Armenia, il paese dell’omofobia

In Armenia prevale ancora una società socialmente conservatrice in cui l’omofobia rimane radicata e la vita delle persone LGBT non è facile.

12/07/2018, Marilisa Lorusso -

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C’è solo un paese nel Caucaso meridionale che non ha mai ospitato il gay-pride, e che lo ospiterà, secondo l’opinione espressa da un esponente del ministero degli Esteri  qualche anno fa – forse fra un centinaio d’anni: l’Armenia.

LGBT in Armenia

Lesbiche, gay, bisessuali e transessuali in Armenia si trovano sotto un fuoco incrociato. Da un lato il pesante lascito di omofobia sovietica, dall’altro il diktat della chiesa apostolica armena. L’Armenia, tanto quella laica quanto quella religiosa, non ammette comportamenti sessuali “non tradizionali”, come vengono definite le varie forme di identità di genere che si incontrano nella società. Durante il periodo sovietico l’omosessualità costituiva un reato penale. Il crimine di omosessualità è stato abolito in Armenia nel 2003, per cui a norma di legge non si può essere incarcerati per il proprio orientamento sessuale ed affettivo. Questo però non ha sdoganato l’omosessualità che secondo l’influente Chiesa apostolica armena è un peccato. Sono ufficialmente cristiani apostolici il 90% degli armeni, e pertanto il parere della chiesta ha ampia eco nella società.

L’opinione pubblica

L’opinione pubblica armena è largamente ostile al discorso di genere, al riconoscimento dell’omosessualità come realtà presente nella comunità armena, e al riconoscimento dei diritti per gli omosessuali e per tutti coloro che esprimono orientamenti non prettamente eterosessuali. Lo studio più completo su cosa pensino gli armeni in merito è del 2011, un accurato sondaggio realizzato dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani, che lascia poco spazio ai dubbi. Secondo la maggioranza degli intervistati l’omosessualità è una malattia, e secondo il quasi 10% potrebbe addirittura essere indotta dall’uso di internet. Il 72% dichiara che rifiuterebbe di interagire con un omosessuale, una volta scoperto il suo orientamento o anche solo utilizzare una stoviglia usata da un gay (86%). 

Si accetta più facilmente che una persona sia omosessuale se è straniera. Insomma, si può essere gay, ma solo se non si è armeni. Nonostante una, in teoria, maggiore tolleranza verso gli stranieri, nel 2004 Joshua Hagland, statunitense docente universitario presso un’università di Yerevan, omosessuale, è stato trovato ucciso . Il reato è stato ascritto alla sua identità di genere e mai risolto. Durante l’indagine gli uomini che aveva frequentato hanno subito varie forme di pressione e umiliazione da parte degli inquirenti.

Fonte: Human Rights Violations of Lesbian, Gay, Bisexual, and Trnsgender (LGBT) People in Armenia: a Shadow Report, submitted to the UN Human Rights Committee, July 2012, Geneva, scaricabile gratuitamente http://www2.ohchr.org/english/bodies/hrc/docs/ngos/LGBT_Armenia_HRC105.pdf

Le istituzioni

Anche nel rapporto con le istituzioni i membri della comunità LGBT si trovano in una condizione di grande vulnerabilità e in una sostanziale situazione di assenza di diritti. Non vi sono specifiche leggi a tutela delle persone LGBT, incluso nel settore della diffamazione e dell’hate speech. La questione del genere viene dibattuta con ferocia verbale e il cattivo esempio è in passato partito proprio dalle istituzioni. Quando Armen Avetisyan, presidente dell’Unione per l’Arianesmo armeno dichiarò che alcuni alti funzionari dello Stato erano gay , l’Assemblea nazionale dibatté una loro rimozione. La lista prodotta con i nomi dei sospetti-non-eterosessuali non fu resa nota, ma si sapeva che conteneva sette nomi, che era stata consegnata al Presidente e al Primo Ministro con la richiesta di “ripulire il paese da queste persone malate”. Nessuna misura contro-diffamatoria fu promossa a tutela dei possibili coinvolti.

