Aut aut del FMI all’Albania

Un duro faccia a faccia tra il nuovo governo di Sali Berisha e la delegazione del Fondo monetario internazionale, sfociato in un aut aut imposto dal FMI al governo di Tirana. Le reazioni della stampa albanese

01/12/2005, Indrit Maraku -

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Sali Berisha con la delegazione del FMI

Con un "aut aut": così si è conclusa la visita della delegazione del Fondo monetario internazionale (FMI) nella capitale albanese. Il messaggio indirizzato al neo-governo di Sali Berisha è stato chiaro: "Se non fate come diciamo noi, ce ne andiamo!".

Tornato al potere promettendo una forte riduzione di tasse, il Premier ha dovuto fare i conti con il "no" assoluto del FMI e ricorrere ai ripari annunciando che nella finanziaria del 2006, in questi giorni al vaglio del Parlamento, non ci sarà nessuna riduzione.

Dal canto suo la stampa ha mostrato di non aver gradito per niente quelle che ha definito "minacce del FMI". E nello spirito di ribellione, l’esempio offerto dai quotidiani locali è stato quello della Romania e della Bulgaria che hanno già rifiutato i consigli forniti dal Fondo.

La riforma negata

Aveva promesso una riforma fiscale che sarebbe diventata realtà già nel pacchetto fiscale per la finanziaria del 2006. Ridurre l’IVA è uno dei desideri di Sali Berisha, con tariffe diverse in base alla tipologia dei prodotti, specialmente per quelli di largo consumo che avrebbero avuto un’imposta minima. Abbassare l’imposta sui redditi, è un altro sogno negato, che per le piccole aziende doveva scendere al -50%: una decisione che secondo il Governo avrebbe aiutato le imprese a respirare meglio e magari a creare nuovi posti di lavoro.

Ma non è della stessa idea il Fondo monetario internazionale. Secondo Istvan Szekely che guidava la delegazione che ha visitato Tirana pochi giorni fa, un’economia fragile e con alti livelli di evasione fiscale come quella albanese, non può permettersi di ridurre degli "introiti sicuri e puliti" come l’IVA e l’imposta sul reddito. Deciso a non permettere a nessuno di mettere mano sull’IVA, Szekely ha spiegato ai giornalisti che in nessun Paese in via di sviluppo come l’Albania è mai risultato che la riduzione dell’IVA abbia generato un aumento dei posti di lavoro.

Come se non bastasse, la delegazione del FMI ha procurato un’altra figuraccia al Premier Berisha. Durante la campagna elettorale del giugno scorso il leader democratico aveva promesso di non realizzare il cosiddetto "parco energetico" nella baia di Valona: un progetto tanto voluto invece dalla Banca Mondiale e dal FMI che erano riusciti a convincere l’ex governo socialista di Fatos Nano.

Ma vista la gravissima crisi energetica che da due mesi sta colpendo l’Albania, il Fondo ha fatto pressioni per far sì che il progetto venga realizzato. Alla fine dei colloqui col Governo, si è arrivati ad un accordo. Berisha ha dovuto spiegare all’opinione pubblica che "a Valona costruiremo soltanto una centrale termica e non un parco energetico", ma nonostante il suo tentativo di diminuire la portata del progetto, agli occhi dei cittadini albanesi il loro Premier ha fatto un passo indietro cedendo alle pressioni.

Tra diktat e pressioni

"Né l’Albania né il FMI non desiderano che si ripeta la situazione del 1996, quando il FMI ritirò dal Paese la sua missione permanente. Ma se le autorità albanesi desiderano davvero collaborare, allora ci devono ascoltare". La frase è stata pronunciata in conferenza stampa dal capo della delegazione Istvan Szekely in seguito alla domanda di un giornalista che gli chiedeva se il monitoraggio dell’economia albanese significasse il diktat sulle decisioni che un Paese sovrano deve essere libero di prendere da solo.

