Allargamento UE, una sfida anche per le regioni europee
Alla Settimana europea delle regioni e delle città 2025, il dibattito su come gli enti territoriali e il Comitato che ne rappresenta gli interessi a Bruxelles possono orientare le politiche verso un’Unione allargata, tenendo in considerazione anche l’impatto in loco

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© Unione europea
Nel dibattito sull’allargamento dell’Unione europea troppo spesso ci si dimentica del ruolo che possono giocare alcuni dei diretti interessati dalle possibili conseguenze di un’Unione con nuovi membri. Regioni e città degli attuali Paesi membri sono tra gli attori che più conoscono l’impatto, i rischi e le potenzialità delle politiche europee – dalla coesione all’agricoltura – e, proprio per questo motivo, è essenziale ascoltare la loro voce per evitare gli errori del passato e orientare il prossimo allargamento.
“Dobbiamo assicurarci che le regioni e il Comitato europeo delle Regioni siano presenti nella sala di comando dell’allargamento”, ha esortato con forza Corina Stratulat, vicedirettrice dell’European Policy Centre (EPC), nel suo intervento alla Settimana europea delle regioni e delle città 2025, svoltasi a Bruxelles lo scorso 14 ottobre. Nel panel dedicato a come le città e le regioni possono sostenere il dibattito sulle riforme interne dell’UE in vista di un’Unione allargata è stato dato spazio in particolare a come integrare l’allargamento dell’Unione oltre la tradizionale impostazione della politica di allargamento, cioè di alto livello e più incentrata sul piano europeo e nazionale.
Ecco perché il Comitato europeo delle Regioni, l’istituzione che a Bruxelles rappresenta gli enti regionali e locali dell’UE, sta cercando di ritagliarsi un ruolo sempre più centrale in questo dibattito – per quanto lo concedano le sue competenze – sia nel processo di allargamento sia in quello relativo alle riforme interne dell’Unione, attraverso una prospettiva locale, regionale e territoriale.
Tra Bruxelles e i territori
“Questo dibattito è necessario non solo per le conseguenze della guerra russa in Ucraina, ma anche perché questi problemi sono di lunga data e difficilmente scompariranno, mentre in futuro potrebbero emergerne anche di nuovi”, ha avvertito la vicedirettrice dell’EPC, partendo da quanto messo in luce da uno studio sull’allargamento e le riforme interne dell’UE recentemente pubblicato proprio dal think tank indipendente basato a Bruxelles: “Riformandosi, l’UE può dare l’esempio ai Paesi candidati all’allargamento a fare lo stesso”.
A proposito dell’apporto degli enti locali e regionali, secondo Stratulat questi “dovrebbero essere integrati in un Forum sull’allargamento e in altre consultazioni” che coinvolgano i cittadini di tutta l’Unione e dei Paesi candidati. Non si tratterebbe di un esercizio fine a se stesso, quanto piuttosto di un “dibattito onesto” basato su “informazioni chiare” sulle implicazioni del prossimo allargamento, tanto essenziale quanto lo è mettere in evidenza anche i costi economici e politici. “Se ci limitiamo a prendere decisioni esecutive a porte chiuse e poi cercare di venderle ai cittadini come la cosa migliore che sia mai capitata loro, il processo non potrà funzionare”, ha messo in chiaro Stratulat.
Ciò che il Comitato europeo delle Regioni può già fare, per esempio, è esortare il Consiglio europeo “sia a commissionare una relazione sulla riforma della governance sia a pubblicare una tabella di marcia per l’allargamento collegata a un piano di riforma dell’UE completo e dinamico”. Tre documenti fondamentali che dovrebbero così delineare le fasi, le risorse e le tempistiche della prossima ondata di adesione di nuovi membri, prima di finanziare il processo “con un sostegno pre-adesione legato alla convergenza e alla realizzazione delle riforme”.
L’aspetto di stimolo alla definizione delle politiche europee dovrebbe andare però di pari passo con un lavoro più specifico sul territorio. Questo perché settori chiave come la politica di coesione e la politica agricola comune rischiano di essere messi a dura prova da uno o più allargamenti futuri dell’Unione. Lo stesso finanziamento di un’Unione con 30 o più membri può diventare un problema. È per affrontare tutte queste questioni – potenzialmente di forte impatto anche sul piano locale – che, secondo Stratulat, il Comitato dovrebbe “fornire prove sulle conseguenze territoriali e sul fabbisogno finanziario” per redigere la tabella di marcia dell’allargamento.
Non aumentare le disparità
Da tenere particolarmente presente è anche l’aspetto finanziario, a partire da un sostegno pre-adesione decentralizzato. “Questo potrebbe includere l’erogazione diretta di maggiori finanziamenti in stile IPA a comuni e regioni, l’ampliamento del sostegno a livello locale e il supporto a piccole e medie imprese e ai media nelle regioni candidate”, ha spiegato la vicedirettrice dell’EPC. Altre misure potrebbero includere infine un gemellaggio tra regioni dell’UE e quelle dei Paesi candidati mediato dal Comitato, ma anche “sovvenzioni comunali per la promozione della cooperazione transfrontaliera per allentare tempestivamente eventuali tensioni bilaterali”.
L’aspetto economico e finanziario è strettamente legato al rischio di acuire tensioni e disparità regionali già presenti anche nell’attuale Unione a 27 membri. Dal cambiamento climatico alla crisi abitativa, dalla transizione energetica alla pressione turistica nelle città fino all’invecchiamento della popolazione, “le regioni devono già affrontare una serie di sfide comuni, ma distribuite in modo diseguale”, ha avvertito Mafalda Batalha, ricercatrice presso l’Istituto universitario europeo (IUE), intervenendo nello stesso panel.
L’allargamento non risolverà tutte queste sfide, ma potenzialmente ne porterà altre e, proprio per questo motivo “dovrà essere gestito facendo attenzione all’impatto diverso a seconda delle regioni e delle città”. Secondo la ricercatrice, però, l’integrazione di uno o più membri dovrà tenere conto non solo delle disparità regionali attualmente presenti nell’UE, ma anche di quelle che potrebbero scaturire dall’accogliere “nuovi Paesi con strutture sociali ed economiche molto diverse”.
Per prepararsi al futuro allargamento, a Bruxelles dovrebbero essere coinvolte dunque non solo le istituzioni dell’UE e le autorità centrali degli attuali e potenziali futuri Stati membri – che già stanno dando forma, con fatica, a questo processo – ma anche gli attori sub-nazionali. “Un approccio unico per tutti difficilmente darà le risposte necessarie”, ha spiegato Batalha, sottolineando infine l’urgenza di responsabilizzare le autorità territoriali: “Le regioni europee sono spesso nella posizione migliore per comprendere le sfide locali e proporre soluzioni politiche”.











