Assedio di Sarajevo: le infinite polemiche sul numero dei bambini uccisi

Quanti bambini sono stati uccisi durante l’assedio di Sarajevo? È una questione che è stata nuovamente sollevata dall’analista Srđan Puhalo. Per i genitori dei bambini assassinati la polemica alimenta il trauma, mentre gli esperti ritengono che questo numero non debba essere manipolato

03/06/2022, Selma Boračić-Mršo -

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Sarajevo aprile 1993 © Northfoto/Shutterstock

(Originariamente pubblicato dalla Deutsche Welle , il 27 maggio 2022)

Era il 20 marzo 1993, una giornata di sole, insolitamente calda per quel periodo dell’anno. L’undicenne Irma cercava per ore di convincere sua madre a lasciarla andare al parco per giocare con i suoi coetanei. Il gioco fu interrotto da una granata caduta in un cortile tra i palazzi dove i bambini giocavano.

“La mia Irma fu colpita da una scheggia che le recise un’arteria. Venne subito trasportata all’ospedale, ma il colpo si rivelò mortale”, spiega alla Deutsche Welle il padre di Irma, Fikret Grabovica.

Fikret, attualmente presidente dell’Associazione dei bambini assassinati nella Sarajevo assediata, aggiunge che durante l’assedio di Sarajevo i bambini venivano sistematicamente uccisi. “Capitava che in alcuni luoghi della città cinque, sei o sette bambini venissero uccisi nello stesso momento. Per me è una cosa terribile, triste, tragica… Ho sempre ritenuto particolarmente terrificante il fatto che qualcuno, guardando attraverso il mirino di un fucile, potesse sparare ad un bambino di due o cinque anni…”, afferma Fikret Grabovica.

Stando ai dati diffusi dall’Istituto per la protezione sanitaria della Bosnia Erzegovina – che durante la guerra riceveva regolarmente i dati, raccolti dalle strutture sanitarie locali, sul numero dei cittadini di Sarajevo uccisi e feriti – durante l’assedio di Sarajevo sarebbero rimasti uccisi 1601 bambini. Stando invece ai dati di cui dispone l’associazione guidata da Fikret Grabovica, il numero di bambini uccisi a Sarajevo si attesterebbe a 524, un numero vicino a quello pubblicato dal Centro di ricerca e documentazione di Sarajevo secondo cui nelle dieci municipalità che all’epoca componevano la città di Sarajevo sarebbero stati uccisi 614 bambini e ragazzi di età compresa tra 0 e 18 anni, a cui andrebbero aggiunti 77 minorenni morti nell’esercito.

Una provocazione o il desiderio di conoscere la verità?

I dati discordanti sul numero dei bambini uccisi durante l’assedio di Sarajevo hanno spinto Srđan Puhalo, psicologo sociale e analista di Banja Luka, a scrivere un testo , originariamente pubblicato sul portale Analiziraj.ba, del titolo “O dimostrate che a Sarajevo furono uccisi 1601 bambini oppure smettetela di citare questo numero“.

“L’unico motivo per cui ho scritto questo testo è il desiderio di conoscere la verità e di stabilire il numero esatto dei bambini uccisi, perché sono ormai anni che vengono diffuse cifre discordanti. Stando ad alcune ricerche ben documentate, il numero dei bambini morti sarebbe molto inferiore [a 1601]. Le stime variano da ente ad ente, ad ogni modo però sono molto lontane da quella cifra“, afferma Srđan Puhalo.

Puhalo ha offerto un premio di 5000 euro a chiunque – a prescindere dal fatto che si tratti di singoli individui, organizzazioni non governative, istituzioni dello stato, organizzazioni internazionali, associazioni dei cittadini o mezzi di informazione – gli fornisca “dati pertinenti che dimostrino che nella Sarajevo assediata, controllata dall’Armija BiH, furono uccisi 1601 bambini“.

“O dimostrate che tale cifra corrisponde alla realtà oppure smettetela di manipolare i dati“, ha concluso Puhalo.

Il testo di Puhalo ha suscitato una valanga di reazioni, perlopiù negative e di disapprovazione, soprattutto sui social network. Molti si sono detti “sconcertati“ dall’atteggiamento di Puhalo, definendo il suo testo come un tentativo di “infilare il dito negli occhi“ di quelli che hanno vissuto gli orrori della guerra e perso i propri figli durante l’assedio di Sarajevo.

