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Armenia: c’è posto per le donne?
Nonostante la loro massiccia partecipazione alla Rivoluzione di velluto, in Armenia le donne continuano ad occupare le posizioni più svantaggiate nella sfera politica, nel mercato del lavoro, nell’educazione e nella sfera domestica
Nota Vahan Boursanian nel suo articolo Different but not New che “Ci sono più donne che uomini in questo paese, e la maggior parte delle organizzazioni della società civile guidate da donne sono state essenziali per questo movimento, eppure solo due donne sono state nominate ministri. Ci sono molte donne leader qualificate e un ‘governo popolare’ deve riflettere la composizione di chi lo ha votato”.
È vero: le immagini della Rivoluzione di velluto non mentono, la rete ha memoria e la fotografia anche. Nel movimento che ha elevato Nikol Pashinyan da membro di un piccolo partito di opposizione all’incarico di Primo Ministro la rappresentanza femminile è stata importante, ma nel governo dello stesso non v’è riverbero di questo. Due ministeri al femminile su venti, e – neanche a dirlo – non si parla di Interni e Difesa, ma di Affari Sociali e Cultura. Insomma, il nuovo conferma il vecchio: una rappresentanza del 10%, la stessa uscita dalle urne del corrente parlamento, per ministeri che rispecchiano la stereotipizzazione femminile e che tengono lontane le donne dalle leve di potere del paese.
Senza nulla togliere al lavoro egregio che Lilit Makunts, ministro della Cultura con esperienza accademica e nel settore della cooperazione, e Mane Tandilyan, ministro del Lavoro e degli Affari Sociali, economista con un ricco curriculum in varie aziende armene, potranno svolgere, il bilancio rimane meschino. La Rivoluzione l’hanno fatta anche le donne, ma non è loro.
Dove sono le donne Armene?
Le donne in Armenia ci sono eccome. Secondo il censimento del 2011, su 3.018.854 di abitanti, 1.570.802 sono donne, 1.448.052 sono uomini. I dati effettivi, soprattutto durante la stagione dei lavori stagionali, potrebbero essere anche meno lusinghieri per la presenza maschile. E sono istruite. I dati parlano chiaro: i cittadini armeni con istruzione almeno superiore sono il 98.5% donne e il 98.1% uomini. Un quadro che farebbe immaginare una situazione paritaria, ma che cambia completamente se si volge lo sguardo verso altri dati. E che rende chiaro come mai il paese attraversi una così profonda crisi demografica: natalità e condizione della donna sono inscindibili.
Innanzitutto il lavoro: di questo enorme bacino di donne istruite solo la metà entra nel mondo del lavoro. La partecipazione alla forza lavorativa infatti è il 54.9% femminile e il 73.6% maschile. Un dato che di per sé non rende però giustizia al livello di diseguaglianza, come lo rende invece la comparazione salariale.
Uno schema dice tutto sulla pauperizzazione femminile nel mondo del lavoro, tenendo ben in mente la parità del livello di istruzione:
Il gruppo di lavoratrici supera quello dei lavoratori sono nei salari minimi, per scomparire quasi completamente nelle fasce di chi guadagna dai 700 euro in su. Il 60% delle donne non ha reddito, per cui non lavora o svolge attività non retribuita. Un quadro allarmante della questione femminile nel paese, che trova riscontro nelle valutazioni di organi internazionali preposti.
Secondo lo studio di SIGI, il Social Institution and Gender Index, che analizza la discriminazione di genere in norme sociali, pratiche e leggi in 160 paesi, l’Armenia condivide il gruppo di Afghanistan Albania, Azerbaijan, Burkina Faso, Camerun, Repubblica Centroafricana, Etiopia, Ghana, Guinea, India, Iran, Pakistan, per nominarne alcuni, per quanto riguarda la discriminazione sociale verso le donne. Secondo SIGI questi paesi sono accomunati da livelli medio-alti di svalutazione delle figlie e preferenza per i figli, come dimostrato dal numero di aborti selettivi. L’Armenia è al secondo posto al mondo per aborti selettivi. E sempre secondo SIGI, per questo gruppo di paesi l’accesso delle donne allo spazio pubblico e alle risorse è limitato, e in media il 32% delle donne sono state vittime di violenza domestica durante la loro vita e oltre il 49% delle donne concorda che in alcuni casi la violenza domestica è giustificata. Per l’Armenia, in verità, i dati sono peggiori.
La violenza domestica, un banco di prova
Della violenza contro le donne in Armenia, sia quella insita nella società, sia quella che viene coscientemente istituzionalizzata e utilizzata a fini politici si è occupato Osservatorio Balcani e Caucaso. Un tassello da aggiungere alle riflessioni passate è l’adozione di una legge contro la violenza domestica. O meglio, familiare. Già, perché uno dei lasciti pesanti – da rivedere e aggiornare, se veramente si vuol far trasformare il paese in un luogo progredito e rappresentativo di tutta la propria cittadinanza – è la legge del regime Sargsyan del dicembre 2017.
Le premesse sono le seguenti: il 60% delle donne armene dichiara di essere stata vittima di violenza domestica; quindici anni fa un primo progetto di legge è stato affossato; l’Unione Europea aveva ipotecato un prestito al paese all’approvazione di una legge sulla violenza domestica.
Il risultato è una legge così titolata: Prevenzione della violenza nella famiglia, protezione delle vittime di violenza nella famiglia e restaurazione della pace familiare. Non domestica, perché la legge si preoccupa di definire la famiglia, e quindi chi è tutelato dalla legge, e ricorda che lo scopo della legge è rinsaldare i rapporti familiari e i valori della famiglia tradizionale. Una legge che specifica più riccamente come un perpetratore di violenza possa essere riconciliato con la propria famiglia piuttosto che quali tipi di pene possa incorrere chi esercita violenza in casa.
Unanime il coro di critiche di chi si occupa di violenza domestica. Le associazioni armene rammentano di essere state escluse dalla stesura della legge, che il testo adottato è largamente difforme dalle pratiche internazionali, dallo spirito della legge armena di tutela dei cittadini e dagli obblighi internazionali del paese, segnatario della convezione contro la violenza sulle donne.
Se a maggio è nata una nuova Armenia, l’Armenia del popolo come si diceva nei giorni della Rivoluzione di velluto, il primo banco di prova sarebbe mettere mano a una legge che ridia senso al concetto di crimine, di tutela e di uguaglianza.