Balcani, la sfida dell’acqua

Nonostante l’impressionante disponibilità di risorse idriche, superiore alla media europea, alla prova del cambiamento climatico la regione si scopre esposta. Sia al water stress, con zone assetate, che al rischio inondazioni

19/05/2011, Laura Delsere -

Balcani-la-sfida-dell-acqua

(utnapistim / Flickr)

Troppa acqua, troppo poca. In un’Europa dove nell’ultimo decennio si sono intensificati gli episodi estremi di siccità e inondazioni, con alti costi economici e di

sviluppo, i Balcani occidentali non fanno eccezione. Pur straordinariamente dotati di oro blu, e dunque sulla carta al riparo dal temuto ‘water stress’ conferma l’Eea, l’Agenzia europea per l’ambiente, tuttavia hanno registrato gravi siccità. E sono stati teatro di straripamenti, spesso improvvisi.

In cima all’agenda idrica nel futuro prossimo dei Balcani c’è il problema della mancanza di dati, premessa per ogni prevenzione. In genere restano scarsi i fondi destinati al governo dell’acqua ed è raro il coordinamento regionale. In compenso crescono gli sprechi e -con lo sviluppo e il turismo- anche l’inquinamento.

La crisi fa rimandare anche gli investimenti urgenti. Così la regione appare tutt’altro che al riparo delle nuove sfide imposte dal cambiamento climatico.

In Europa infine è proprio ad Est che si sono avute le più gravi inondazioni. Sulle 175 maggiori dell’ultimo decennio –con morti, sfollati e danni economici- figurano quelle di Danubio ed Elba nel 2002, ancora il Danubio nel 2006, fino a quelle recenti in Albania e a Istanbul nel 2010. Vediamo in dettaglio le prospettive regionali.

Albania: un grande patrimonio idrico, ma a rischio inondazioni

Le acque sono uno dei maggiori asset dell’economia albanese, decisivo per forniture elettriche, agricoltura, pesca e turismo (con 250 laghi, il 4% del territorio), oltre che industria e acqua potabile.

The canal with the small Lana river crossing Tirana (Predrag_Bubalo/Flickr)

Ma il Paese se ne cura? Il 97% dell’energia è prodotta da centrali idroelettriche sulla Drina, Mati e Bistrice. Ma nelle città, e talora anche nelle aree agricole, sia le acque di superficie che quelle sotterranee sono inquinate. Primo responsabile, il sistema fognario, poi industria e irrigazione, bestiame e discariche. La soluzione starebbe nell’aumento di inceneritori. E’ prioritario ora fermare il declino delle qualità delle acque dolci. Nel quadro dell’Accordo di stabilizzazione e associazione, Tirana sta allineando la sua legislazione sulle acque alle norme Ue.

Oggi diverse città hanno in comune il sistema fognario, ma per la scarsa manutenzione e le dimensioni ridotte dei condotti, talora la rete stessa aumenta il rischio inquinamento di acqua potabile. Inoltre lo scarico industriale nei fiumi è spesso diretto, senza pretrattamento dei rifiuti.

A motivo della forte pendenza del territorio, la portata annuale dei fiumi, anche dei torrenti, è molto variabile, e può decuplicare tra annate secche e umide. Soggetta all’erosione dei suoli, esasperata da deforestazione e attività umane, l’Albania sconta così inondazioni sempre più frequenti specie tra novembre e marzo, la stagione più piovosa, col maggior rischio per le pianure occidentali, dove risiede il 50% della popolazione. Non manca un paradosso: nonostante l’abbondanza di acque, la fornitura idrica resta intermittente per le cattive condizioni delle condutture, con perdite fino al 50% nelle grandi città.

Bosnia, mancano enti federali a tutela dell’oro blu

Acqua abbondante, ma sempre meno potabile. La rete idrica bosniaca è deteriorata. E fa segnare un aumento -secondo il rapporto Unesco 2009 “Vivere con la siccità in Europa”- delle malattie connesse alla contaminazione, come tifo e diarrea. Insufficienti i fondi stanziati, nonostante nel dopoguerra la comunità internazionale abbia destinato oltre 200 milioni di dollari alla rete idrica bosniaca. Per l’agenzia dell’Onu, "è inadeguata la capacità delle autorità locali” nella riscossione delle imposte e nella loro gestione, basata su statistiche di qualità idrica “arbitrarie e inaccurate”.

