Atene o le contraddizioni della bellezza

La città alta di Atene, con la sua Acropoli classica, è sottoposta ogni giorno ad una sorta di assalto. Ma nella capitale greca vi sono molti altri splendori archeologici esclusi dai fasti e dai clamori del turismo ‘mordi e fuggi’. Un reportage

31/03/2014, Fabrizio Polacco -

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Ingresso e uscita dei turisti dall'Acropoli - foto F.Polacco

Si dice che tra le cause della crisi economica greca vi siano state anche le ingenti spese sostenute per le Olimpiadi di Atene del 2004. Eppure, le migliorie apportate dieci anni fa, ad esempio nel sistema di trasporti della capitale, permangono e sono invidiabili, almeno per chi ha presenti le inveterate carenze del trasporto pubblico di Roma, l’altra metropoli della classicità.

Il turismo di massa

Una discreta stazione della metro ‘olimpica’ ateniese scarica migliaia di turisti direttamente alle pendici dell’Acropoli. L’accesso alla rocca è fluido e veloce, non ci sono più le lunghe file che fino a qualche anno fa affollavano le biglietterie. Un problema tuttavia permane, difficilmente risolvibile: l’estrema, quasi eccessiva bellezza del sito attira masse di turisti, e questo fa sì che la ‘città alta’ di Atene sia sottoposta ad ogni ora del giorno ad una sorta di assalto. I turisti si inerpicano come formichine lungo la Via Sacra – sulla quale un tempo saliva la processione delle feste Panatenee raffigurata nel fregio del Partenone – e riempono ogni metro quadro della sommità sostando a gruppi di quaranta, cinquanta persone tra gli antichi edifici.

La spianata dell'Acropoli - foto F:Polacco

La spianata dell’Acropoli – foto F:Polacco

Purtroppo, l’antica Acropoli era stata progettata come centro religioso di una pòlis che, all’apice del suo splendore, comprendeva alcune decine di migliaia di cittadini, mentre oggi anche una sola nave da crociera, scaricati i passeggeri al Pireo, ne manda quassù abbastanza da colmarla in pochi minuti. Inoltre il loro comportamento prevalente non è certo di rispettosa ed estatica contemplazione. L’unica cosa che sembra interessare alla maggior parte dei visitatori di cinque continenti è immortalare la propria immagine sullo sfondo dei marmi, ad uso di amici e parenti su facebook: in un generale sfoggio di completi estivi, di pareo sgargianti, di messe in piega sovrastate da cappellini e parasole, di occhiali scuri griffati.

Sono le stesse scene, in fondo, che osserviamo davanti ai principali complessi monumentali di tutto il globo, e si potrebbe considerarle effetto di due forme di progresso di per sé positive: l’aumento del benessere economico complessivo (anche in tempi di crisi come l’attuale) e la diffusione dell’istruzione di massa. Eppure, a ben vedere, è proprio quest’ultima che lascia a desiderare. Se vi fosse infatti un vero interesse per l’antichità, allora anche altri magnifici beni archeologici ateniesi sarebbero più frequentati.

Nell’altro museo, la leggiadra Atena e il solenne Apollo

Il Museo con il teatro antico del Pireo, ad esempio, si trova vicino ai moli cui attraccano le possenti navi da crociera o quelle che salpano per le isole egee, e quindi sarebbe una meta ideale per chi si trovasse ad attendere al porto un paio d’ore. In un bell’edificio arioso potrebbe andare ad ammirare, tra tanti altri reperti interessanti, due magnifici bronzi originali, altrettanto ben conservati di quelli di Riace ma, chissà perché, molto meno noti: una fiera e leggiadra Atena, protettrice ed eponima della città, e il solenne Apollo ritrovato al Pireo, considerato ‘il più greco degli dei greci’.

