Bilingue per forza

Kim Mehmeti, scrittore e giornalista albanese di Macedonia, fa un bilancio a 360 gradi su situazione politica, rapporti tra le comunità macedone e albanese e sul delicato sviluppo politico all’interno di DUI e DPA a sette anni dalla firma degli accordi di Ohrid

28/08/2008, Marjola Rukaj - Skopje

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Kim Mehmeti

Kim Mehmeti (nato nel1955 a Gercec, vicino a Skopje) è uno degli scrittori più noti della comunità albanese in Macedonia. E’ autore di undici opere di prosa, e scrive sia in albanese che in macedone. A lungo direttore del Centre for Multi-cultural Understanding and Cooperation, oggi lavora per l’ International Foundation for Culture. Nel marzo 2000 è stato uno dei fondatori del settimanale indipendente "Lobi", principale pubblicazione indipendente in lingua albanese in Macedonia, per il quale scrive regolarmente.

In questi giorni è stato celebrato il settimo anniversario dalla firma degli accordi di Ohrid. Qual è il suo bilancio di quest’intesa politica?

Innanzitutto l’accordo di Ohrid ha oltrepassato le scadenze previste al tempo della sua firma 13 agosto 2001. Per quanto realizzato, credo che la Macedonia ancora non abbia né la volontà né la forza politica per affrontare l’inevitabile. Questo stato, che vuole essere multietnico, poggia su due pilastri principali, sulle sue etnie numericamente più rilevanti, i macedoni e gli albanesi, ma i macedoni cercano di sfuggire a tale realtà. Il problema della Macedonia è che ha una piccola popolazione, ma una grande minoranza, gli albanesi, che sono sempre percepiti come un potenziale pericolo. I macedoni tra l’altro si trovano attualmente alle prese con una crisi di identità, e dalla serie di problemi che ne derivano.

L’accordo di Ohrid è stato percepito dai macedoni come una sconfitta, e li ha fatti mobilizzare per annullarlo. Per gli albanesi, invece, l’accordo è stato fonte di grande speranza che poi si è trasformata in attesa, ed alla fine non ha portato nulla. Nel frattempo nessuno si è accorto che, in modo naturale, la Macedonia sta scivolando verso il federalismo. Sono convinto che l’accordo di Ohrid sia ormai logoro, e che potrebbe funzionare solo se revisionato. Sia gli albanesi che i macedoni hanno bisogno di un "accordo di Ohrid II". Il vecchio accordo, scaduto due anni fa, prevedeva la correzione dei rapporti interetnici ed istituzionali, ma visto che questo non è stato ancora fatto, adesso bisogna fare i conti col fattore tempo. L’accordo "Ohrid II" di cui parlo deve escludere la possibilità del "dominio della maggioranza". Oggi presidente, primo ministro, presidente del parlamento, sono tutti macedoni, e gli albanesi sono di fatto esclusi dalle più alte cariche. Però esistono soluzioni alternative. Nel passato ho proposto la formula libanese, che ha però raccolto grande disappunto tra politici e analisti. In questa formula, se il capo dello stato è un druso, il premier sarà un musulmano, o di qualche altra minoranza, seguendo un procedimento che permette la rappresentanza di tutte le comunità. La Macedonia ha delle leggi e una costituzione che non riflettono la realtà, e intanto predomina il principio dello stato etnico.

La legge approvata di recente sull’ufficializzazione della lingua albanese in Macedonia rappresenta la realizzazione di un obiettivo per gli albanesi?

Se si apre la costituzione, si può leggere che la lingua ufficiale dello stato è il macedone, scritto in cirillico. Questo succede nei Balcani, in cui il vicino Kosovo, nonostante solo il 2-3% della popolazione appartenga alla minoranza serba, riconosce al serbo lo status di lingua ufficiale. Un poliziotto serbo può tranquillamente rivolgersi a chiunque in serbo, senza badare a chi ha davanti. Qui invece succede il contrario. La legge approvata di recente sulla lingua albanese esprime in realtà un limite. Perché non esiste una simile legge sul macedone? Perché non se ne avverte il bisogno, il problema del macedone è risolto con la costituzione. Naturalmente bisogna ammettere che la legge fa un passo avanti nel riconoscimento della lingua albanese in Macedonia, ma è lontano dal riconoscerla come lingua ufficiale. L’ufficializzazione deve essere scritta nella costituzione, le leggi possono solo aggiungere tutela. Se invece si ha una legge su tale lingua, significa che ci sono degli ambiti in cui questa lingua non può essere usata. Questa legge non ha risolto il problema, o l’ha risolto solo parzialmente.

