Allargamento UE, stabilizzare il supporto affrontando lo scetticismo
I sondaggi sulla quota di sostegno all’adesione di nuovi membri evidenziano la necessità di migliorare il modo in cui si parla, dentro e fuori l’Unione, dei benefici di questa politica, per non perdere l’ennesima occasione. Intervista a Bojana Zorić, analista dell’Istituto di studi sulla sicurezza dell’UE

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Bruxelles, Belgio. Sede del parlamento europeo - © Fabrizio Maffei/Shutterstock
Crollo verticale in Albania e Montenegro, risalita inaspettata in Kosovo, lenta ripresa in Macedonia del Nord e Bosnia Erzegovina, stabilizzazione su livelli tutt’altro che incoraggianti in Serbia. E ancora, una crescita evidente nei Paesi membri dell’UE, in particolare dopo il 2022, l’anno dell’invasione russa dell’Ucraina.
Questo è quanto emerge dall’analisi dei dati di Eurobarometro e Balkan Barometer 2025, a proposito del supporto nei Paesi membri dell’UE e in quelli dei Balcani occidentali, candidati ad aderire all’Unione. Tendenze che, per quanto soggette a variazioni e diverse metodologie, possono fornire un quadro generale su quanto il messaggio della necessità di unificare politicamente il continente stia facendo presa – o meno – tra i cittadini europei.
"Nei sistemi democratici le politiche che non riflettono le preoccupazioni o le opinioni dei cittadini difficilmente possono durare nel tempo", avverte Bojana Zorić, analista dell’Istituto UE di studi sulla sicurezza (EUISS) e autrice di un’analisi sui livelli di supporto all’allargamento dell’Unione europea e sulla necessità di migliorare il modo in cui si parla dei benefici di questa politica, dentro e fuori l’Unione.
"Ogni volta che c’è un divario tra le élite politiche e i cittadini, tendono a emergere pressioni per un cambiamento", spiega Zorić in un’intervista per OBCT, a proposito dei rischi di lasciare il processo di allargamento un tema quasi inaccessibile alla cittadinanza. "L’opinione pubblica sull’allargamento è molto importante", soprattutto in un momento in cui il supporto all’adesione di nuovi membri potrebbe rivelarsi decisivo per il futuro del progetto dell’Europa unita.
Cosa rivelano i sondaggi sul sostegno all’adesione all’UE nei Paesi dei Balcani occidentali?
Nonostante nei Balcani occidentali ci sia una certa disillusione a causa della lentezza del processo di integrazione, analizzando i dati dal 2012 al 2024 emerge che il sostegno a livello regionale è rimasto relativamente stabile attorno al 50%, anche se con variazioni significative tra Paesi.
Questo non significa che sia cresciuta la percentuale di opposizione all’adesione, ma che i cittadini sono più disillusi. Lo scenario in cui la maggioranza della cittadinanza rifiuti esplicitamente l’adesione all’UE è altamente improbabile, con la leggera eccezione della situazione in Serbia. Non è chiaro come reagirebbero i cittadini serbi se oggi venisse loro fatta questa richiesta.
E per quanto riguarda il sostegno negli Stati membri all’allargamento dell’UE?
Qui la situazione è diversa, perché il sostegno all’allargamento non è mai stato particolarmente forte. Seppur con variazioni tra un Paese membro e l’altro, nel corso del periodo considerato la maggioranza dei cittadini dell’UE non ha mostrato un particolare entusiasmo.
Concentrandoci solo sulla necessità che i Paesi candidati realizzino le riforme, non abbiamo prestato sufficiente attenzione al dibattito sull’allargamento all’interno degli Stati membri. Il dibattito dovrebbe andare oltre i governi e coinvolgere tutti gli attori della società.
In fondo, tutti i 27 Stati membri dovranno approvare il Trattato di adesione di ciascun candidato nei rispettivi parlamenti. E questi sono composti da collegi elettorali, partiti, persone. Anche se in modo indiretto, i cittadini hanno voce in capitolo sull’adesione dei Paesi candidati.