“L’offerta di un premio è un insulto per noi genitori, non fa altro che esacerbare le nostre ferite, ancora aperte“, spiega Fikret Grabovica.

Puhalo ammette di aver concepito il suo testo come una provocazione, con l’intenzione però di rivolgerla alle autorità che, come sottolinea Puhalo, ancora oggi, a ventisei anni dalla fine della guerra, non dispongono ancora di dati precisi sul numero delle vittime.

“Non volevo provocare i genitori dei bambini uccisi, né tanto meno volevo suscitare tutte queste reazioni, comprese le minacce di morte che mi vengono rivolte. Volevo indirizzare la pressione dell’opinione pubblica verso le autorità, affinché ci spiegassero cosa hanno fatto negli ultimi due decenni e come hanno speso le ingenti somme di denaro pubblico“, spiega Puhalo.

Anche Bojan Šošić, psicologo e membro del Comitato per la ricerca psichiatrica e neurologica del Dipartimento di scienze mediche presso l’Accademia delle scienze e delle arti della Bosnia Erzegovina, ritiene che i numeri delle vittime vengano manipolati ormai da anni.

“È del tutto evidente che esistono alcune strutture a cui non gioverebbe che venisse reso noto il numero esatto [delle vittime] ed è per questo che cercano di strumentalizzare, nel più perfido dei modi, anche quelli che sono indubbiamente vittime della guerra, innanzitutto, se non esclusivamente, per soddisfare i propri interessi. Finché tali strutture continueranno ad esercitare una certa influenza, difficilmente potremo aspettarci che la società si risvegli, maturi e guarisca”, afferma Bojan Šošić.

Secondo Šošić, Puhalo tende a rivolgersi all’opinione pubblica in modo retorico, tale da non presupporre necessariamente una risposta, e anche se dovesse suscitare qualche risposta, questa risulta sempre meno incisiva rispetto alla domanda iniziale. “Dall’altra parte, l’offerta di un premio può essere vista come un tentativo maldestro di far assumere all’intera vicenda i contorni di una sfida, sembra quasi una scommessa sul fatto che non esista alcuna prova a sostegno di quell’affermazione [secondo cui a Sarajevo sarebbero stati uccisi 1601 bambini]”, spiega Bojan Šošić.

“Chi fa ricerca non può lasciarsi guidare dalla emozioni“

In un’intervista rilasciata al portale Klix.ba, Husnija Kamberović, professore di storia presso la Facoltà di Filosofia di Sarajevo, ha dichiarato che il modo in cui in questo momento viene affrontata la questione dei bambini uccisi durante l’assedio di Sarajevo non può comportare alcun risvolto positivo.

“Capisco che è difficile controllare le emozioni, ma chi fa ricerca non può lasciarsi guidare dalle emozioni. Dobbiamo citare il nome e il cognome di ogni bambino assassinato. È il nostro dovere nei confronti delle vittime“, ha affermato Husnija Kamberović.

Kamberović ritiene che anche questa polemica, come tante altre verificatesi in passato, ben presto si placherà, aggiungendo però che ciò non dovrebbe dissuadere gli scienziati dal continuare le loro ricerche.

“Ritengo che i crimini commessi a Sarajevo siano troppo gravi, talmente gravi da non permetterci di accettare in silenzio le speculazioni sul numero delle vittime”, ha affermato Kamberović, sottolineando che le istituzioni scientifiche devono rendere noti i risultati delle loro ricerche, mentre l’opinione pubblica deve mostrarsi pronta ad accettare tali risultati e i politici devono smetterla di manipolare le vittime.

Bojan Šošić sostiene invece che “gran parte delle istituzioni che avrebbero dovuto reagire e fornire dati pertinenti sia ormai privatizzata o messa al servizio di alcune strutture i cui interessi non coincidono con gli interessi dei cittadini della Bosnia Erzegovina. Finché questa situazione non sarà ribaltata, non faremo alcun passo in avanti“.

Versioni discordanti sul numero esatto delle vittime

I primi dati riguardanti i bambini assassinati a Sarajevo furono pubblicati nel 1994 dall’Onu, secondo cui durante l’assedio di Sarajevo sarebbero stati uccisi 1500 bambini. Due anni più tardi, nel 1996, l’Istituto per la protezione sanitaria della BiH diffuse una cifra leggermente superiore, parlando di 1601 bambini morti. Sul monumento dedicato ai bambini uccisi nella Sarajevo assediata, situato nel centro storico della città, sono incisi i nomi di 524 bambini.

