Bambini nel Caucaso del Sud

La Georgia è all’avanguardia per la sua politica di chiusura degli orfanotrofi e degli istituti per i bambini abbandonati, ma restano motivi di preoccupazione. In Armenia e nell’Azerbaijan, migliaia di bambini vivono ancora in istituzioni di epoca sovietica

24/01/2014, Onnik James Krikorian - Tbilisi

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Un centro diurno di First Step Georgia per bambini con disabilità a Kutaisi (Foto © Onnik Krikorian)

Quando aveva solamente otto mesi, Tiesa è stata abbandonata con le sue due sorelle sul ciglio di una strada. Prima di essere trovate, sono sopravvissute mangiando quello che trovavano – rane – e bevendo l’acqua delle pozzanghere. Le tre bambine, due delle quali con difficoltà di apprendimento, sono state inviate alla Casa dell’Infanzia di Tbilisi, un orfanotrofio.

Secondo EveryChild , organizzazione non governativa britannica che opera in Georgia, di loro si sapeva molto poco. "Quando sono state trovate, le bambine non sapevano i propri nomi completi e nemmeno l’età", scriveva John Bines, direttore per il fundraising di EveryChild, in un appello pubblicato a Natale 2012.

Nonostante le bambine avessero trovato rifugio in un istituto, la loro situazione aveva evidenziato un altro problema. I bambini privi di cure genitoriali, e specialmente quelli provenienti da famiglie socialmente vulnerabili o con disabilità, non erano assistiti dallo Stato nel migliore dei modi.

"Abbiamo bisogno di genitori affidatari di emergenza e di genitori affidatari a lungo termine, con formazione specialistica", dice Bines citando il direttore dell’istituto. "Non ci dovrebbero essere posti come questo, non ci dovrebbero essere istituti. È meglio abolirli e sviluppare servizi per neonati e bambini".

Fortunatamente per Tiesa e le sue sorelle, le politiche di de-istituzionalizzazione introdotte in Georgia nel 2006 si avvicinano a questo obiettivo. "La mancanza di assistenza e attenzione individuale ostacola lo sviluppo del bambino", si legge in un rapporto di EveryChild del 2011 sui bambini in assistenza residenziale di tutto il mondo.

Orfanotrofi sovietici

Un istituto del periodo sovietico per bambini in Georgia, ora chiuso (Foto © Onnik Krikorian)

Un istituto del periodo sovietico per bambini in Georgia, ora chiuso (Foto © Onnik Krikorian)

Un precedente report della Banca mondiale sulla vicina Armenia era stato altrettanto critico. "Dato il declino del livello dei servizi negli istituti residenziali, la tendenza attuale è la creazione di un sottoproletariato costituito da bambini segnati da povertà, mancanza di cure e di istruzione, che rischiano di non avere alcuna opportunità da adulti", scrivevano Aleksandra Posarac e Jjalte Sederlof nel giugno 2002.

Al momento del report della Banca mondiale, gli istituti di epoca sovietica in Armenia ospitavano ben 12.000 bambini. Attualmente ne rimangono ancora 4.900. Gli istituti del vicino Azerbaijan, secondo l’UNICEF, ne ospitavano circa 10.000 nel 2010. Per quanto riguarda la Georgia, invece, grazie all’introduzione di forme alternative di assistenza per i bambini privi di cure genitoriali, solo circa 120 bambini rimangono ufficialmente negli istituti. Prima dell’avvio del processo di riforma, erano oltre 5.000. Il numero degli istituti stessi è passato da 49 a soli 3.

Una delle sorelle di Tiesa, ad esempio, è stata posta in affido d’emergenza quando è emerso che alla Casa dell’Infanzia non si stava sviluppando. Con la madre affidataria, invece, i suoi progressi sono stati così rapidi che la sua permanenza nella famiglia è stata prolungata. «Ma poiché è registrata come disabile, qui nessuno vuole adottarla in forma permanente", ha dichiarato a Osservatorio Meg Jackson, di EveryChild. "Ora è in lista per l’adozione internazionale".

