Balcani diversi

Maria Todorova, nota studiosa ed esperta di storia balcanica e ottomana. In questa intervista del settimanale belgradese "Vreme" affronta i temi del nazionalismo, dell’Ue e di come dovrebbero cambiare i Balcani. Nostra traduzione

04/07/2007, Redazione -

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Maria Todorova

Di Jelena Grujić, Vreme, 7 giugno 2007 (tit. orig. Drugačiji Balkan)
Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Ivana Telebak

Il libro della storica Maria Todorova Immaginando i Balcani (Imagining the Balkans, Oxford University Presss, New York), ancora prima di essere pubblicato nel 1997, scosse alle fondamenta i principali dibattiti sui Balcani intesi come una parte oscura dell’Europa, non sviluppata e primitiva, ai quali contribuivano perfettamente le guerre in Croazia e Bosnia Erzegovina appena terminate.

Astro degli studi sui Balcani Maria Todorova è nata a Sofia, da famiglia mista greco-bulgara. Dal 1988 vive e lavora in America, dove ha insegnato in diverse università. Oggi lavora come professoressa all’Università dell’Illinois nel campus Urbana – Champaign, esperta di storia balcanica e ottomana. Alcuni suoi libri sono Inghilterra, Russia e tanzimat; Fonti scelte per la storia dei Balcani da 15° al 19° secolo; Gli storici sulla storia; La struttura della famiglia e la matrice europea, le tendenze demografiche nella Bulgaria ottomana. Il tema di cui si è occupata negli ultimi anni è il nazionalismo e la sua simbologia.

"Adesso sono impegnata a fare qualcosa che non potevo nemmeno immaginare che potessi fare – un progetto sulla memoria del comunismo, anche di quello accompagnato dai grandi stereotipi riguardo la guerra fredda e l’Unione sovietica. Sto cercando di spiegare che il comunismo era molto dispersivo e complesso, e che queste differenze non possono essere ignorate. Negli ultimi anni è molto forte anche la nostalgia post-comunista, in Germania per esempio, o in Bulgaria. Persino nei paesi come la Polonia, molto orientata verso l’anticomunismo, si possono vedere gli elementi della nostalgia, ma anche in Jugoslavia, considerando il fatto che da queste parti questo sentimento è rafforzato dai sentimenti rispetto al paese perduto. Questa nostalgia post-comunista in realtà è legata alla sicurezza sociale, e poi anche al fatto che la classe operaia ovunque è terribilmente umiliata. Queste sono cose molto interessanti e qualcuno deve documentarle", dice Maria Todorova per "Vreme".

Quando dai paesi occidentali arriva nei Balcani, vede dei cambiamenti e quali, in particolare rispetto al periodo in cui raccoglieva i materiali per il suo libro? Il suo libro ha causato qualche cambiamento?

Non ne sono sicura. Per primo, la domanda è cos’è in realtà Occidente, perché nemmeno questa è una entità monolitica. Se mi chiede se il mio libro ha influenzato l’élite politica occidentale, a questo riguardo preferirei essere modesta e dubbiosa. Perché non credo che quella élite legga, ma come qualsiasi altra élite sta cercando delle soluzioni facili. Non ho potuto controllare le voci che dicevano che Clinton avesse letto Gli spettri dei Balcani di Kaplan; dubito anche che abbia letto il mio libro. Non credo che i politici in genere leggano i libri.

Crede che la politica non usi la scienza per i propri scopi? Hanno fatto grandi discussioni su questo tema proprio riguardo ai Balcani.

La verità è che la politica sceglie le teorie alle quali sarà soggetta e non vuole ascoltare le opinioni che le si oppongono. Per esempio, credo che la gente come Samuel Huntington abbia una grande influenza sulla politica, perché sono stati scelti per farlo. Loro sono stati scelti a Washington, alla Banca mondiale e così via. Comunque dubito che i politici sarebbero interessati se la scienza volesse arrivare a loro. Guardate gli specialisti del mondo arabo – credete che ci sia qualcuno interessato a ciò che hanno da dire sul male della guerra in Iraq?

Prendiamo come esempio la sua famosa lezione all’Università della Columbia riguardo i bombardamenti sulla SR Jugoslavia alcuni giorni dopo la loro fine. Ci sono state delle reazioni nell’ambiente in cui lavora a causa della sua forte critica all’intervento della NATO?