Che ruolo giocano i partiti albanesi? Sono in grado di rappresentare adeguatamente gli interessi della propria comunità?

La maggioranza degli albanesi in Macedonia sono disoccupati o irrealizzati professionalmente, e i partiti politici sono diventati degli uffici di collocamento. Quando succede una cosa del genere, è ovvio che i programmi politici passino in secondo piano. I macedoni questo l’hanno capito benissimo. I partiti albanesi mirano soltanto a far parte dei governi, senza porre alcuna condizione. In questo senso un grave danno è stato causato dal DPA (Partito Democratico degli Albanesi), che ha abbassato drasticamente il proprio "prezzo politico", lanciando il messaggio: "l’importante è che assumiate duecento persone del partito, che poi pensiamo noi ad ingannare l’elettorato albanese".

Facendo un bilancio, dal ’90 ad oggi la fetta di potere dei partiti albanesi nei vari governi succedutisi è andata via via scemando. Gli albanesi non hanno mai guidato ministeri più deboli di quelli che hanno in mano oggi. La responsabilità principale è proprio del DPA, che nel ’98 è diventato portavoce degli albanesi senza però avere la loro legittimazione, cosa ripetuta nel 2006. Questo ha indebolito i partiti albanesi, perché i macedoni hanno visto che se c’è un partito albanese disposto ad entrare al governo senza alcuna condizione, allora anche sugli altri si può fare pressione. Però esistono anche modi per sfuggire a tale pressione. Sinceramente, non pensavo che la DUI (Unione Democratica per l’Integrazione) sarebbe entrata nel governo attuale, ma piuttosto che avrebbe preso i suoi 18 deputati, si sarebbe riunita in qualche comune albanese e avrebbe detto: "noi siamo qui, adesso proporremo i provvedimenti che servono alla comunità albanese, e quando li approverete torneremo in parlamento". A volte all’avversario politico bisogna dimostrare in maniera radicale ciò che egli non vede, o che non vuole vedere.

Che ruolo ha il riconoscimento del Kosovo nei rapporti tra gli albanesi e i macedoni?

Questo è un altro elemento che dimostra quanto poco contino gli albanesi in Macedonia. Il fatto che la Macedonia non abbia ancora riconosciuto l’indipendenza del Kosovo, quando il 30% della sua popolazione è albanese, significa che questa parte della popolazione per i politici macedoni non conta nulla. Come mai la Croazia non ha avuto problemi a riconoscere il Kosovo nonostante la minoranza serba? Tutto questo avviene perché noi non abbiamo partiti politici, ma abbiamo solo partiti che vogliono far assumere i propri militanti. Ci sono persone che un giorno, all’improvviso, si sono svegliate nei panni di ministro. Posso capire perché i giovani militano con tanta passione: i partiti oggi possono farti diventare tutto ciò che vuoi, ministro, scrittore, qualsiasi cosa. E’ sconcertante per coloro che puntano tutto sulla meritocrazia. Per questo motivo i giovani migliori vanno all’estero, e qui rimane chi spera che i partiti gli diano una sistemazione. Questa è la nostra tragedia.

E la reazione del DPA, oggi all’opposizione, come può essere giudicata?

