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Azerbaijan: il silenzio degli innocenti
Ad un mese dai Giochi olimpici europei che si terranno nella capitale azera Baku, decine di donne e uomini, attivisti e oppositori al governo, sono in carcere e messi a tacere. A preoccupare però è anche il silenzio da parte della comunità internazionale su questa questione
Il 24 giugno 2014 durante una sessione a Strasburgo dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa (PACE), un giovane attivista, Rasul Jafarov, presentò una lista dettagliata dei prigionieri politici in Azerbaijan.
L’elenco era stato compilato da un gruppo di lavoro apposito costituito da attivisti per i diritti umani e che comprendeva lo stesso Jafarov, Leyla Yunus e Intigam Aliyev.
Il prossimo 24 giugno sarà trascorso un anno da quando quest’elenco è stato consegnato alla comunità internazionale. Ma, più che optare per un cambio di politica, e liberare tutti i prigionieri politici, il governo dell’Azerbaijan non ha fatto altro che allungare quella stessa lista, includendone anche gli autori ed altri giornalisti e attivisti di rilievo.
Quest’anno, il 24 giugno, segnerà anche l’arrivo in Azerbaijan di atleti da 50 paesi diversi, che competeranno in gare di nuoto, basket, beach soccer, pallavolo e molti altri sport nella prima edizione dei Giochi olimpici europei, che si terranno proprio a Baku, la capitale del paese, dove sono incarcerati molti dei prigionieri politici.
Rasul Jafarov, che presentò la lista dei prigionieri un anno fa presso il Consiglio d’Europa, avrà scontato per allora due mesi della condanna a sei anni e mezzo di carcere comminatagli il 16 aprile del 2015 dalla Corte di Baku per crimini gravi, nonostante vi fossero prove manifeste che dimostravano la sua innocenza.
Nel frattempo la moglie del Presidente Ilham Aliyev, Mehriban Aliyeva, e altri rappresentanti governativi e delle istituzioni, accoglieranno gli ospiti al loro arrivo nella capitale di uno stato ricco di idrocarburi, corrotto e autoritario. Si stringeranno mani, ci si scambierà complimenti, ci si congratulerà a vicenda: ed un altro grande e controverso evento verrà così ospitato in una città che è la capitale delle anime imprigionate e della morsa autoritaria.
E questa volta non vi saranno Jafarov, Yunus, Aliyev o Ismayilova a dare voce alla critica, come avvenuto in passato: quando nel 2012 l’Azerbaijan stava per ospitare un altro evento dal grande ritorno d’immagine – Eurovision – furono molte infatti le proteste e le campagne organizzate per mostrare qual era l’Azerbaijan oltre le luci brillanti del Crystal Hall. Quest’anno invece le voci critiche sono silenziate, in galera.
Sono state di conseguenza le organizzazioni internazionali che si occupano di diritti umani – affiancate dalle poche deboli voci critiche di alcuni in Azerbaijan – a denunciare cosa si cela dietro agli otto miliardi di dollari investiti nei Giochi olimpici europei. Ed a chiedere che non venissero inviate delegazioni di alto livello alla cerimonia d’apertura dei Giochi.
Dato però il silenzio da parte dei decisori politici occidentali sulla repressione delle voci libere e indipendenti da parte di Aliyev, le possibilità che si presti attenzione a quest’invito sono limitate.
All’interno dell’Azerbaijan, contrastare le critiche internazionali non è mai stato così facile. L’armata degli apologhi, dei troll e dei portavoce sostiene che le accuse che arrivano dalla comunità internazionale sono infondate e che nessuno in Azerbaijan è in carcere a causa delle proprie idee politiche o per qualche cosa detta o scritta. Come ha dichiarato a Riga un giornalista vicino ad Aliyev durante il World Press Freedom Day: “In Azerbaijan vi è più libertà d’espressione che in qualsiasi altro stato qui rappresentato”.
Secondo il Committee to Protect Journalists (CPJ) vi sono 9 giornalisti attualmente imprigionati in Azerbaijan, e in aggiunta quattro casi che riguardano bloggers o attivisti on-line.
CPJ è tra le organizzazioni dichiarate “non gradite” in Azerbaijan, assieme a Human Rights Watch e Freedom House. E le autorità non hanno certo timore nel mostrare la loro inimicizia. Agli inizi di aprile è stato rifiutato il visto di ingresso ad un ricercatore di Human Rights Watch, Giorgi Gogia, dopo essere stato trattenuto per 31 ore presso il terminal voli internazionali dell’aeroporto di Baku.