Sì, ci sono state molte reazioni. Nel periodo in cui i bombardamenti erano iniziati insegnavo ad Harvard e sin dall’inizio mi ero opposta in modo forte e aperto. La Columbia aveva organizzato un forum di intellettuali su questo tema. Tutto ciò non sarebbe stato notato se qualcuno, senza che io lo sapessi, non avesse messo la mia relazione in Internet. Ci sono state reazioni di vari ambienti, e con mia sorpresa sono state molto buone, anche se praticamente sono riuscita ad offendere tutte le parti in conflitto. Ma, anche se fosse stato così, che c’entra? Questo ha cambiato qualcosa nel mondo della politica? Ci sono stati anche molti accademici orientati a sinistra che hanno sostenuto i bombardamenti e che credono che generalmente bisognerebbe sostenere gli interventi quando è in questione la violazione dei diritti umani, ancora oggi questa non è una cosa insolita. Quando si tratta del bombardamento della Serbia, credo che un grande ruolo nel sostenerlo lo abbia avuto Sarajevo, Susan Sontag e altri.

Nelle reazioni dell’Occidente verso la Serbia si sono anche accumulate le colpe storiche dell’Occidente rispetto al non fare nulla nei Balcani e per i Balcani?

Maria Todorova

Prima di tutto, non c’è nessun dubbio che in Jugoslavia ci sono state violazioni dei diritti umani molto serie. Poi, non ci sono dubbi che l’Occidente preferisce reagire ai problemi in Europa che da qualche altra parte. Se la domanda in realtà è se esiste una politica che non ha doppi standard, la risposta è che molto probabilmente non esiste. Sono pienamente d’accordo che la reazione verso il Darfur o verso il Ruanda non è stata la stessa come quella verso la Serbia, è stata molto più debole. Primo, è perché si tratta dell’Europa. E secondo, credo che l’intero caso sia stato reso specifico per il fatto che si trattasse della violazione dei diritti umani dei musulmani, e l’Occidente in quel momento era rimasto indifferente a loro per molto tempo.

Quello fu il caso in cui l’Occidente ebbe l’occasione di reagire e di mostrare che gli importava dei musulmani. Non dimenticherò mai il senatore del Tennessee, se ben ricordo, che rilasciò un’intervista persino prima di Srebrenica. Lui aveva visto alcuni dei lager per i musulmani in Bosnia e disse di essere stato in Vietnam, in Cambogia, ma che non era mai stato così scioccato da nessuna parte come da quello che aveva visto lì "perché la gente nei lager era bionda con gli occhi azzurri come noi". Questa dichiarazione naturalmente non fu ben accolta dai media perché apertamente razzista e stupida. Comunque, credo che sia stato il motivo che provocò almeno una parte di reazioni: questo accade alla gente bianca, in Europa, nel XX secolo! Non nego che fra gli intellettuali occidentali ci siano stati dei sentimenti sinceri sul fatto che ciò non dovesse accadere. Ma che qualcuno lo politicizzi o lo usi questa è un’altra storia. In ogni caso, il mio dubbio si riferisce al fatto che un’ampia mobilitazione politica non fu una reazione indispensabile per un’opinione pubblica preoccupata perché erano stati violati i diritti umani, ma che aveva di più a che fare con l’affermazione della NATO come istituzione. Condanno gli intellettuali solamente per il fatto di aver adottato doppie misure. Questi erano serbi, e non israeliani.

Cosa pensa dell’approccio al problema kosovaro?

La dissoluzione della Jugoslavia è iniziata con il Kosovo e sta finendo con il Kosovo. Questa è in realtà la sostanza del problema del Kosovo. Naturalmente, posso capire tutti i pro e contro su cos’è il Kosovo e cosa deve essere. Dare l’indipendenza al Kosovo non è soltanto il modo di superare il nazionalismo serbo, è una questione molto importante per il mondo intero. Pensate di dare l’indipendenza a tutti quelli che la chiedono? Allora come potete negare il diritto all’indipendenza alla Turchia sud orientale? O all’Iraq del nord, al Kurdistan? O all’Ossezia e alla Cecenia?

E’ stata fra i primi ad avvertire l’Occidente di prestare molta cautela alla decisione che si baserà su uno dei principi contrastanti, sovranità o autodeterminazione?