Il DPA si ricorda di essere un partito albanese solo quando perde le elezioni… Nel 1998, quando Arben Xhaferri parlava della costituzione, o in seguito, nel 2006, non ha mai menzionato alcuna legge sulla comunità albanese. Adesso che sono tornati all’opposizione hanno ripreso a parlare dei diritti degli albanesi. Penso sia meglio che il DPA rimanga all’opposizione, perché riesce ad avere una maggiore funzione politica. La DUI invece non funziona come un partito ma come una vecchia lega socialista, in cui tutti sono rappresentati, vedove, eroi nazionali, partigiani, tutti… Ha troppi gruppi di interesse che si contrappongono e quindi non si è ancora dato un profilo politico chiaro. Funziona più che altro come un partito di programma, ha una missione, come ad esempio il ricongiungimento degli albanesi nell’ambito dell’Unione europea. Ma entrare in politica avendo un carattere missionario è controproducente.

Poi c’è un problema che riguarda tutti i partiti albanesi, e cioè che non poggiano sul cervello della società, ma sui muscoli. Non è un caso che i loro militanti più in vista siano gente forte e violenta. I circoli macedoni hanno tollerato e forse spinto al conflitto fratricida tra gli albanesi. Lo hanno dimostrato le ultime elezioni. Se fosse stato ferito un macedone sicuramente avrebbero interrotto le elezioni. Invece si è trattato di un morto e qualche ferito albanese e le elezioni sono passate per regolari. Si applicano due standard diversi. Tra l’altro non ci si può aspettare di meglio se al potere c’è un partito come il VMRO, che ha esordito in politica con gli slogan "camere a gas per gli albanesi", "la Macedonia ai macedoni", "morte agli albanesi". Si tratta di una questione genetica della scuola del partito. Ha solo cambiato faccia quando ha visto che tali slogan compromettevano la sua reputazione in occidente, però ha scelto un altro mezzo, quello del conflitto fratricida.

Come è avvenuto questo processo?

I partiti albanesi sono stati banditizzati. Se guarda il background di questi partiti, del DPA ad esempio, si può trovare parecchia gente con la fedina penale sporca. Quindi anche istituzionalmente qualcuno stimola il conflitto fratricida. Per fortuna non si è avuta un’escalation di tale conflitto. Ma oggi si è arrivati al punto in cui la DUI di Ali Ahmeti ha il compito difficilissimo di decriminalizzare la società albanese, perché la sua criminalizzazione è stata sostenuta sotto la formula: finché litigano tra di loro, per noi va tutto bene. La DUI deve pensare a come uscire da questo vicolo cieco. Dovrà naturalmente affrontare anche il fatto che la popolazione manca di cultura e di informazione. Tra tutti, gli albanesi della Macedonia sono i più immaturi. Le ragioni di questa arretratezza sono note: innanzitutto la scolarizzazione molto bassa, le scuole sono mancate per anni. Solo ora stiamo cominciando a formare le nostre élite.

Qual è il ruolo della società civile in Macedonia?

Si può dire che in Macedonia che le Ong sono dei partiti non governativi, legati a determinate forze politiche. In pratica, sono quasi tutte la longa manus dei partiti politici. Posso dirlo da insider, perché per anni sono stato il direttore del Centro per la collaborazione interculturale. Solo i partiti albanesi non hanno rappresentanti nel mondo delle Ong, non perché non vogliano, ma perché non ne sono capaci. I partiti macedoni invece hanno ciascuno cinque o sei Ong sotto il proprio controllo.

Che importanza ha la questione del nome della Macedonia per gli albanesi?

Nessuna. E’ un problema dei macedoni, che devono fare i conti con la propria identità. I greci sfruttano questa debolezza. Per quanto ci riguarda, anche se i macedoni si proclamassero cinesi, avrebbero comunque il nostro sostegno. I popoli sono liberi di scegliere l’etnia a cui appartenere. Il problema è definire il popolo macedone, la lingua macedone e così via. Alle superiori ho imparato che i macedoni sono discendenti degli slavi del sud, ora invece si dice che i macedoni sono discendenti degli antichi macedoni. Siamo arrivati al momento in cui è necessario affrontare questa questione. Credo però che alla fine la Macedonia dovrà cambiare nome.

