Azerbaijan: i “most wanted” di Aliyev

Sette anni e mezzo di carcere per Khadija Ismayilova, giornalista investigativa di Baku. In Azerbaijan è arrivata l’ennesima condanna per chi critica l’autoritarismo e la corruzione dilagante nel paese

04/09/2015, Arzu Geybullayeva -

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Ilham Aliyev (World Economic Forum/flickr)

Alcuni presidenti si occupano di lotta al t[]ismo, altri si occupano della crisi dei rifugiati o di favorire lo sviluppo economico. In Azerbaijan il presidente è impegnato nel lottare contro i suoi nemici interni. Ma la lista dei nemici di Ilham Aliyev non è più tanto lunga ed è stata ulteriormente accorciata con l’ennesima condanna a molti anni di galera, due giorni fa, di un’eminente giornalista.

Uno sguardo più da vicino alla lista dei “most wanted” rivela i nomi di difensori dei diritti umani, giovani attivisti, blogger, giornalisti, organizzazioni non governative ed alcune testate giornalistiche.

A volte sembra che Aliyev junior [l’attuale presidente azero è figlio del presidente precedente, ndr] incapace di ottenere vittorie sul fronte del conflitto che da vent’anni il paese conduce contro l’Armenia, concentri tutta la sua energia per reprimere chi lo critica all’interno del paese – e non certo per la sua incapacità di risolvere la questione del Nagorno Karabakh – e nell’impegnarsi in ogni sorta di azione illegale.

Khadija Ismayilova, giornalista investigativa di Baku, rientra nella categoria dei “critici”: ha condannato le politiche autoritarie del governo e la corruzione rampante nel paese. Ha infatti dedicato i suoi ultimi cinque anni di lavoro ad investigare su aziende off-shore, imperi economici sorti dal giorno alla notte e sui principi democratici che andavano sgretolandosi nel paese. Come da lei stesso dichiarato – dopo aver ricevuto minacce per il lavoro svolto – non è mai stata sua intenzione scovare connessioni nel suo lavoro con il presidente Aliyev e i suoi famigliari. Ma tutti i dati raccolti e le ricerche realizzate la portavano a innumerevoli società, tutte con legami più o meno diretti con la famiglia presidenziale.

La sentenza a sette anni e mezzo di carcere, comminatagli lo scorso primo settembre da una corte di Baku, non è stata quindi una sorpresa. Fin dall’inizio del processo è stato più che evidente che la corte non era interessata alle prove, ai testimoni o alle stesse dichiarazioni di Khadija. Tutto ciò che non portava argomenti all’accusa veniva semplicemente non preso in considerazione. Come detto dalla stessa Khadija, nella sua dichiarazione finale: “Mentre arrivavano le dichiarazioni dei testimoni, il pubblico ministero si è reso conto che tutte le menzogne venivano a galla e quindi ha fatto in modo che questi documenti non venissero analizzati dalla corte”.

Ma il caso di Khadija e di questo processo farsa non sono gli unici. Nella lista dei nemici domestici di Aliyev vi sono anche Leyla e Arif Yunus, una coppia conosciuta per il proprio lavoro nel campo della riconciliazione e delle scienze politiche: entrambi condannati alla detenzione.

Aliyev inoltre non ama i giovani attivisti. Un’inimicizia già evidente nel lontano 2009 quando vennero perseguiti due ragazzi che, con la satira, prendevano in giro il suo governo. I due sono stati poi conosciuti come “gli asini blogger”. Entrambi sono stati condannati a due anni di carcere, uno poi trascorso effettivamente in galera.

Nel corso del 2014 molti altri giovani attivisti hanno subito processi teminati con condanne dai 6 agli 8 anni e mezzo. Alcuni sono stati poi rilasciati subito, dopo aver scritto una lettera indirizzata al presidente in cui si scusavano per i loro atti, altri graziati solo dopo mesi di carcere. Tutto questo dimostra la paura del presidente Aliyev nei confronti dei giovani che la pensano di testa propria e che si oppongono alla sua presa autoritaria sul paese, nonostante il clima di paura e di intimidazione.

Altri “most wanted” sono gli attivisti per i diritti umani Rasul Jafar e Intigam Aliyev; Anar Mammadli, a capo di un’organizzazione indipendente che si occupa di monitoraggio elettorale; Ilgar Mamedov, politico dell’opposizione; giornalisti quali Seymur Hazi e Parviz Hashimli e i giornalisti indipendenti che, a Berlino, hanno fondato Meydan TV [tra i quali uno dei due “asini blogger”, Emin Milli].

Questa lista include donne e uomini che hanno ottenuto importanti riconoscimenti all’estero per il loro lavoro ed il loro impegno. Tutto questo avviene mentre il presidente Aliyev è libero di andarsene in giro nonostante violi costantemente numerose leggi dell’Azerbaijan e i membri della sua famiglia continuano ad impegnarsi in imprese criminali nonostante il lavoro di Khadija Ismayilova abbia portato numerose prove a dimostrazione del loro comportamento criminale.

E’ chi parla di questi crimini che finisce dietro le sbarre, minacciato, perseguitato e a volte addirittura assassinato.

Negli ultimi 18 mesi Aliyev è riuscito a silenziare le voci più autorevoli del paese, e alcuni di loro potrebbero non rivedere mai più la libertà, data la loro età e il loro stato di salute.

Negli ultimi 15 anni, da quando Ilham Aliyev ha sostituito il padre, si è liberato dell’opposizione politica, si è garantito elezioni fraudolente e non-democratiche, ha cambiato la costituzione assicurandosi così la presidenza a vita, ha modificato la legislazione in modo da rendere impossibile la sopravvivenza alle organizzazioni non-governative.

Durante la sua presidenza sono stati uccisi quattro giornalisti e molti altri sono finiti in galera. La corruzione ha raggiunto livelli mai raggiunti prima e tre giorni fa, una corte ha comminato una dura pena detentiva ad una della più prominenti voci dell’Azerbaijan.

Presto non ci sarà più nulla da silenziare, cambiare o reprimere. Perché presto non sarà rimasto nessuno in Azerbaijan se non Aliyev stesso e la sua corte. E la gente? E’ stata messa a tacere tanto tempo fa quando attraverso il ministro dell’Educazione si è tolto loro il diritto all’educazione, assicurandosi poi che rimanesse così.

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Questa pubblicazione è stata prodotta nell’ambito del progetto European Centre for Press and Media Freedom, cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l’opinione dell’Unione Europea. Vai alla pagina del progetto

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