Fikret Grabovica spiega che l’Associazione dei genitori dei bambini assassinati a Sarajevo è riuscita a raccogliere la documentazione completa (certificato di nascita, estratto dell’atto di morte, certificato di morte, scheda riportante le modalità con cui è avvenuta la morte, fotografia) solo per 524 bambini.

“Abbiamo impiegato due anni per raccogliere questi dati. Tuttavia, molte famiglie hanno lasciato la Bosnia Erzegovina dopo la guerra e quindi non siamo riusciti a metterci in contatto con loro“, spiega Grabovica.

Fu proprio l’Associazione dei genitori dei bambini uccisi, in collaborazione con l’Istituto per la ricerca sui crimini contro l’umanità e il diritto internazionale presso l’Università di Sarajevo, ad avviare, nel 2006, un progetto denominato “Crimini contro i bambini di Sarajevo durante l’assedio del 1992-1995“. Nel 2010 furono pubblicati i risultati del progetto, raccolti in un volume intitolato “Crimini contro i bambini durante l’assedio di Sarajevo“ che contiene tutti i dati sui 524 bambini uccisi.

Anche dopo la chiusura del progetto l’Istituto per la ricerca sui crimini contro l’umanità ha continuato le indagini, scontrandosi però con numerose difficoltà perché, come spiegano i rappresentanti dell’Istituto, i genitori di alcuni bambini uccisi risultano irreperibili per vari motivi (emigrazione all’estero, divorzio, decesso), mentre altri genitori, probabilmente per motivi personali, non hanno mai voluto denunciare la morte di un figlio. “Ciononostante, oltre ai dati sui 524 bambini uccisi, l’Istituto è in possesso anche dei dati riguardanti altri 291 bambini assassinati [durante l’assedio]“, si legge in un comunicato stampa diffuso dall’Istituto.

Una polemica che si protrae da anni

Esattamente dieci anni fa, Jasminko Halilović, fondatore del Museo dell’infanzia di guerra, pubblicò un testo in cui affermava che non c’era alcuna prova a sostegno dell’ipotesi che nella Sarajevo assediata sarebbero stati uccisi 1601 bambini. Dopo la pubblicazione del summenzionato commento di Srđan Puhalo, Halilović ha scritto un post sul suo account Facebook affermando: “Mentre svolgevo le mie ricerche per il libro ’L’infanzia di guerra’ mi resi conto che la cifra di 1601 bambini uccisi non era stata corroborata da alcuna prova. Gli storici e gli esperti di turno si scagliarono contro di me, affermando che non dovevo occuparmi di questa questione. Purtroppo, ai politici che hanno governato Sarajevo dopo la guerra non importava accertare i fatti e stabilire la verità. Ciò che importava, sia ai media sia ai politici, era sbandierare quella cifra, farsi fotografare coi fiori in occasione dei vari anniversari, conquistare consenso manipolando le persone e facendo leva sui loro sentimenti più dolorosi“.

Dopo Jasminko Halilović, anche la regista Jasmila Žbanić si è schierata al fianco di Srđan Puhalo, scrivendo sul suo profilo Facebook: “A differenza di Srđan Puhalo, io non offrirò denaro, perché ritengo che (versando le tasse) paghiamo già abbastanza le istituzioni affinché si adoperino per accertare i fatti. È stato realizzato un libro dei morti che spiega che il numero dei bambini uccisi a Sarajevo è due volte inferiore a quello diffuso dai media e citato dai politici nei loro discorsi. Per me anche un solo bambino ucciso a Sarajevo, o in qualsiasi altro luogo, è troppo! Non capisco perché non possiamo prendere visione degli elenchi [delle vittime]. Srđan, hai sollevato un’ottima questione! Dovevamo essere noi, sarajevesi, a sollevarla per primi. Grazie“.

Jasmila Žbanić ha poi invitato le autorità competenti a rendere noto il numero effettivo dei cittadini sarajevesi uccisi durante l’assedio.