The Neretva in Mostar (lassi.kurkijarvi /Flickr)

Servirebbero 600 mila euro l’anno per il monitoraggio della qualità delle acque in Bosnia, calcola l’agenzia Eea della Ue. Oggi gli acquedotti vengono ispezionati raramente. "E il trattamento più diffuso -con la clorina- dà risultati diversi. Spesso i batteri (escherichia, streptococo) resistono e la clorina supera i livelli consentiti". Ostacolo alla gestione delle acque è l’assenza di un ente unico rappresentativo per acque e ambiente a livello federale, che pone il Paese in ritardo nella ratifica di oltre una dozzina di protocolli internazionali sull’acqua. 

I fiumi registrano la storia nazionale. Prima della guerra la Bosnia era il cuore  dell’industria jugoslava, e la maggior parte dei fiumi era contaminata. "Nel 1991 -ricorda il rapporto Eea ‘Risorse idriche in Europa’- quando il Paese contava 4.5 milioni di abitanti, gli scarichi fluviali erano pari a quelli di una popolazione di 9.4 milioni". Nel dopoguerra, la crisi economica ne ha migliorato lo stato. Nel Paese c’è rischio permanente di inondazioni sul 4% del territorio nazionale e sul 60% delle pianure.

Montenegro tra acqua ed energia

E’ un grande polo idrico ed energetico, ma in ritardo sul fronte risparmio e tutela. Sono in corso modifiche legislative per applicare la Direttiva quadro Ue sull’acqua (Wfd), così pure per la tutela delle sorgenti. Ma la deadline normativa scadeva nel 2010.

The national park of lake Skadar (Scutari), in Montenegro ( daninho_ibk / Flickr)

Nel 2005 (ultimo dato disponibile a dicembre 2010) su un volume totale d’acqua distribuita di 53.6 milioni di metri cubi, ne vanno persi 48.2. Per migliorare la gestione fognaria e installare depuratori, ha il sostegno dell’Agenzia europea per la ricostruzione. 

Visto il peso del turismo nell’economia montenegrina, è fondamentale che nelle aree a maggior impatto di visitatori, il sistema di scarico sia efficiente e non si tramuti in nuovo inquinamento ambientale. Per potenziare sulla costa -che d’estate moltiplica la popolazione- questa disponibilità d’acqua in tempo reale, nel 2006 il governo avviò la costruzione di nuove reti per l’acqua potabile dal lago di Skadar (Scutari) alle città adratiche, e i lavori sono ancora in corso.

Kosovo, nuove siccità in vista

L’ultima grande siccità il Kosovo l’ha vissuta nel 2007. Lasciò senz’acqua intere comunità. L’Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) all’epoca si dedicò all’emergenza, con workshop e una campagna informativa sul risparmio idrico, condotta con Kfor e Unmik. Pochi però i risultati.

Swimming in the Ibar river, in Kosovo ( JerryGallucci / Flickr)

I rubinetti sono rimasti asciutti anche negli anni successivi, e per l’Osce la situzione resta ‘precaria’. Con rischi per la salute, tra inverni secchi e cattivo stato delle condotture. L’incapacità di gestione lede così un diritto umano fondamentale, come quello all’acqua.

Anche perché in un futuro breve la penuria idrica potrebbe acuire le crisi etniche sul terreno. Per potenziare la rete le municipalità kosovare, che per lo più mostrano di sottovalutare i rischi, dipendono da finanziamenti Kfor e da donors internazionali. Oltre alla mancanza di fondi, gli studi Ue segnalano anche il cattivo stato dei pagamenti. E non c’è finora un’autorità centrale per le acque.

Negli ultimi anni in Kosovo piove di più, spiega un report di maggio 2010 della Commissione europea- e "servono forti misure per fermare l’ipersfruttamento delle risorse idriche e gli sprechi".

Croazia, lo Stato più attrezzato

Ha acque abbondanti, con 26 laghi, 20 fiumi (tra cui Danubio, Sava e Drava), transfrontalieri (Borut, Neretva) e carsici (Mirna e Cetinja). L’area di Zagabria è vittima di inondazioni regolari (solo nel 1989, 5 morti, 5 mila sfollati e danni per 25 milioni di dollari) e ha richiesto forti investimenti il contenimento della Sava verso zone disabitate. Regolarmente inondate anche Karlovac (dalle acque della Kupa), Vukovar e Osijek, la penisola istriana (nel 1993 danni per 30 milioni di dollari). Improvvise inondazioni (flash floods) a Rijeka, Spalato, Šibenik e Dubrovnik. Povere d’acqua invece la maggior parte delle circa 1.000 isole dalmate, specie d’estate. E squilibri legati all’irrigazione nell’ultimo decennio hanno causato il 60% di annate secche in Baranja e Slavonia. 

