parte dell’ex confine.

Di questioni nazionali e di identità etnica minacciata si vocifera anche sul Carso sloveno a ridosso di Trieste. Il costo minore degli immobili, i buoni collegamenti stradali, infatti, rendono interessante questa zona per gli acquirenti italiani. La cosa rende felici i costruttori, ma crea malumore e preoccupazione tra i più strenui difensori "degli interessi nazionali sloveni", che si sentono minacciati etnicamente.

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