Dobbiamo affrontare il fatto che in politica è impossibile essere del tutto coerenti. Ma, anche se accusassimo l’Occidente per i doppi standard, il fatto è che la decisione secondo la quale il Kosovo sarà indipendente è stata presa ancora prima del piano di Ahtissari, questo era chiaro ancora quattro o cinque anni fa. Siamo realisti, è quello che sta succedendo. Un caso del tutto identico è se diciamo che l’Iraq esiste dentro le attuali frontiere. In realtà non è così, perché esiste il Kurdistan al nord, e questo è un fatto di vecchia data. Il fatto è che il Kosovo è già indipendente. Dunque, non c’è un’altra alternativa per la Serbia che quella di lottare per qualcosa di buono in cambio del Kosovo. Forse qualcuno non vuole essere parte dell’Europa, ma essere fuori dall’Europa è un’alternativa ben peggiore. Se qualcuno fosse come la Svizzera e avesse abbastanza soldi per permetterselo, allora potrebbe anche farlo.

Lei è storica dei Balcani. Che futuro prevede per i Balcani, dopo la risoluzione del problema kosovaro?

Non credo che esista veramente l’idea della "Grande Albania". Quello che probabilmente accadrà è un’altra nazione albanese, come è il caso della Romania e della Moldavia, o come se la Macedonia fosse diventata la vera Macedonia e non la Bulgaria. Semplicemente, ci sono dei processi che dividono la gente che desidera stare insieme in più entità. L’unica cosa che io temo è quanto un Kosovo indipendente destabilizzerà la Macedonia. Userò il termine contro il quale lotto: può accadere un’ulteriore balcanizzazione, sminuzzamento del territorio. Ma se anche fosse così? Finché esiste un ombrello comune sopra i Balcani, e i Balcani saranno nell’Unione europea, non c’è alcuna importanza se dentro di esso ci sono delle piccole entità imbacuccate con qualche indipendenza culturale, perché le frontiere saranno libere come lo sono adesso all’interno dell’UE.

Infine, la stessa cosa accade anche nell’Europa occidentale. Da una parte avete un’Europa unita, ma dall’altra parte ci sono le richieste di sovranità come per esempio nel caso della Scozia in Inghilterra. Indipendenza? E allora! I legami saranno gli stessi, con soltanto un po’ più di nazionalismo culturale. Ma non è ciò che accade adesso in ex Jugoslavia? I legami si stanno riprendendo. Per quanto mi riguarda, ciò che oggi accade alla nazione albanese è ciò che è già accaduto a tutte le nazioni balcaniche durante il XIX e XX secolo, e agli albanesi accade solo un po’ dopo rispetto agli altri. Tutti gli stati balcanici hanno fatto parte di entità più grandi e i loro movimenti per la liberazione nazionale furono considerati dai funzionari come terroristici. Alla fine quelli che hanno vinto hanno creato gli stati nazionali.

Con il fatto che la separazione della Scozia probabilmente non provocherebbe quelle vittime che si possono sempre aspettare nei Balcani. Il rapporto verso la sovranità che lei prevede è quello che gli studi sul nazionalismo notano come una novità? Esiste un nazionalismo liberale?

Sì, è un trend parlare del nazionalismo buono, del nazionalismo liberale, del nazionalismo non esclusivo o di patriottismo. Io sono molto sospettosa quando si tratta di questo. In realtà, non credo che ci siano molte cose nuove negli studi sul nazionalismo. La grande novità in questo ambito è arrivata dopo la Seconda guerra mondiale con il concetto modernistico riguardante il legame del nazionalismo con il modernismo, e la considerazione che questo sia stato un fenomeno costruttivo non riguardante l’origine. E’ diventato un trend dominante, ed è una conseguenza della enorme delusione del mondo per ciò che il nazionalismo può compiere, vale a dire: la Prima e la Seconda guerra mondiale. Su questo si è sviluppata la critica al nazionalismo come ideologia esclusiva che bisognerebbe del tutto rifiutare. Mi sembra che nell’ultimo decennio si sia sviluppata un’opposizione a questa decostruzione del nazionalismo, nel senso: siamo andati troppo lontano, e non dovremmo rinunciare del tutto al nazionalismo. Questo adesso sta andando all’estremo opposto, il che si rispecchia nel modo migliore attraverso un buon rapporto verso il concetto di impero. Ciò che nel XIX e XX secolo veniva demonizzato, oggi ritorna di nuovo, e la gente parla di una multicultura dell’imperialismo, della coesistenza etnica nell’imperialismo. E’ iniziato con la nostalgia verso l’imperialismo britannico, poi verso quello austroungarico, oggi anche verso quello ottomano, ed è possibile aspettarsi la stessa cosa anche verso l’imperialismo russo. La delusione del nazionalismo ha rialzato la posta dell’imperialismo, ma tutto questo sta andando troppo lontano. Ovviamente c’è anche chi si impegna per il ritorno della sostanza del nazionalismo, quelli che dicono che c’è qualcosa di potente, di accettabile e non necessariamente cattivo nel nazionalismo.