Rimasti esclusi dai fasti e dai clamori del turismo ‘mordi e fuggi’, i due capolavori, quando li incontri nel silenzio delle rispettive sale, sembrano star lì ad attenderti da sempre, con le loro pupille integre, così espressive che pare vogliano scrutarti il fondo dell’animo. E’ davvero una strana sensazione, acuita dalla circostanza che, di regola, sei tu l’unica altra presenza in quell’accogliente dimora. Infatti gli interessati alla visita del museo sono talmente pochi che il loro arrivo all’ingresso sembra suscitare il gioioso stupore degli annoiati bigliettai. Subito dopo, però, durante la visita ai piani, il rapporto numerico tra sorveglianti e visitatori è a tal punto sbilanciato in favore dei primi che hai quasi l’impressione di essere pedinato, con un evidente imbarazzo reciproco. Del resto, provatevi un po’ ad ammirare una statua mentre un’altra persona vi segue costantemente e vi osserva, fingendo discreta indifferenza, in attesa di vedere dove vi sposterete e che cosa farete..!

Le sale del museo archeologico del Pireo - foto F.Polacco

Le sale del museo archeologico del Pireo – foto F.Polacco

Ma perché ogni giorno migliaia di persone si dirigono verso l’Acropoli e solo poche decine vanno a visitare le fascinose divinità del Pireo? Alla base di tutto c’è un difetto di cultura: quella stessa cultura di massa che evidentemente, complici sistemi di istruzione europei sempre meno calibrati sulle esigenze di una formazione umanistica, storica e artistica, è ormai incapace di spiegare agli europei medesimi chi siano e da quale passato provengano. Né, d’altra parte, sa illustrare ai tanti immigrati o visitatori extra-europei dove si trovino le sorgenti di quella libertà, di quel benessere, di quella eccellenza estetica ed apertura intellettuale che pure li hanno spinti a venire fin qui.

E’ un problema cui sarebbe bene iniziare a porre rimedio, mettendo a profitto questo 2014 che vede Grecia e Italia alternarsi alla Presidenza UE.

Il nuovo Museo dell’Acropoli e il sovraccarico di bellezza

Fino a qualche anno fa, tra l’altro, le folle che si riversano sull’Acropoli visitavano, per un senso di completezza, anche il vecchio Museo archeologico della rocca, ora svuotato dei suoi reperti, trasferiti nel nuovo e ben più vasto complesso della città bassa, vanto dell’architettura contemporanea. Chi lo ha visitato sa che non solo offre le più moderne attrezzature espositive, ma che gode di una spettacolare vista sull’Acropoli, grazie alle ampie pareti vetrate. Può quindi legittimamente continuare a portare lo stesso nome del vecchio edificio: è il nuovo ‘Museo dell’Acropoli’.

L'ingresso del nuovo Museo dell'Acropoli, ad Atene - foto F.Polacco

L’ingresso del nuovo Museo dell’Acropoli, ad Atene – foto F.Polacco

Il suo ultimo piano contiene una restituzione a grandezza naturale degli interi fregi scultorei del Partenone: sia le parti originali dei marmi rimaste in Grecia dopo la discussa spoliazione effettuata da Lord Elgin agli inizi dell’Ottocento, sia quelle, ben più cospicue, rimaste da allora al British Museum, e qui presentate in fedele riproduzione. Insomma, l’allestimento dell’attico costituisce già di per sé un appello alle autorità britanniche affinché restituiscano quei capolavori.

Tuttavia anche qui, paradossalmente, è sempre l’eccesso di bellezza a creare problemi. Di altro tipo, però: stavolta, oltre a quella dei visitatori, pure la quantità delle opere risulta sovrabbondante. Pur essendo assai più ampio del vecchio, il museo nuovo è strutturato in un continuo, enorme ambiente per piano, che risulta straricco di statue e di fregi. Certo, presi uno ad uno i capolavori sono tutti correttamente allestiti e sapientemente esposti; ma l’impressione generale è ugualmente di un sovraccarico di bellezza: roba da ‘sindrome di Stendhal’! Così come le opere, anche le centinaia di visitatori presenti in contemporanea sullo stesso piano non vengono distribuiti tra più sale, ma insistono tutti su un unico, vasto ambiente. Ciò crea qualche fastidio e un’inevitabile confusione.