The national park of thePlitvice lakes, in Croazia ( S.K. LO /Flickr)

Negli ultimi 20 anni gli insediamenti umani hanno ridotto la falda acquifera nella regione di Zagabria, e anche la Drava si è abbassata di 4 metri. Nonostante le migliorie ancora necessarie, secondo il rapporto Bers-Banca Mondiale “Gestione delle risorse idriche nel Sud-Est Europa”, "la Croazia ha uno dei sistemi nazionali di monitoraggio delle acque più sviluppati dei Balcani occidentali" e mantiene la qualità a buoni livelli. 

Non mancano questioni trasfrontaliere, come il regime della Drava, influenzato dalle centrali idroelettriche a monte in Slovenia, Ungheria e Austria, o la centrale nucleare slovena di Krsko. Per questo Zagabria è attiva nei tavoli multilaterali per la tutela delle acque, dalla Commissione bacino del Danubio a quella per l’idropatrimonio carsico con la Slovenia.

Macedonia, la più esposta al cambiamento climatico

Con un’altitudine media di 850 metri e il 75% di territorio semiarido, il regime delle piogge è molto differenziato. Tutti gli anni ’90 registrano gravi siccità, compromettendo economia e salute umana, secondo il rapporto ‘Gestione delle risorse idriche nel Sud-Est Europa’ di Bers e Banca Mondiale. Nella stagione secca, il 40% della richiesta d’acqua resta inevasa e si ricorre ad autocisterne. Solo l’ovest non ha problemi di siccità.

River Radika in Macedonia (Oxfam Italia / Flickr)

La qualità delle acque si deteriora nel medio corso dei fiumi perché gli scarichi urbani e industriali sono per lo più non trattati. L’ipersfruttamento umano ha abbassato il livello dei laghi, con quello di Prespa sceso di 3,5 metri nell’anno della grande siccità 2001.

Geograficamente nella fascia temperata, è tra i Paesi che si ritiene verranno più duramente toccati dal cambiamento climatico, con nuovi record idrici e di temperatura che si osserveranno nei prossimi anni. Obiettivo della Strategia nazionale di sviluppo agricolo è raddoppiare entro il 2020 la superficie irrigata (oggi al 20%), ma questo comporterà una ridistribuzione delle acque complessive. L’evapotraspirazione nel Paese è superiore alle precipitazioni: 660 mm rispetto a 190 mm. Inoltre gran parte del territorio macedone è esposto ad un alto grado di erosione, e dunque il piano irrigazione dovrà includere anche misure di riforestazione di aree oggi agricole. 

La geomorfologia regionale tende ad un rapido scarico delle acque a valle, nelle aree più popolate e con più investimenti industriali. Esposte a inondazioni Tetovo e Skopje, che negli ultimi 150 anni ne ha sperimentate una decina di gravi. E’ tra i Paesi record in Europa (con Cipro e Bulgaria) per gli indici di sfruttamento delle acque, secondo l’Eea, l’agenzia Ue per l’ambiente, dove cioè il consumo d’acqua sta diventando insostenibile.

Serbia, resta centrale il Danubio

The Danube in Serbia ( AudreyH / Flickr)

L’85% delle acque disponibili ha origine fuori dal territorio serbo. Al centro del sistema idrico, il Danubio. Il recente forte inurbamento ha esasperato consumi e la gestione del sistema fognario, mentre la qualità dell’acqua potabile è deteriorata per lo stato delle condutture e i sistemi di disinfezione (clorina).

Non è regione piovosa: se diverse zone umide sono tutelate, tuttavia conta anche ecosistemi scomparsi per la costruzione di dighe. Nell’ultimo decennio, sono migliorati gli standard chimici e batteriologici dell’acqua potabile nelle grandi città, dove le amministrazioni impiegano più fondi. La carenza di rete idrica riguarda zone povere, come le periferie, dove sono concentrati rom e profughi.

Secondo lo studio Bers-Banca Mondiale “Gestione delle risorse idriche nel Sud-Est Europa”, ampie regioni temono inondazioni: in tutto circa 16 mila kmq, di cui oltre 12 mila in Vojvodina. In cima all’agenda idrica nazionale compaiono perciò i sistemi di controllo delle piene lungo i fiumi maggiori. Crisi economica permettendo.

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