Quale nazionalismo lei definirebbe buono?

Guardi, il nazionalismo vede il mondo organizzato secondo il principio degli stati nazionali. Ma andiamo a vedere in che modo è nato: come ideologia di emancipazione che di solito era repubblicana, che di solito era contro le persone conservatrici, che possiede una base etnica perché parte dal fatto che in questo modo si emancipa un grande numero di persone, che poi sia basato sul principio della cittadinanza o della lingua comune non ha importanza. All’inizio l’élite politica dell’Europa considerava il nazionalismo un’ideologia radicale che doveva essere spinta fuori con il repubblicanesimo, il socialismo, il comunismo e così via. Oggi invece il nazionalismo è un’ideologia dominante e dal momento in cui lo è diventato, è stato adattato ai bisogni delle élite politiche ed è stato ulteriormente e storicamente "affermato" in modo terribilmente esclusivo. Quello che voglio dire è che il nazionalismo non è buono o cattivo in sé. E’ un tipo di organizzazione della società umana. Probabilmente è più adeguato per determinati periodi, come lo è stato nel periodo della decolonizzazione per esempio, quando è riuscito a mobilitare un grande numero di persone.

L’Unione europea in questo senso è un progetto molto interessante. Ci sono quelli che parlano dell’unione degli stati europei, ma credo che non debba essere intesa così. Gli stati uniti d’America, visti dal punto di vista di come si sente uno straniero, sono molto più tolleranti di qualsiasi stato europeo. Nell’Ue è in corso la trasformazione o la demolizione della sovranità nazionale, ma parallelamente a questo processo viene incoraggiato un meccanismo compensazionale attraverso l’ascesa del nazionalismo culturale, che in realtà è anche incoraggiato dai fondi dell’Ue. L’idea è di mantenere l’identità culturale. Non so dove finirà questo processo, perché se dovesse andare troppo lontano, il nazionalismo culturale potrebbe frammentare troppo, ma ho l’impressione che sarà comunque un’identità multipla con il rispetto delle specificità culturali come sono la lingua, la musica, il cibo e simili, sulla base di una piattaforma politica ed economica comune.

In questo senso l’Europa cambia la sua percezione dei Balcani? Accetta la sua diversità culturale?

Sì e no. Credo che dopo l’intervento dell’Europa e dell’America nel 1999 in Jugoslavia, il balcanismo, come un meccanismo discorsivo della ghettizzazione dei Balcani, sia stato frenato. Dopo di che, i Balcani sono stati visti preferibilemente come parte dell’Europa piuttosto che ghettizzati di nuovo. Da quel punto di vista, credo che esista un’accettazione generale che i Balcani saranno parte dell’Europa, a prescindere dal fatto se sia un bene o un male.

Ciò non vuol dire che l’intera popolazione dell’Europa accetti questo con grande entusiasmo, ma si tratta di un’opinione accolta. Lo si è visto nel gennaio di quest’anno durante l’ingresso di Bulgaria e Romania nell’Ue, e credo che ciò accadrà anche con tutti gli altri. Ciò non significa che gli stati balcanici verranno accettati come paesi di pari diritti, ma guardiamo i fatti: l’Europa centrale è stata accettata con pari diritti? La gerarchia ci sarà sempre. Essa c’è anche fra i paesi dell’Europa occidentale. La cosa che vedo è che la frontiera oggi è stata spostata dai Balcani verso la Turchia e verso l’Islam, e anche i Balcani partecipano a tutto ciò! E la cosa non mi piace. Sui media occidentali potete vedere titoli come: il dialogo fra Europa e l’Islam! E la gente consuma tutto questo come qualcosa di normale. Tutto ciò è molto pericoloso.

L’Europa ha importato questo discorso dall’America oppure si tratta di un suo prodotto?

