Attenti a quei due, criminali di guerra
Due figure controverse e discusse quelle di Jovica Stanisic e Franko Simatovic, ritenuti responsabili di crimini di guerra in Croazia e Bosnia ed Erzegovina, sospettati di essere coinvolti nell’omicidio del premier Djindjic.
Il Tribunale de L’Aja è in attesa di due indiziati serbi. Si tratta di Jovica Stanisic e Franko Simatovic detto Franki. Rispettivamente il capo dei servizi segreti di sicurezza e il comandante dell’unità per le operazioni speciali (JSO) denominata Berretti Rossi, smantellata di recente a seguito dell’attentato a Zoran Djindjic. Il Tribunale de L’Aja ha emesso l’atto di accusa contro entrambi il 1° di maggio e lo ha reso noto il 5 maggio. Nell’atto di accusa, firmato da Carla del Ponte, Stanisic e Simatovic sono accusati di crimini contro l’umanità e di violazioni delle leggi di guerra, inoltre sono accusati di aver partecipato ad azioni criminali il cui scopo era quello di rimuovere in modo forzato la popolazione non serba dai territori della Bosnia e della Croazia.
Sia Stanisic che Simatovic – quest’ultimo era sotto la guida del capo dei servizi di sicurezza e per questo motivo lo si trova sempre affiancato al primo – sono ritenuti tra i maggiori responsabili dei crimini compiuti durante la guerra di Croazia e di Bosnia ed Erzegovina, nel periodo che va dal 1991 al 1995. Entrambi sono accusati dell’appoggio, dell’organizzazione e del finanziamento delle unità paramilitari attive in quel periodo, quali le Tigri di Arkan, la polizia di Martic, la Milizia del cosiddetto Distretto Autonomo della Serbia della Slavonia, ed altri gruppi paramilitari non autorizzati responsabili delle atrocità commesse durante le guerre di Croazia e di Bosnia ed Erzegovina. Tra i crimini per cui sono accusati, figura la responsabilità per l’uccisione di 255 croati e non serbi catturati nell’ospedale di Vukovar e uccisi nel novembre del 1991. Per il periodo compreso tra il marzo 1992 e proseguito fino al 1995, entrambi gli accusati sono poi messi in correlazione con la pulizia etnica delle città di Bijeljina, Bosanski Samac, Doboj, Mrkonjic Grad, Sanski Most e Zvornik.
Tra i due, decisamente il più discusso è Jovica Stanisic. Nato nel 1950 in Vojvodina, iniziò a lavorare per i Servizi di sicurezza serbi nel 1975, per i quali mantenne la posizione di comando nel periodo compreso tra il 1991 fino alla sua destituzione avvenuta il 27 ottobre 1998, quando il suo posto venne ereditato da Rade Markovic (vicino alle posizioni dell’ex presidente federale Vojislav Kostunica ed uno degli arrestati nella recente "Sciabola", azione di polizia contro la criminalità organizzata in Serbia, già incriminato dell’omicidio di quattro membri del partito di Vuk Draskovic sulla statale di Ibar). Mentre Frako Simatovic è nato nel 1950 a Belgrado. Iniziò a lavorare nei servizi di sicurezza nel 1978 ricoprendo vari ruoli fino al 2001, diventato noto per la sua funzione di comandante dei Berretti Rossi.
Negli ultimi due mesi il nome di entrambi gli indiziati è ricorso più volte sia sulla scena politica che sui media. Due giorni dopo l’omicidio del premier serbo Zoran Djindjic, scatta il mandato di arresto di Simatovic e Stanisic. Quando ancora il TPI de L’Aja non aveva emesso alcun mandato sul loro conto. Stanisic e Simatovic sono stati mesi in relazione con l’omicidio Djindjic e con l’ambiente criminale serbo. Se – come fa notare Ljiljana Smajlovic su NIN, 8 maggio ’03 – nessuno è rimasto sorpreso dall’atto di accusa emesso dal tribunale internazionale, una certa sorpresa c’è stata riguardo al fatto che né uno né l’altro degli indiziati compare invece nella lista dei 45 sospetti dell’omicidio di Zoran Djindjic. Dice bene la Smajlovic quando riporta il fatto che il nome di Simatovic e Stanisic venne posto in relazione con l’omicidio Djindjic e con la necessità dell’introduzione dello stato di emergenza (a tal proposito cita le parole pronunciate il 18 marzo da Cedomir Jovanovic, attuale vice premier,: "arrestare Jovica Stanisic o arrestare Franko Simatovic sarebbe stato impossibile senza lo stato di emergenza, assolutamente impossibile").
Infine, il nome di Stanisic era comparso più volte in passato come un possibile testimone contro Milosevic. Ciò è in parte dovuto al fatto che Stanisic prima delle sue dimissioni si fosse opposto alla linea dura di Milosevic, poco prima dell’inizio della guerra in Kosovo, ma anche al fatto che potrebbe testimoniare sulla responsabilità diretta di Milosevic nei crimini delle guerre in Croazia e BiH.