La sfortuna dei macedoni è che stanno cercando di formare un’identità nazionale in un’epoca in cui queste vanno sformandosi, nell’epoca della globalizzazione e di internet, che è distruttiva per i piccoli popoli e le loro lingue. Francamente penso sia un processo destinato al fallimento. Stanno cercando di fare nel XXI secolo ciò che gli altri popoli hanno fatto nel XIX. Gli albanesi nel XIX secolo hanno cominciato a credere nel mito di Skanderbeg, gli si sono radunati intorno e la cosa ha funzionato. Oggi invece si pongono domande sulle origini di Skanderbeg, e in molti dicono che "il suo cavallo non era poi così grande come si credeva…"

Lei è tra i pochi albanesi che hanno avuto un’istruzione in macedone, come mai?

Ai miei tempi le scuole in albanese erano pochissime, a Skopje ce n’era una sola. Quindi non avevo scelta. Quando sono andato a scuola non conoscevo neanche una parola di macedone e dovevo prima tradurre tutto e poi memorizzare. Questo mi ha fatto imparare il macedone molto meglio degli stessi macedoni, perché ho imparato la lingua letteraria. Si tratta di un "gianizzerismo culturale", che è toccato a molti albanesi di Macedonia. Di conseguenza i miei primi romanzi e racconti li ho scritti in macedone, mentre l’albanese dormiva dentro di me. Mio padre diceva: "il macedone è la lingua che ti apre tutte le porte", motivo per cui mi ha mandato in una scuola macedone. L’albanese ho dovuto riprenderlo dopo. Naturalmente non l’avevo dimenticato, come qualcuno crede, ma il mio albanese era la parlata popolare, molto lontana dalla lingua letteraria, quindi l’albanese letterario ho dovuto impararlo dopo. Sono orgoglioso di esserci poi ritornato. Molti della mia generazione non ci sono riusciti, e scrivono solo in macedone. Oggi sono uno scrittore "bilingue per forza".

Come viene percepito il suo bilinguismo in Macedonia?

Se fossi stato in Francia e avessi scritto anche in francese, la cosa sarebbe stata vista con ammirazione. Invece siamo nei Balcani e in molti non gradiscono che io scriva anche in macedone. E’ il solito schema, costruire i propri valori sminuendo il prossimo. Io non appartengo a questa categoria. Per me non esistono lingue buone e lingue cattive. Se fossi nato in Italia avrei scritto in italiano oltre che in albanese. I miei libri non perdono nulla se scritti in macedone, io rimango uno scrittore albanese. Spesso, poi, mi è toccato riscrivere i miei libri da una lingua all’altra.

Si dice che in ambito culturale la Skopje albanese soffre l’arroganza di Tirana e l’indifferenza di Pristina…

E’ verissimo. Tra gli albanesi della Macedonia posso ritenermi fortunato perché sono tra i pochi ad essere conosciuto anche in Albania e in Kosovo. Lì pensano che da noi non si faccia cultura, non si crei nulla. E’ vero che siamo una periferia culturale, ma anche in senso positivo, perché non abbiamo la responsabilità del centro e possiamo permetterci di fare cose alternative. Gli albanesi ragionano ancora nei termini di principati culturali. A Tirana sono autosufficienti, a Pristina sono indignati dell’arroganza di Tirana e vogliono inventarsi una propria identità. Non c’è integrazione culturale. In Albania molti non sanno che a Skopje vivono degli albanesi. Il muro mentale è rimasto. Non è solo questione linguistica ma si tratta della percezione. Oggi quando vengono gli albanesi dell’Albania in Macedonia si intendono più facilmente con i macedoni che con noi, e mi è capitato di sentirmi fare la domanda: ma perché non vi riconciliate con i macedoni? E i macedoni ci dicono: "guardate come sono buoni gli albanesi dell’Albania! Voi invece siete così aggressivi…" Siamo diversi: quando un albanese d’Albania vede l’aquila albanese rimane indifferente, noi invece no. E poi qui in Macedonia siamo anche relativamente religiosi, perché è stata la religione a preservare la nostra identità. Nel mio villaggio la prima scuola in albanese è stata aperta nell’88, mentre la scuola islamica c’è sempre stata. Era un male che è stato utilizzato in positivo. Comunque le cose stanno cambiando.

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