“Le menzogne sul numero dei bambini uccisi umiliano sia le vittime che i sopravvissuti. Da cittadina di Sarajevo, chiedo al governo cantonale e al premier Edin Forto, nonché alla sindaca di Sarajevo, Benjamina Karić, di rendere noto il numero esatto dei cittadini sarajevesi uccisi, così da poter porre fine a manipolazioni che umiliano le vittime e tendono a equiparare le persone ben intenzionate a chi mente sia sul carattere dell’aggressione sia sul numero delle vittime di quella guerra“, ha scritto Žbanić.

La polemica sul numero dei bambini uccisi durante l’assedio di Sarajevo si protrae ormai da anni. Negli ultimi giorni, Mirsad Tokača, direttore del Centro di ricerca e documentazione di Sarajevo, ha citato, per l’ennesima volta, i dati raccolti dall’istituzione da lui guidata. Reagendo al testo di Srđan Puhalo, Tokača ha dichiarato che a molti piace parlare di numeri, ma solo pochi citano le fonti.

“Nelle dieci municipalità di Sarajevo rimasero uccisi 614 bambini e ragazzi di età compresa tra 0 e 18 anni, mentre 77 minorenni persero la vita nell’esercito. Il monumento reca incisi 524 nomi. Come si è arrivati a numeri così discordanti lo sa chi si è inventato quella cifra. Tutti i nomi sono raccolti nella banca dati del Centro di ricerca e documentazione“, ha affermato Tokača.

Minacce e campagne denigratorie

Dopo aver appoggiato l’iniziativa di Srđan Puhalo, Jasmila Žbanić e Jasminko Halilović, così come l’analista politica Ivana Marić, sono diventati bersaglio di minacce di morte lanciate sui social. Tutti e tre hanno denunciato le minacce ricevute alla polizia.

Le intimidazioni sono iniziate dopo che Haris Zahiragić, deputato dell’assemblea del cantone di Sarajevo, ha pubblicato un post accompagnato da alcune fotografie di Puhalo, Žbanić, Halilović e Marić, suscitando una vera e propria valanga di insulti e minacce.

Jasmila Žbanić ha subito segnalato alla polizia di aver ricevuto minacce di morte.

“Vorrei denunciare minacce di morte rivoltemi sul profilo Facebook del deputato cantonale Haris Zahiragić. Il signor Zahiragić ha incluso il mio nome e una mia fotografia in un testo non veritiero e con le sue menzogne ha fomentato una folla di persone che ora invita al linciaggio. Hasan Latić chiede che tutti e quattro [Žbanić, Puhalo, Marić e Halilović] commettiamo un suicidio e che lo facciamo senza indugio, mentre Mirnes Tokić ricorda che i proiettili costano poco. Quel post [di Zahiragić] è piaciuto a migliaia di persone. Il deputato Zahiragić è capace di incitare queste persone. Ritengo che la mia incolumità sia messa in pericolo! Vi chiedo di proteggermi“, ha scritto Jasmila Žbanić nella denuncia sporta alla polizia, condividendola poi su Facebook.

Anche Ivana Marić ha denunciato le minacce ricevute.

Le condanne per crimini commessi nella Sarajevo assediata

Durante l’assedio, durato 1425 giorni, i cittadini di Sarajevo furono sottoposti ad una vera e propria campagna di terrore. Il Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia all’Aja ha stabilito che gli attacchi ai civili da parte dell’Esercito della Republika Srpska si verificavano in ogni parte della città, sia di giorno che di notte. Tuttavia, nessuno è mai stato condannato per crimini commessi contro i bambini durante l’assedio di Sarajevo.

Stanislav Galić e Dragomir Milošević, ex comandanti del corpo d’armata “Sarajevo-Romanija“, che per 44 mesi tennero sotto assedio la città di Sarajevo, sono stati condannati in secondo grado dal Tribunale dell’Aja rispettivamente all’ergastolo e a 29 anni di reclusione. Anche Radovan Karadžić, ex presidente della Republika Srpska, è stato condannato in appello all’ergastolo per terrore contro i civili di Sarajevo.

Nel 2017 il Tribunale dell’Aja ha emesso la sentenza di primo grado a carico di Ratko Mladić, condannandolo all’ergastolo per una serie di crimini, compreso l’assedio di Sarajevo e il terrore contro la popolazione civile della città. Nel 2021 il Tribunale ha emesso il verdetto finale nei confronti di Mladić, confermando la condanna all’ergastolo.

Ad oggi, solo dodici persone sono state processate davanti ai tribunali della Bosnia Erzegovina per crimini commessi durante l’assedio di Sarajevo.

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