Si riferisce all’11 settembre? No, questo è un prodotto del tutto europeo. Quando si tratta di Turchia, l’America è addirittura molto più aperta nei suoi confronti rispetto all’Europa. No, questo rapporto dell’Europa verso l’Islam ha delle fondamenta storiche ed è sorretto anche da ciò che oggi accade anche qua, sul campo, e cioè l’immigrazione, un fenomeno che ha avuto luogo dopo la Seconda guerra mondiale e che è di natura sociologica. Il fatto è che questa assimilazione sta subendo un rallentamento. La prima generazione di immigrati in Europa occidentale veniva assimilata molto meglio rispetto alla seconda, e questo problema adesso è radicalizzato. E’ un vero problema che si basa su interpretazioni del tutto errate della storia, dell’identità e simili. La questione chiave è cosa fare in Europa con l’enorme popolazione musulmana non assimilata. Gli avvenimenti globali e il problema riguardo l’Iraq hanno solamente stimolato, ma non creato questo problema in Europa.

Lei ha partecipato alla stesura di una storia comune dei Balcani. Crede che questo progetto si potrà mai applicare in realtà?

Sì, credo di sì. Per iniziare, sono stati fatti quattro libri che sono delle fonti eccezionali di informazione. La questione è se saranno accettati dai ministeri della regione e questo a che fare con la continuità delle politiche nazionali. Non potete aspettarvi che a dieci anni dallo sfacelo della Jugoslavia i ministri saranno tanto illuminati da accettare con entusiasmo una storia scritta così. È un fatto ormai che esiste una discussione sullo scrivere la storia in modo non esclusivista, e questo va sempre più avanti. Ad ogni modo, il fatto è che ci sono persone di tutti i paesi balcanici che pensano a come educare i figli che saranno consapevoli delle differenze storiche e che questo presso di loro suscita resistenza e automaticamente odio verso i vicini. Credo che sia possibile. La vera sfida per gli storici sta nel non creare una stupida, politicamente corretta e non interessante narrativa in cui nessuno crederà. Loro devono scrivere una storia a sangue freddo che non escluderà i fatti scomodi.

Come cambiare i Balcani? Bisogna cambiarli?

Sì, bisogna cambiare i Balcani da sopra e da sotto. Credo che ogni paese in questo senso sia un caso diverso dall’altro. Io non sono per far diventare i Balcani dei non-Balcani. L’unica domanda è in che modo i Balcani possono essere meno esclusivi.

Non tutti gli stereotipi sui Balcani sono cattivi, anzi. Infine, ciò che è emerso di buono dalla ghettizzazione dei Balcani è che per la prima volta, almeno da quando mi conosco, è successo che i paesi balcanici si siano interessati reciprocamente. Anche prima esistevano delle istituzioni balcaniche ma non esisteva un vero scambio fra la gente e i paesi. Si andava all’estero, ma in Bulgaria o in Romania si andava come per una punizione. Oggi esiste un vero interessamento e scambio, nella sfera intellettuale, in quella artistica, in tutti gli ambiti. La gente si incontra, e credo che sia fantastico. Per me è una cosa nuova. Alcuni miei colleghi in Bulgaria parlano della creazione dell’identità balcanica. Credo sia stupido, non credo che si stia creando qualcosa che si possa chiamare con quel nome. Ma la gente nota le affinità reciproche. Nel momento in cui le tensioni politiche diminuiscono, inizia lo scambio culturale ed economico.

In Turchia oggi avete una certa idealizzazione di tutto ciò che proviene dalla Grecia, e nelle taverne greche si sente sempre di più la musica orientale. Anche questo fa parte dell’accettazione dell’altro, questo adottare le piccole cose. In questo momento non vedo più i grandi problemi politici all’orizzonte dei Balcani. La dissoluzione della Jugoslavia è stato l’ultimo grande problema, e presto sarà finito. Sono molto ottimista e credo che nei Balcani sia in corso un processo di creazione di discorsi generali.

Per quanto riguarda i micro livelli e il fatto che la gente si sente trascurata e isolata, la vera domanda è se loro si sentono così perché sono serbi, bulgari, musulmani oppure contadini? Oppure come persone che provengono da determinati ambienti che sono isolati dagli altri ambienti. All’identità non bisogna dare sempre il privilegio del nazionale, perché esso non è l’unico indicatore.

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