La guerra in Ucraina ha influenzato l’andamento del sostegno?
Il 2022 ha sicuramente segnato una svolta, perché nel corso del decennio precedente molti Stati membri erano stati piuttosto scettici. Non possiamo concludere con assoluta certezza che questo cambiamento sia avvenuto esclusivamente a causa della guerra in Ucraina.
Tuttavia, la correlazione nei dati è forte e suggerisce che il conflitto abbia influenzato il modo in cui i cittadini percepiscono l’allargamento dell’UE, come strumento per rafforzare ulteriormente l’Unione e come scudo contro i rischi alla sicurezza del continente. Quando l’Europa si trova ad affrontare minacce, i cittadini tendono a vedere una maggiore unità e l’espansione dei confini dell’Unione come un modo per scoraggiare tali pericoli.
Questo è stato particolarmente evidente proprio nel 2022, quando è stato registrato il numero più alto di Paesi membri con oltre il 66% di cittadini favorevoli all’allargamento. Nella mia analisi, mi riferisco a questi Paesi come "sostenitori dell’allargamento".
Tuttavia, stiamo parlando di allargamento in generale, senza distinguere tra specifici Paesi candidati. Se vogliamo davvero valutare se la guerra in Ucraina ha influenzato l’opinione pubblica, dovremmo esaminare anche se vi è una differenziazione di opinioni riguardo all’adesione di Ucraina, Moldova e Georgia – a cui è stato concesso lo status di candidato poco dopo lo scoppio della guerra – rispetto ai Balcani occidentali.
Cosa spiega la diversità di atteggiamenti dell’opinione pubblica nei Balcani occidentali?
Oltre alla disillusione per la lentezza del processo di adesione, anche le dinamiche interne e il contesto politico dei Paesi candidati influenzano il discorso pubblico. In molti casi i leader politici hanno sfruttato lo stallo in atto a proprio vantaggio, strumentalizzandolo per perseguire i propri obiettivi e diffondendo messaggi sull’UE che non sono necessariamente fondati sulla realtà.
Inoltre, quando il processo si svolge in gran parte a porte chiuse – con discussioni su capitoli, gruppi e benchmark negoziali – spesso i cittadini non capiscono cosa sta succedendo. Nei Paesi candidati sono stati compiuti pochi sforzi per tradurre questi messaggi politici di alto livello in un linguaggio comprensibile a tutti.
L’euroscetticismo può auto-alimentarsi da questa situazione?
Sì, è una possibilità che esiste sia all’interno sia all’esterno dell’UE.
Se guardiamo ai risultati delle elezioni europee del 2024, il fenomeno populista interno dell’UE è aumentato rispetto alle elezioni del 2019, e non possiamo dimenticare che i partiti di estrema destra sono generalmente contrari all’allargamento dell’UE.
Tendenze simili si osservano anche nei Paesi candidati, dove vari partiti populisti stanno spingendo messaggi politici che spiegano perché non dovrebbero aderire all’Unione europea, spesso citando la necessità di preservare la sovranità nazionale.
Questo è il risultato dell’erosione dei partiti politici tradizionali in tutta Europa. In questo momento i partiti di tutto lo spettro politico stanno cedendo a narrazioni populiste per ottenere sostegno elettorale e assicurarsi voti, con l’obiettivo di mantenere il potere nel prossimo mandato.
Come si può rafforzare un discorso pubblico trasparente e credibile sull’Unione europea nei Paesi candidati all’adesione?
Quando parliamo di “discorso pubblico”, ci riferiamo a come comunichiamo – o non comunichiamo – i vantaggi di aderire all’Unione europea. Spesso le persone non sono consapevoli di quanto l’UE contribuisca già allo sviluppo delle comunità locali.
