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Armeni e caucasici, in partenza dalla Siria
Tra chi cerca di sfuggire al conflitto in Siria vi sono anche migliaia di membri della diaspora armena e circassa che si erano stanziati in medio oriente a partire dal XIX secolo. Guardano ad Armenia e Russia in cerca di tranquillità. Un processo che può avere molte implicazioni
La Siria ospita una numerosa minoranza armena, stabilitasi in medio oriente a partire da tempi antichi, ma numericamente accresciuta significativamente in seguito al genocidio degli armeni nell’allora impero ottomano. Approssimativamente 100.000 armeni si concentrano in particolare nella città di Aleppo, anche se vi sono centri abitati come Kesab a maggioranza armena. La comunità armena locale non è originaria del Caucaso, ma sentendo minacciata la propria sicurezza per via del conflitto in corso e degli incerti sviluppi, migliaia di loro hanno già deciso di cercare rifugio nell’Armenia indipendente di oggi.
Una minoranza in pericolo
Yerevan ha seguito con apprensione la crisi e si sta muovendo a tutela della minoranza, nei margini dei grandi disagi che i combattimenti stanno causando. Così mentre le sedi diplomatiche, inclusa quella azerbaijana chiudono, quella armena non solo rimane aperta, ma il consolato di Aleppo viene spostato temporaneamente in prossimità degli insediamenti a maggiore concentrazione armena. Lo scopo è offrire assistenza ai cittadini siriani di origine armena, in una fase in cui le comunicazioni sono interrotte o difficoltose, o facilitarne l’uscita dal paese. A giugno il ministero della Diaspora armeno aveva dichiarato la disponibilità ad aiutare i residenti in pericolo o difficoltà. E che dei re-insediamenti ci siano stati risulta evidente anche dall’apertura di corsi di lingua per gli armeni siriani a Yerevan (gli armeni di Siria parlano una varietà di armeno diversa – l’armeno occidentale – rispetto a quella diffusa nell’Armenia contemporanea) e da dichiarazioni pubbliche di associazioni benefiche come Orran che si sono offerte di aiutare i profughi. Profughi che entrano in Armenia spesso non più come cittadini siriani: una seduta straordinaria del governo ha decretato una facilitazione del regime di naturalizzazione per gli armeni di Siria , che ora possono ricevere il passaporto e la cittadinanza presso l’ambasciata di Damasco, il consolato di Aleppo e la rappresentanza diplomatica in Libano. Un processo sicuramente concordato con le autorità di Damasco e portato avanti con discrezione, per evitare che risulti come un atto di tradimento verso la patria siriana, cosa che potrebbe esporre la minoranza a ritorsioni. Intanto Armavia, la compagnia di bandiera di Yerevan, ha cominciato un servizio di voli regolari con Damasco per portare i bambini armeni a “passare l’estate” in Armenia, e certo sono fra i pochi aerei civili che decollano e atterrano in Siria, laddove anche Aeroflot ha sospeso i voli.
Cautela è la parola d’ordine: dell’ipotesi di un post-Assad, evocato a gran voce sulla stampa occidentale, i media armeni hanno cominciato a parlare solo a luglio e valutando sempre e in primis l’impatto sulla comunità dei connazionali che risiede nel paese. Alexander Iskandaryan, direttore del Caucasus Institute di Yerevan, sottolinea che il teatro siriano è fin peggiore di quello libico con il rischio di una micro-frammentazione in città e piccole unità amministrative ingestibili dal potere centrale, dove sparute minoranze armene si troverebbero esposte a enormi rischi.
Nuovi karabakhi?
La notizia dell’arrivo di armeni dalla Siria ha suscitato immediate reazioni da parte dell’Azerbaijan, che in una nota ufficiale del 6 agosto ha segnalato ai Co-Presidenti del Minsk Group la propria preoccupazione per eventuali nuovi insediamenti nei “territori occupati” dagli armeni del Nagorno Karabakh, territorio rimasto spopolato dopo il conflitto.
Le autorità de facto del Nagorno Karabakh, pur riaffermando il diritto sovrano dell’autoproclamatesi repubblica di accettare tutti i migranti che ritiene, non confermano che sia in corso un’accoglienza di profughi da Aleppo o dalle altre zone della Siria interessate dai combattimenti. Anzi, reagendo alle accuse di stare alterando deliberatamente la composizione demografica dell’area, già significativamente sbilanciata a causa degli sfollamenti del periodo bellico che hanno causato di fatto la scomparsa della comunità azera, il de facto governo del Karabakh ha ricordato i report delle missioni dell’OSCE che non avevano confermato l’ipotesi di un ripopolamento armeno nelle regioni de jure ancora azerbaijane. Missioni che però precedono la crisi siriana.
Conseguenze all’ONU e oltre
Ad agosto l’Armenia è stata uno dei 31 stati ad astenersi in sede ONU alla risoluzione sulla crisi siriana. Non fra gli astenuti, bensì fra chi si è opposto alla risoluzione del 3 agosto c’è la Russia. Fra le varie speculazioni legate alle attività russe in Siria, spesso viene trascurato il fenomeno della “nuova storica” minoranza russa che vi risiede. Comparare il caso armeno e quello russo è interessante, perché i processi sono i medesimi: naturalizzazioni e passaportizzazioni veloci, trasferimento nella “patria storica” ed eventuale inserimento, previo corso di lingua e quant’altro. I “russi” di Siria sono caucasici che si trovano in Siria perché i loro antenati non avevano accettato di essere russi. Sono cioè i cabardini, i circassi e i discendenti di altre minoranze nord e sud caucasiche che erano migrate nell’Impero Ottomano al tempo delle guerre zariste. E che ora possono tornarvi, senza essere mai stati in Russia né conoscerne la lingua, grazie all’interessamento della Federazione (e dell’Abkhazia, nel caso degli abkhazi) per i “compatrioti” che vivono in Siria.
E qui il viaggio nel passato si fa intricato e la ricostruzione degli eventi degli ultimi mesi si riempie di ambigue suggestioni.
A febbraio il Consiglio Federale russo ha inviato la prima delegazione a valutare la condizione dei nord Caucasici in Siria . Sono cominciati gli arrivi, sia in Abkhazia che in Russia , ma il numero di chi lascia il paese è limitato, rispetto ai numeri stimati dei “compatrioti” rimasti in Siria e i quanti avrebbero potuto – comunque – potenzialmente tutelarsi accettando il passaporto russo.
La Russia ha dichiarato di non voler intervenire a difesa di Assad, e allo stesso tempo di non poter accettare un intervento militare sul modello di quello libico. Con la memoria di quanto accaduto in Georgia nel 2008, quando Mosca giustificò il proprio intervento militare in Ossezia del Sud facendo riferimento all’obbligo costituzionale di proteggere compatrioti all’estero, ci si può chiedere se questa “nuova storica” minoranza russa ritrovata non possa fornire un pretesto per contrastare azioni militari in zona.
(http://marilisalorusso.blogspot.com/ – il blog di Marilisa Lorusso dedicato al Caucaso del sud)