Balcani: la scuola alla cartina tornasole del Covid-19
Scarsi investimenti, politicizzazione, poca attenzione alla classe insegnante: la pandemia ha accentuato le contraddizioni della scuola nei Balcani. Il caso del Kosovo
La pandemia di coronavirus ha messo in rilievo alcuni problemi strutturali dei sistemi scolastici dei Balcani occidentali. La didattica a distanza ha portato ad un’esclusione digitale, enfatizzando le differenze tra città e campagne e aumentando l’abbandono scolastico e l’analfabetismo funzionale (incapacità di usare in modo efficace le abilità di lettura, scrittura e calcolo nelle situazioni della vita quotidiana, ndr) tra gli studenti.
Negli ultimi decenni, quasi tutti i genitori nei Balcani occidentali hanno avuto difficoltà nel garantire un’educazione di qualità ai propri figli. Nonostante i governi nazionali abbiano retoricamente promesso riforme e investimenti nell’istruzione, lo scoppio della pandemia a marzo ha mostrato come nessuno fosse pronto ad attuare pagine e pagine di strategie e piani d’azione sostenuti da donatori internazionali.
La pandemia ha messo a nudo le forti disparità esistenti. Raffigurare i tassi di contagio e i rischi di infezione come “i grandi livellatori” ha distorto l’immagine della realtà sul campo: nei Balcani occidentali il Covid-19 ha esasperato alcuni gravi divari strutturali, favorendo l’arretramento democratico e peggiorando le condizioni di vita di coloro che erano già colpiti da povertà e dalle conseguenze dei recenti conflitti. Nonostante da settembre si sia garantita molta attenzione alla questione dell’istruzione, le disparità emerse in marzo hanno continuato ad aggravare il divario tra città e aree rurali, lo sfruttamento del lavoro degli insegnanti e del personale scolastico e il sottosviluppo delle aree periferiche.
"Di punto in bianco, nel giro di 24 ore, ho dovuto reinventarmi insegnante digitale di 20 bambini di prima elementare", ha raccontato un’insegnante albanese. "Ho dovuto consegnare il materiale porta a porta agli studenti che non avevano connessione Internet o computer”, ha aggiunto una collega serba.
Le vulnerabilità dei sistemi scolastici dei Balcani occidentali erano già note a molti. Diversi report internazionali, tra i quali PISA 2018, avevano aumentato la consapevolezza in merito e incentivato i governi locali ad agire. Gli scarsi risultati sono collegati alla diminuzione della spesa pubblica, alle interferenze politiche e al poco interesse nell’investire sulle carriere degli insegnanti. Un evidente sintomo della paralisi del sistema scolastico è il numero crescente di studenti che partono per proseguire i propri studi all’estero, mentre i problemi principali si ripercuotono su chi decide di restare.
Il caso del Kosovo
Durante il dialogo Serbia-Kosovo facilitato dall’Unione europea, Bruxelles ha esortato Pristina e Belgrado a rafforzare la cooperazione nel campo dell’istruzione pre-universitaria nelle aree di entrambi i paesi dove vivono rilevanti minoranze. Al di là di qualche proposta avanzata dal Partito per la Libertà e la Giustizia a Belgrado, il concetto di istruzione come mezzo per la riconciliazione è stato però largamente snobbato. La pandemia ha mostrato come le raccomandazioni dell’UE volte al miglioramento della qualità dell’istruzione e al garantire l’inclusione dei gruppi a rischio non abbiano avuto alcun seguito.
Invece di affrontare i problemi con un approccio olistico e tenendo conto del comune interesse per le generazioni future, le politiche in materia di istruzione hanno invece contribuito ad alimentare le tensioni politiche. Lo scorso settembre, il rinvio di tre settimane della riapertura delle scuole in Serbia (e di conseguenza nel nord del Kosovo per le scuole sostenute direttamente da Belgrado) hanno portato il ministro dell’Istruzione del Kosovo a criticare le istituzioni parallele serbe nel nord del paese.
Tuttavia, i ritardi sono scaturiti più dall’impreparazione di Belgrado a valutare e gestire correttamente i rischi di contagio e avviare serie procedure di controllo che da vera e propria volontà di non rispettare le decisioni di Pristina. L’assenza di protocolli e chiare procedure comuni per l’apertura delle scuole per l’anno accademico 2020/2021 è comunque conseguenza della poca volontà politica di Serbia e Kosovo di far ripartire, durante la pandemia, il dialogo facilitato dall’Ue.
Il digitale
Durante l’estate le piattaforme online per l’insegnamento avrebbero potuto fornire un’opportunità per ripensare e far ripartire l’istruzione pre-universitaria, garantendo ad ognuno il diritto all’istruzione, ma la digitalizzazione è rimasta ben lontana dall’essere affrontata in modo adeguato. Di conseguenza, non si è ancora trovata un’alternativa alla scuola in presenza che sia sostenibile e adeguata.
Inoltre, come confermato dal rapporto annuale della Commissione europea, nel Kosovo un buon numero di centri educativi è al momento a rischio chiusura, mettendo a rischio principalmente i bambini della comunità rom e ashkali. Fino a non molto tempo fa, questi centri garantivano valide opportunità per l’integrazione e il reinserimento di giovani provenienti da comunità marginalizzate, contribuendo così ad una seppur lieve diminuzione del tasso di abbandono scolastico.
Nei casi in cui l’orario scolastico è stato riprogrammato e riorganizzato attraverso la didattica a distanza e l’utilizzo di piattaforme online, questa digitalizzazione ha esasperato le disuguaglianze. Le scuole pubbliche nelle aree rurali sono state quelle maggiormente colpite e non sono state messe nelle condizioni di gestire una nuova fase di disinteresse verso l’istruzione tra gli studenti e le loro famiglie: i primi generalmente scettici nei confronti della didattica a distanza, le seconde riluttanti nell’utilizzo di dispositivi tecnologici a causa dell’alto livello di povertà con il quale sono costrette a misurarsi.
Molti studenti ed insegnanti della minoranza serba in Kosovo hanno criticato la mancanza di programmi educativi e corsi di formazione per preparare i ragazzi alle professioni più richieste nel mercato del lavoro di oggi. Questi, a parer loro, potevano essere organizzati durante la pandemia nel tentativo di diversificare i modelli di educazione scolastica e preparare le comunità al periodo successivo. Questo aspetto gioca un ruolo importante in tutte quelle minoranze dove il monolinguismo può diventare un problema non solo nell’insegnamento, ma anche nel mercato del lavoro e nella cooperazione tra società civile e istituzioni.
Che cosa ci aspetta ora?
Senza che si sia fatto tesoro dell’esperienza del primo periodo della pandemia, la riapertura delle scuole in Kosovo ha mostrato che vi è molto da migliorare. Alla luce della polarizzazione politica e della generale mancanza di dati (affidabili) sull’evoluzione della pandemia, è fin da subito necessaria una migliore fornitura di materiali didattici per tutte le scuole nel 2021.
In quest’ottica, l’approccio all’istruzione con una prospettiva transnazionale sarebbe fondamentale per affrontare le conseguenze della pandemia, oltre ad offrire una prospettiva concreta agli studenti. Dato che l’istruzione è un fattore chiave per l’occupazione futura, il rischio di perdere un’intera generazione nella regione dev’essere evitato ad ogni costo.
Questo articolo è stato scritto come parte di un più ampio impegno di ricerca e advocacy sostenuto dalla Kosovo Foundation for Open Society nel contesto della "Kosovo Research and Analysis Fellowship"