Questa sembrerebbe essere una nuova tattica adottata dalle autorità: organizzazioni come ad esempio HRW visitano l’Azerbaijan per potersi incontrare con i propri partner e per osservare la correttezza dei processi. Forse è stato proprio un rapporto reso pubblico da Amnesty International in marzo a far accendere da parte delle autorità l’allarme e le luci rosse nei confronti di Gogia. Qualsiasi ne siano le ragioni la repressione delle voci critiche continua e gli altri guardano in silenzio.
Spie armene
Per screditare ulteriormente i critici del governo, la leadership dell’Azerbaijan li accusa di fare “propaganda armena”. Nello stesso modo in cui il presidente turco Erdoğan incolpa “formazioni parallele” (che includono da un po’ Israele, gli Stati Uniti, vari think tank e addirittura le linee aeree Lufthansa) per qualsiasi cosa venga detta contro il suo partito AKP, così fa l’Azerbaijan del presidente Aliyev. In Azerbaijan, quelle “formazioni parallele” sono sempre costituite dall’Armenia. E tutti quelli che fanno sentire la propria voce sono agenti armeni assoldati per screditare l’Azerbaijan a livello internazionale. Questi agenti armeni andrebbero in giro per il mondo a partecipare ad eventi internazionali, scrivono per la stampa di questioni sempre più preoccupanti che riguardano l’Azerbaijan, questioni che però sono certamente frutto unicamente della loro immaginazione.
Questa tattica di accusare i critici del governo di rappresentare gli interessi armeni non è certo nuova. E’ da anni che intellettuali di spicco nel paese vengono accusati di avere amici armeni, vengono criticati per impegnarsi nel dialogo con il nemico e per tentare di risolvere in modo pacifico il conflitto. I più conosciuti tra loro sono Leyla e Arif Yunus, portatori di una proposta di risoluzione pacifica del conflitto e attualmente in galera accusati, tra le altre cose, di tradimento. Vi è anche il giornalista Rauf Mirkadirov, che è stato estradato dalla Turchia l’anno scorso e arrestato non appena ha fatto il suo ingresso in Azerbaijan.
In questi giorni, a risposta delle montanti critiche da parte delle organizzazioni internazionali che si occupano di diritti umani, anche loro sono divenuti i prodotti degli sforzi di lobbying armena.
Non si può più sollevare domande e dubbi sulla legittimità e trasparenza della leadership azera senza ricevere in cambio un’etichetta: di spia occidentale ad esempio, di agente armeno o di beneficiario di fondi internazionali. Come è stato scritto recentemente su un portale noto per la sua ammirazione nei confronti del governo: “Questi furfanti sono pronti a prendere soldi da chiunque gli chieda di tradire il loro paese”.
Tutti in prigione per falsi motivi
L’ondata di arresti avviati nel gennaio 2014 ha segnato un cambiamento nell’approccio nei confronti delle voci critiche. Non sono più i tempi delle accuse di vandalismo e di possesso di stupefacenti, che portavano gli oppositori in prigione per poco tempo. Le imputazioni sono divenute più pesanti, le pene comminate più lunghe e la poca pressione internazionale che vi era è stata rimpiazzata da un silenzio, da scuse, da giustificazioni. E proprio mentre l’Azerbaijan presiedeva il Consiglio dei ministri del Consiglio d’Europa era noto a tutti a livello internazionale che intellettuali, analisti, esperti della società civile, attivisti e giornalisti venivano rinchiusi in carcere.
Attraverso progetti, finanziamenti o una cooperazione più diretta molti di quelli che ora sono dietro alle sbarre collaboravano con colleghi occidentali, discutendo, lavorando e costruendo un futuro differente per l’Azerbaijan.
Ora queste persone vengono etichettate come “criminali” ma anche in questo vi è dell’incongruenza. Tornando a Riga: durante il World Press Freedom Day promosso dall’Unesco un giornalista vicino al governo, Azer Hesret, ha affermato che queste persone meritano di essere in carcere perché intendevano destituire il governo legittimo e portare l’Islam radicale in Azerbaijan. Bene, i loro capi d’accusa in patria comprendono evasione fiscale, abuso di potere, possesso illegale di armi da fuoco, appropriazione indebita, nei casi più rilevanti anche tradimento. Ma mai vengono menzionati tentativi di destituire il governo e mai evidenziate eventuali affiliazioni con gruppi religiosi radicali.
E’ questa la situazione ad un mese dall’inaugurazione dei Giochi olimpici europei. Decine di donne e uomini sono in carcere, per impedire loro di parlare, senza aver commesso alcun reato. E tutto questo è testimonianza della gravità della situazione in Azerbaijan.
Questa pubblicazione è stata prodotta nell’ambito del progetto European Centre for Press and Media Freedom, cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l’opinione dell’Unione Europea. Vai alla pagina del progetto