Molto complicato è il rapporto di LGBT con le forze di polizia e l’esercito, in assenza di specifica formazione e training di quest’ultimi per garantire che i primi possano essere fruitori di quell’uguaglianza rispetto agli altri cittadini che la costituzione – almeno implicitamente – prevede. Il periodo di leva può essere un’esperienza molto provante per un omosessuale in Armenia, così come essere fermati da una pattuglia può rivelarsi un’esperienza estremamente negativa per un trans.

La transessualità negata

Essere transessuale in Armenia può essere ancora più difficile che altrove. Nessuno assume un transessuale, per cui di fatto l’unica occupazione a cui si è condannati è la prostituzione, ma questo succede anche altrove, dove non si incontrano postini, commercialisti, autisti, giornalisti o qualsiasi altro professionista transessuale. Ma in Armenia sono chiusi anche altri percorsi di affermazione personale, oltre al quello lavorativo.

Cambiare il proprio nome in Armenia è possibile, ma non per questioni di genere. La legge è chiara: si può cambiare nome per una disarmonia fra nome, cognome e patronimico, per difficoltà di pronuncia, per armonizzarlo a quello del coniuge, di altri membri della famiglia (i figli, il tutore legale), per tornare al cognome da nubili o per motivi di identità nazionale o tribale.

Non è possibile cambiare il sesso indicato sul documento. Gli atti civili registrabili sono la nascita, il matrimonio, il divorzio, il riconoscimento legale di un figlio, l’adozione, la morte e il cambio di nome, per i casi previsti.
Infine – secondo quanto affermato dal Dipartimento di Stato Usa in un proprio report sull’Armenia del 2016   che si sofferma sulle varie forme di discriminazione cui vanno incontro i transgender – permangono problemi relativi alla somministrazione di farmaci, di ormoni e il rischio di ricorrere a chirurgia clandestina. Insomma, non è tutelato il diritto alla salute.

Il ruolo delle ONG

Esiste una minoranza nella società che è gay-friendly e si esprime anche attraverso l’associazionismo. Sono in verità solo un paio le ong che dichiaratamente si concentrano sui diritti di LGBT, e non hanno vita facile. In alcuni casi nell’atto della registrazione, che avviene presso il ministero di Giustizia, alle ong è stato richiesto di rimuovere la questione gender dalle proprie priorità. In altri casi persone o locali dichiaratamente simpatizzanti LGBT sono stati oggetto di aggressione. Il club DIY, punto di ritrovo anche per la comunità LGBT è stato bruciato nel 2012 , quando vi sono state lanciate dentro delle bombe molotov. La polizia si è presentata sul luogo solo dopo 12 ore, e l’aggressione è avvenuta l’8 maggio, nel giorno in cui si commemora la fine della Seconda guerra mondiale.

Nel 2008 Mikael Danielyan, dell’Helsinki Group è stato ferito con una pistola ad aria compressa. Lo si accusava di essere un agente della CIA che vuole destabilizzare l’Armenia instillandovi l’omosessualità. E questo è uno dei nuovi filoni dell’omofobia in Armenia ma anche altrove: il discorso gender sarebbe un’aggressione colonizzante occidentale che attenta alle tradizioni patriarcali. Perché, come scriveva Anna Nikoghosyan, oggi in Armenia gender is geopolitical . Difendere i diritti gay significherebbe quindi ascrivere la propria posizione geopolitica a un ipotetico blocco culturale euroatlantico in opposizione al mondo eurasiatico ove le società troverebbero la propria solidità sociale non nell’inclusività ma nella perpetuazione del modo di vivere affermatosi nel passato. Insomma, non una questione di sofferenza individuale e diritti negati a intere fette di cittadini, ma di scelta di blocco, con grosse approssimazioni, peraltro. Così si fa geopolitica sulla pelle delle persone.

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