Armenia, colpo di scena presidenziale
Lo scorso 23 gennaio erano arrivate inattese le dimissioni del presidente della Repubblica Armen Sarkissian. Questi lamentava che la riforma del 2015 ha portato ad una presidenza troppo debole. I media hanno però svelato un’altra verità
Domenica 23 gennaio come un fulmine a ciel sereno le agenzie di stampa armene hanno battuto la notizia che il Presidente della repubblica, Armen Sarkissian, aveva annunciato le dimissioni.
Il presidente ha affidato a un comunicato stampa pubblicato sul sito presidenziale le motivazioni che lo hanno spinto a lasciare l’incarico a 4 anni da quando lo aveva assunto nel marzo del 2018, e tre anni prima della naturale scadenza del mandato.
Armen Sarkissian era stato eletto poche settimane prima dell’inizio della Rivoluzione di Velluto ed era espressione del governo di Serzh Sargsyan, del Partito repubblicano, che da lì a poco sarebbero stati travolti dalla marcia coronata da successo di Nikol Pashinyan e del suo Contratto Sociale.
Armen Sarkissian non era solo stato eletto da una maggioranza che non esiste più da quattro anni, è anche il primo presidente il cui incarico rispecchia pienamente il disegno politico di Serzh Sargsyan. Quest’ultimo, giunto al secondo mandato presidenziale, aveva portato avanti insieme al Partito repubblicano un progetto di riforma costituzionale, approvato nel 2015 con un controverso referendum, che aveva trasformato l’Armenia in una democrazia parlamentare, svuotando largamente di poteri politici l’ufficio della presidenza.
In tutte le democrazie parlamentari il ruolo del Capo dello stato è un ruolo più istituzionale che politico, ma in genere come figura super partes e garante della Costituzione mantiene alcuni poteri – come il veto di legge, il comando delle forze armate – che gli permettono di intervenire in caso di particolari criticità.
Serzh Sargsyan aveva con ogni probabilità pianificato di traslare il proprio potere esecutivo dall’ufficio della presidenza a quello del primo ministro in toto, senza concessioni a una figura istituzionale che potesse arginare il suo operato di governo. Per questo la riforma costituzionale del 2015 ha designato una figura istituzionale estremamente debole, che non è nemmeno il comandante in capo delle forze armate, la cui catena di comando conduce al primo ministro.
Il progetto politico di Sargsyan è fallito, travolto dalla rivoluzione di Pashinyan, ma la Costituzione e il presidente Sarkissian sono rimasti.
Le motivazioni
Armen Sarkissian ha comunicato che proprio queste sarebbero le motivazioni delle sue decisioni: l’inefficacia degli strumenti in mano alla presidenza che ne fanno una figura incapace di intervenire nelle criticità del paese. Le criticità peraltro sono state numerose in questi anni, a cominciare dall’immediata Rivoluzione di Velluto e repentino cambio del quadro politico, parlamentare e di governo, la pandemia, la guerra nel 2020, la lunga transizione post-bellica e i nuovi scenari di relazioni con l’Azerbaijan e con la Turchia.
In questi 4 anni Sarkissian sostiene nel suo comunicato di non essere stato in grado di tutelare l’Armenia per le questioni di pace o di guerra, di non poter porre il veto, di non essere una figura accolta come garante dalle altre istituzioni, di essere incapace di incidere sulle scelte di politica estera, e di essere vittima di attacchi a livello personale e famigliare. Nel comunicato stampa ha sostenuto di aver accettato di mantenere l’incarico a queste infauste condizioni dopo il 2018 per senso di responsabilità.
Lo j’accuse presidenziale è quindi sia di natura istituzionale, con la critica aperta dei meccanismi di esercizio dell’incarico quindi dei dettami costituzionali, che politica. In questa ultima parte, va ricordato che dopo il cessate-il-fuoco con l’Azerbaijan nel novembre 2020 Sarkissian, aveva chiesto le dimissioni del governo e che la presidenza e Pashinyan si erano duramente scontrate quando il secondo era entrato in conflitto con l’esercito.
Il colpo di scena
Se le dimissioni sono state un fulmine a ciel sereno, quel fulmine è stato subito seguito da un clamoroso colpo di scena. Il giorno seguente alle dimissioni il sito di giornalismo investigativo Hetq ha postato un articolo intitolato: “La piramide di menzogne è crollata: il presidente Armen Sarkissian ha dovuto dimettersi”. L’articolo riporta gli esiti di una indagine e lo scambio con il presidente in merito.
Per legge per candidarsi alla presidenza in Armenia bisogna essere solo cittadini armeni. Se si hanno avute altre cittadinanze, bisogna avervi rinunciato da almeno 5 anni. Armen Sarkissian è stato cittadino britannico dal 2002 al 2011, ma essendo stato eletto nel 2018 questo non aveva inficiato la sua candidatura.
Ma non è la vetusta cittadinanza inglese il problema: Sarkissian sarebbe anche cittadino di Saint Kitts e Nevis, uno stato insulare delle Antille inglesi, noto paradiso fiscale. Sarkissian avrebbe acquisito la cittadinanza nel quadro di un programma “investimenti per cittadinanza”. Stando alla corrispondenza con Hetq, Sarkissian interrogato in merito ha dichiarato di aver fatto richiesta di rinuncia alla cittadinanza, ma – in base alla sua ricostruzione dei fatti – l’avvocato che doveva seguire la pratica è morto, e lui non sapeva che la pratica non fosse stata portata a termine.
Cittadino di un altro stato a propria insaputa… Una difesa debole che espone adesso il presidente uscente e l’intero paese a un quadro legale non chiaro. Sarkissian, che non si troverebbe in Armenia al momento, potrebbe essere accusato di frode, e le leggi da lui approvate – se si accertasse che non aveva i requisiti per ricoprire l’incarico presidenziale – potrebbero essere atti nulli.
All’ombra di questo scandalo la maggioranza di Pashinyan deve trovare una candidatura per le elezioni presidenziali anticipate. La nuova presidenza deve essere eletta 25 giorni dopo le effettive dimissioni del presidente uscente (a partire da una settimana da quando sono state annunciate, quindi il 30 gennaio) e non oltre i 35 giorni successivi, da una maggioranza parlamentare qualificata del 75% al primo scrutinio, con percentuali a decrescere del 60% e del 50% per eventuali votazioni successive.
Come ha notato il commentatore politico Eric Hacopian, non ha reso certo un bel servizio all’immagine del paese Armen Sarkissian, il presidente dimissionario perché scoperto dalla stampa a non avere i giusti criteri di cittadinanza.
Ma, come sottolinea Hacopian , è un comportamento che descrive più chi lo compie rispetto al paese che era stato chiamato a rappresentare, e gli armeni dovrebbero essere fieri di un paese in cui è la stampa che caccia un presidente e non vice versa, come accade per i popoli non liberi.