Tale disposizione risponde forse ad una qualche concezione museale moderna, e tuttavia il confronto col vecchio, austero museo sulla cima della rocca è, per chi ha avuto ancora il privilegio di visitarlo, perdente. Lì, le statue arcaiche e classiche dalle misure proporzionate a quella umana non si confondevano all’occhio tra centinaia di altre, ma si offrivano accorpate in piccoli gruppi coerenti fra loro per stile e cronologia in ambienti dimensionati come i vani di un palazzo signorile. Così, alla prima sala dedicata ad un potente e muscolare alto ‘arcaismo’, seguivano quelle dedicate alle raffinate chòrai (le fanciulle) dall’ambiguo sorriso ionico, e poi all’affiatata squadra degli efebi (i giovanotti). Erano il fiore della gioventù attica del tardo VI secolo a.C., quella che ben presto sarebbe stata travolta dalla seconda guerra persiana. Ricordo l’efebo scolpito da Kritios all’inizio dell’età severa, alto appena più di un metro: pareva come splendere in un angolo tutto suo, mentre ora pare disperso e quasi insignificante nell’immenso salone del nuovo edificio, pur essendo collocato su di un alto piedistallo.

Che Atene sia stata ‘travolta dalla guerra persiana’, non è un modo dire. Nel corso dell’invasione guidata da Serse nel 480 a.C. contro la Grecia per punirla di aver aiutato la ribellione delle pòleis elleniche d’Asia minore, la città fu saccheggiata e devastata due volte di seguito: tutti i templi eretti sino ad allora sull’Acropoli vennero rasi al suolo, e quegli idoli votivi in marmo caddero abbattuti e spezzati.

Ma, una volta che i Greci riuscirono ad avere la meglio sugli invasori e a ricacciarli, garantendo a sé stessi due secoli di libertà e all’Europa le grandi conquiste dell’età classica (ivi compreso il primo modello vincente di democrazia), allora gli Ateniesi ricostruirono splendidamente l’Acropoli, avendo cura di seppellire sul posto le statue danneggiate; mutile, sì, ma comunque sempre consacrate agli dei di lassù.

Ed ancora sepolte nella cosiddetta ‘colmata persiana’ dell’Acropoli furono rinvenute, miracolosamente sottratte alle spoliazioni degli uomini e alle intemperie del cielo, dagli archeologi dell’Ottocento; quegli stessi che, con garbo e sensibilità, vollero erigere il piccolo, sobrio edificio che le ospitava sulla rocca, il vecchio museo. Adesso, quelle bellezze mutilate delle guerre persiane sono state spostate alcune centinaia di metri più a valle; ma, nonostante l’ambientazione accurata e prestigiosa, paiono come spaesate, aggiunte ai tanti altri capolavori rinvenuti successivamente o altrove nella città. Nel frattempo, lassù, il vecchio edificio rimane chiuso, in attesa di futura destinazione: il suo unico ruolo è, per il momento, quello poco glorioso di ospitare i servizi sanitari per i turisti.

Quelle statue abbattute dall’arrogante volontà di dominio persiana restano, così, lontane dal sole e dal vento perenne della rocca per la quale furono concepite. Eppure, i capolavori della colmata persiana non furono rinvenuti lì per caso, come il carico prezioso di un naufragio in un qualsiasi tratto di mare, e forse meriterebbero di essere trattati con gli stessi riguardi dovuti ai caduti di una guerra; martiri, loro malgrado, della libertà e della bellezza che rappresentavano. E’ stata una buona scelta averle rimosse dal luogo del loro sacrificio? E sarebbe davvero impensabile riportare loro, solo loro, tra i tanti capolavori del Nuovo Museo, nella collocazione originaria, valorizzandone il significato e allo stesso tempo riducendo l’affollamento dei suoi ambienti?

Come del resto accadeva fino a pochi anni fa, la presenza sulla rocca delle sale di un edificio espositivo signorile ed ombroso, più silente e raccolto rispetto al perenne formicolio della spianata assolata, costituirebbe per i turisti più casuali e meno preparati un invito alla riflessione, un’occasione di approfondimento.

E in fondo, non è per un motivo non tanto diverso – riportare i capolavori dell’antichità nel luogo che più è loro congeniale – che i greci vorrebbero veder tornare dalla brume londinesi i marmi fidiaci di Lord Elgin?

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