La scorsa settimana, alcuni settimanali serbi, tra i quali "Vreme", "Nin" e Danas Vikend" hanno dedicato diverse pagine alla imminente consegna di Simatovic e Stanisic al TPI de L’Aja. Tuttavia sia "Vreme" che "Nin" hanno evidenziato alcune contraddizioni di questa vicenda. In particolare vale la pena riportare l’opposizione che Stanisic esercitò contro Milosevic. Una posizione confermata a suo tempo anche dalla Associated Press, che il 27 ottobre 1998 scrisse: Stanisic guidava "una frazione all’interno del governo" la quale si è opposta alla collaborazione di Milosevic con Seselj, aggiungendo che la destituzione di Stanisic è "un indicatore della vittoria degli appartenenti alla linea dura sulle forze riformiste all’interno del governo Milosevic" e che inoltre Stanisic si sarebbe opposto "alla pressione sui media indipendenti in Serbia" (NIN, 8 maggio ’03).
Curiose sono le dichiarazioni di alcuni membri della allora opposizione, tra cui Nenad Canak, Zoran Djindjic, Kostunica e altri. Prendiamo alcune come esempio. Secondo Djindjic, Jovica Stanisic è stato "un funzionario statale corretto, che non è mai stato un cocco di casa della famiglia Milosevic-Markovic" e che la sua destituzione è "espressione del panico di Milosevic, il quale perde il controllo sulla situazione del paese". Nenad Canak (leader del partito socialdemocratico della Vojvodina) definì Stanisic come un uomo "competente", Filip Vujanovic (attuale presidente montenegrino) qualificò Stanisic come un "eccellente professionista" (NIN, 8 maggio ’03).
Ancora più curioso è quanto riporta "Vreme" 8 maggio ’03, circa la possibilità di testimonianza presso il TPI de L’Aja nel processo contro Milosevic. Possibilità motivata dal fatto che Stanisic si fosse più volte incontrato nel 2001 con un incaricato delle indagini per il tribunale de L’Aja. Nel giugno dello scorso anno la casa di Stanisic fu visitata dagli investigatori del TPI con l’intento di ottenere documenti del 1997 comprovanti la responsabilità di Milosevic nella assunzione del comando dei servizi di sicurezza. Già dallo scorso anno quindi si parlava di Stanisic più come un probabile teste piuttosto che come un accusato. Nonostante che le indiscrezioni sulla sua ipotetica collaborazione col TPI venissero già allora smentite dall’avvocato stesso di Stanisic, certo è che la figura di Stanisic fino al giorno dell’omicidio di Djindjic non pareva così compromessa quanto lo è risultata dopo, ad arresto avvenuto. Dopo di che il ministro degli esteri della Serbia e Montenegro, Goran Svilanovic, si è affrettato a dichiarare che Stanisic e il suo collega Simatovic sarebbero stati consegnati al TPI de L’Aja, benché il Tribunale non avesse ancora emesso un mandato di cattura.
L’unico a mettere in discussione la consegna dei due indiziati sembra essere Dragoljub Micunovic, presidente del parlamento federale. Il quale, va detto, a partire dal dopo attentato contro il premier sembra uno dei pochi ad aver mantenuto un atteggiamento sobrio e moderato, sollevando dubbi su possibili strumentalizzazioni dello stato di emergenza.
Micunovic si chiede se è veramente necessaria la consegna di Stanisic e Simatovic a L’Aja, privando, in questo modo, il tribunale locale di un importante tassello dell’indagine sull’omicidio del premier Djindjic. In effetti la domanda è tutt’altro che peregrina. Se i due sono stati posti in relazione con l’omicidio di Djindjic è anche vero che fino a poco tempo fa almeno Stanisic veniva considerato come una spina nel fianco di Milosevic. Occorre tenere presente anche quanto si dice circa la possibilità che l’allora opposizione, ossia l’attuale potere, se la intendeva con Stanisic e con la polizia segreta, che chi si è arricchito in tutto questo periodo lo ha fatto con il beneplacito di Stanisic. Non a caso la presidentessa del Comitato degli avvocati per i diritti umani Biljana Kovacevic-Vuco ha detto al settimanale "Nin" che "politicamente inteso il processo di Jovica Stanisic a Belgrado sarebbe una bomba atomica".
Insomma, ciò che si vuol dire in conclusione, non è certo che due delle figure guida dei massacri accaduti in Croazia e Bosnia non debbano essere processati, anzi esattamente il contrario. Tuttavia ci sorge un dubbio, l’ennesimo, sull’operato piuttosto politico che giuridico, del TPI de L’Aja, sul suo timing a volte sorprendente e anche sull’atteggiamento del governo attuale della Serbia, che sembra volersi togliere di mezzo due testimoni eccellenti delle indagini sull’omicidio Djindjic, ma anche in grado di svelare pesanti retroscena della politica locale.
Per approfondire:
– Imputazione del TPI emessa contro Stanisic e Simatovic
– La Serbia dopo Djindjic