Tutti i media hanno parlato di minacce aperte rivolte al governo di destra di Berisha: quel "1996" infatti voleva ricordare i precedenti dissapori tra il FMI e Berisha – quando l’attuale Primo ministro era Presidente della Repubblica – in seguito ai quali la missione abbandonò il Paese delle aquile. Il motivo ufficiale, si disse allora, aveva a che fare con le truffe finanziarie che l’allora governo di destra aveva tollerato.

Prima di lasciare la capitale albanese, nel caso qualcuno non avesse afferrato bene il messaggio, la delegazione del FMI ha dichiarato di aver posto ben 76 condizioni al governo di Tirana, prima di passare al rinnovo dell’accordo di collaborazione con il Paese. Un accordo che ufficialmente dovrebbe essere di tre anni, ma che in realtà sarà rivisto ogni 6 mesi. Un passo indietro nei rapporti tra l’organismo internazionale e Tirana, visto dagli analisti locali come una prova permanente, una mancanza di fiducia nei confronti del governo di destra: quando al governo erano i socialisti l’accordo veniva rinnovato ogni tre anni.

La "protesta" mediatica

Sali Berisha con Istvan Szekely

"Diktat", "pressioni", "minacce", "sfiducia" sono alcune delle parole più usate dai giornali che hanno seguito l’intera vicenda con molta attenzione. Secondo l’analista Feti Zeneli, uno dei più duri con i suoi interventi, il "violento controllo del FMI di questi ultimi 14 anni" si doveva attenuare, ora che l’economia del Paese è da sei anni che dà segni di stabilità, con l’inflazione sotto controllo e una crescita economica del 6%.

Zeneli parla di una "gelosia insensata verso un nuovo governo causata da vecchie storie di disaccordi". "Il fatto più significativo del fallimento della missione economico-sociale del FMI in Albania – ha scritto nel suo editoriale – è l’obbiettivo mancato della riduzione della povertà attraverso la crescita economica. … Oggi il 65-70% della popolazione albanese è povera."

I tantissimi riferimenti ai casi di Romania e Bulgaria, che ai consigli del FMI hanno detto "No, grazie!", hanno rivelato una voglia di "indipendenza economica" espressa dai media albanesi, che hanno mostrato di non tollerare chi fa il padrone in casa altrui.

Preferenze politiche?

Nonostante le strette di mano, i sorrisi in pubblico e le dichiarazioni della serie "ci troviamo d’accordo su molti punti", gli ultimi sviluppi hanno fatto pensare a preferenze politiche da parte del FMI. I vecchi problemi tra l’organismo internazionale e il "ribelle" Berisha sono noti a tutti, ma secondo diversi analisti non sono da imputare solo alle truffe finanziarie. Il vero motivo della crisi del ’96, che portò anche al ritiro della missione, sembra essere la richiesta (nell’autunno del 1995) da parte del FMI all’allora Primo Ministro Aleksander Meksi, di aumentare l’IVA dal 12,5% al 18% e di aumentare gli stipendi del 10%. Ma le autorità dello Stato, compreso il Presidente Berisha, insistettero di non spostare il livello dell’IVA e di aumentare invece gli stipendi del 25%.

I rapporti con i socialisti invece sembrano essere stati più che ottimi, a partire dal 17 luglio ’97 quando con la regia del FMI, dell’UE e della Banca Mondiale si creò il Patto di stabilità per l’Albania, con l’obiettivo di stabilire i parametri macro-economici. Tre furono le misure drastiche che vennero prese dal Fondo monetario internazionale e dal governo di sinistra di Fatos Nano per raggiungere l’obiettivo: aumentare l’IVA dal 12,5% al 20%, bloccare i crediti per le imprese dalle banche di secondo livello e l’aumento con il contagocce delle paghe e degli stipendi.

Secondo gli analisti, il consenso dei governi socialisti del dopo ’97 fece trasformare la missione del FMI a Tirana in un loro alleato "che li protesse fanaticamente e spesso ingiustamente". Ora tocca a Berisha decidere sul da farsi: dovrà scegliere se camminare da solo o farsi portare per mano, e per farlo ha a disposizione i "6 mesi di prova" che gli sono stati concessi.

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