Bambini con disabilità

Ci sono anche altri problemi. Secondo l’UNICEF, nel 2008 in Georgia circa 1.500 bambini vivevano o lavoravano per la strada. Un progetto biennale avviato nel febbraio 2013 da UNICEF e World Vision, con lo stanziamento di 850.000 Euro, non ha finora portato cambiamenti visibili.

La natura poco trasparente delle istituzioni gestite dalla Chiesa costituisce un altro motivo di preoccupazione, sollevato di recente in un servizio della BBC sui disabili.

"La maggior parte dei bambini con disabilità non è stata data in affido”, ha dichiarato Eric Matthews, ricercatore di Disability Rights International (DRI). "Alcuni bambini con disabilità sono morti, altri sono stati trasferiti in strutture per adulti. Altri ancora sono stati trasferiti in strutture della Chiesa, senza la supervisione del governo".

Georgia, una bambina di strada (Foto © Onnik Krikorian)

Georgia, una bambina di strada (Foto © Onnik Krikorian)

Nel rapporto “Left Behind”, pubblicato da DRI alla fine dello scorso anno, si legge che "la mancanza di informazioni relative al numero e alla situazione dei bambini presenti nelle istituzioni gestite dalla Chiesa rappresenta un rischio, quello che i bambini possano essere oggetto di abusi e tratta all’insaputa del governo".

Secondo Andro Dadiani, direttore di EveryChild Georgia, anche quando i bambini disabili non vengono trasferiti in tali istituzioni ci possono essere problemi: "Ci sono stati casi in cui i bambini riaffidati ai genitori biologici sono poi finiti nelle istituzioni ecclesiastiche o a chiedere l’elemosina per le strade", ha dichiarato a Osservatorio.

Case protette

"La de-istituzionalizzazione è stata sicuramente un grande successo, non solo nell’ex Unione Sovietica, ma anche in Europa orientale", continua Dadiani. "Alcuni paesi, come la Repubblica Ceca, la Romania e la Polonia, mantengono ancora istituti di grandi dimensioni per i bambini. La Georgia, però, è sicuramente all’avanguardia".

Lavorando con World Vision e altri, ad esempio, EveryChild ha contribuito a creare 15 case famiglia, ciascuna in grado di ospitare fino a otto bambini, destinate a quei bambini che non possono essere reintegrati nelle loro famiglie biologiche o dati in affidamento. Esse rappresentano un’altra alternativa modello-famiglia.

L’organizzazione ha inoltre lavorato con altre organizzazioni locali per fornire sostegno ai bambini, in particolare a quelli con disabilità. First Step Georgia è un esempio. "Siamo partner di lungo corso", dice Dadiani. "Abbiamo iniziato i programmi di affidamento per i disabili e anche formato i loro assistenti sociali".

A testimonianza del relativo successo della de-istituzionalizzazione, Dadiani dice che EveryChild Georgia cesserà le sue operazioni in marzo: "A succederci sarà Partnership 4 Children (P4C), che prevede di lavorare principalmente con la Chiesa sulla de-istituzionalizzazione e lo sviluppo di nuovi servizi", spiega. "Un’altra sfida è rappresentata dal limitato numero e varietà di servizi e mezzi per sostenere le famiglie".

Pur riconoscendo i progressi registrati in Georgia, ChildPact – una coalizione regionale dedicata ai bambini e al benessere dei giovani – ha ribadito tali bisogni in un comunicato stampa pubblicato pochi giorni fa: "[La] mancanza di servizi di sostegno alla famiglia come strumento per prevenire lo sviluppo ulteriore del sistema degli istituti, e la presenza di bambini di strada, rimangono una grave preoccupazione."

Onnik Krikorian ha accompagnato EveryChild in visite a istituzioni chiuse, famiglie affidatarie e case famiglia in Georgia alla fine di novembre 2013, come parte del suo lavoro in corso dal 2001 sulle famiglie socialmente vulnerabili nel Caucaso meridionale. Il nome di Tiesa è stato cambiato

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