Le delegazioni dell’UE sul campo dovrebbero fare di più per comunicare come l’Unione e i suoi Stati membri investono nelle infrastrutture e nell’istruzione, per esempio. Se guardiamo a ciò che stanno facendo i nostri concorrenti, come la Cina, loro investono pesantemente nella comunicazione strategica.
Al contrario, l’UE non riesce a raggiungere davvero i cittadini al di fuori delle capitali, in particolare quelli che vivono nelle zone rurali dove la conoscenza di ciò che è l’UE è molto limitata. Se la televisione è la loro unica fonte di informazione e i contenuti sono controllati dallo Stato, riceveranno solo ciò che i loro governi decidono di condividere. Non stiamo offrendo fonti di informazione aggiuntive o alternative.
Una delle idee della commissaria per l’Allargamento, Marta Kos, è quella di rafforzare la diplomazia per mostrare in modo chiaro e trasparente i vantaggi dell’UE ai cittadini dei Balcani occidentali. La diplomazia culturale è uno di questi approcci di soft power. Un altro è investire maggiormente nel coinvolgimento dei giovani, che sono spesso i migliori ambasciatori dell’UE, perché beneficiano direttamente di opportunità come Erasmus+ e scambi bilaterali.
E come si può rafforzare il discorso pubblico sull’allargamento nei Paesi che già sono membri dell’UE?
È vero che, allo stesso tempo, non riusciamo a far comprendere ai cittadini dell’UE i vantaggi dell’allargamento. Se si chiede a un cittadino italiano, olandese o svedese perché dovremmo accogliere, ad esempio, il Montenegro nell’Unione, è probabile che abbia solo una vaga idea di quel Paese e non sappia rispondere.
Questo è un problema in generale per il progetto politico dell’Unione. Dobbiamo avviare un dibattito più ampio e coerente all’interno degli Stati membri a proposito dell’allargamento dell’UE.
Ogni capitale dovrebbe assumersi la propria parte di responsabilità e sviluppare strategie di comunicazione su misura, portando la questione dell’allargamento all’attenzione dell’opinione pubblica locale attraverso i media nazionali.
La verità è che non abbiamo un organo di informazione paneuropeo che raggiunga tutti i 27 Stati membri. Anche quando l’UE comunica i messaggi sui vantaggi dell’allargamento, è improbabile che questi raggiungano gli ecosistemi mediatici locali in Bulgaria, Spagna o Germania.
Esiste un rischio che l’attuale slancio per l’allargamento dell’UE possa andare perso nell’immobilismo politico?
Negli ultimi dieci anni ci sono stati diversi momenti di slancio per l’allargamento. L’ultimo è stato innescato dalla guerra in Ucraina. Si è trattato di un campanello d’allarme che ha spinto l’Unione europea a riflettere strategicamente su come rafforzare il proprio vicinato.
Ora che l’allargamento è tornato all’ordine del giorno e si discute di possibili date di adesione per alcuni candidati, se falliremo di nuovo, dovremo prepararci a una forte reazione negativa in queste società. Non so per quanto tempo ancora saranno disposte ad aspettare.
Naturalmente, i progressi dipendono anche dal fatto che i governi dei Paesi membri devono compiere il lavoro necessario, perché il processo si basa sul merito, e la leadership dell’UE è stata molto chiara su questo punto.
All’interno dell’Unione dobbiamo però chiederci se vogliamo davvero allargare l’Unione e dobbiamo essere onesti con noi stessi. Se la volontà c’è, allora dobbiamo proseguire con decisione. Qualunque approccio adottiamo ora con i Balcani occidentali servirà da banco di prova per i candidati a Est, che solo di recente hanno intrapreso il percorso di allargamento.
È in gioco la credibilità dell’UE. Il costo geopolitico di lasciare i Paesi candidati in un limbo, sia nei Balcani occidentali sia a Est, è troppo alto per l’Unione europea.












