All’Aja il processo Ljube Boskovski

L’ex ministro degli Interni macedone è accusato di essere ”oggettivamente responsabile” per i fatti di Ljuboten, villaggio alle porte di Skopje in cui, nel 2001, unità speciali della polizia uccisero sette persone e ne ferirono un centinaio

23/04/2007, Risto Karajkov -

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E’ cominciato lunedì 16 aprile all’Aja il processo contro Ljube Boskovski, ministro degli Interni in Macedonia durante il breve conflitto interetnico scoppiato nella piccola repubblica nel 2001. Insieme a Boskovski, siede al tavolo degli imputati anche Johan Tarculovski, all’epoca ufficiale delle forze speciali della polizia macedone.

Entrambi gli imputati sono accusati di essere coinvolti nei fatti del 12 agosto 2001 quando, durante un’operazione di polizia nel villaggio di Ljuboten, non lontano da Skopje, sette cittadini di etnia albanese furono uccisi, un centinaio vennero picchiati e maltrattati e quattordici abitazioni vennero date alle fiamme.

Tarculovski è accusato di aver condotto personalmente l’operazione, mentre Boskovski è accusato di "responsabilità oggettiva", per essere stato a conoscenza o nelle condizioni di conoscere lo svolgimento degli eventi, e di non aver fatto nulla per prevenirli o, in seguito, per punire i responsabili dei crimini. Le accuse sono di omicidio, maltrattamenti e distruzione ingiustificata.

Il procuratore Joana Motoika ha fornito i dati essenziali sugli avvenimenti di quel giorno. Il 10 agosto, una mina piazzata da ribelli albanesi non lontano dal villaggio uccideva otto soldati dell’esercito macedone, che iniziò un’operazione di bombardamento del paese durata sue giorni. La mattina del terzo giorno le forze di polizia entrarono nel villaggio.

La procura dell’Aja, nella sua arringa d’apertura del 16 aprile, ha dichiarato di possedere prove in abbondanza, documenti, dichiarazioni, interviste e materiale video, sufficienti a provare che Boskovski era sul luogo degli eventi, e che era pienamente a conoscenza di ciò che stava accadendo.

Il procuratore Daniel Saxon ha dichiarato che l’ex ministro degli Interni era a Ljuboten quel giorno, mostrando poi un video a supporto dell’accusa. Saxon ha inoltre riferito di avere testimoni pronti a confermare che Boskovski si era incontrato con i poliziotti che condussero l’operazione, compreso Tarculovski, prima e dopo i fatti di Ljuboten.

Genel Metro,uno degli avvocati del principale accusato, ha dichiarato che "nell’arringa iniziale della Procura non è stata presentata alcuna accusa diretta a Boskovski, ma soltanto la presunzione nella sua incapacità di agire come ministro responsabile".

Secondo Metro, "in casi di responsabilità collegati alla catena di comando, bisogna essere in grado di dimostrare tre cose: che l’accusato avesse ufficialmente il comando delle persone che hanno commesso il fatto, che, per così dire, fosse effettivamente in grado di controllarle, che, infine, non abbia agito secondo quelli che erano i doveri legati alla carica ricoperta".

Per provare la competenza del Tribunale dell’Aja, la Procura ha dovuto innanzitutto dimostrare che i fatti di Ljuboten sono collegati ad un conflitto armato. Per farlo, l’accusa ha riportato le dimensioni dei conflitto del 2001, con la distruzione di abitazioni e proprietà del valore di più di 150 milioni di dollari, e con danni all’economia macedone stimati intorno ai 500 milioni.

Il processo è stato subito aggiornato ad inizio maggio, dopo la richiesta della difesa di poter studiare con più attenzione atti probatori che l’accusa non avrebbe reso disponibili in tempo.

Nelle aule dell’Aja è attesa la testimonianza di 96 testimoni, molti dei quali abitanti di Ljuboten, ma anche membri delle forze speciali. L’accusa proverà a dimostrare che, al momento dell’attacco, nel villaggio non c’erano ribelli albanesi, e che questo è stato diretto contro civili.

Le testimonianze sono state uno dei punti più delicati nella preparazione del processo. Inizialmente la procura ha avuto grandi difficoltà a portare gli abitanti di Ljuboten a testimoniare in aula, ed era stata in grado di raccogliere soltanto testimonianze scritte. La difesa, però, aveva insistito nel voler contro-interrogare i testimoni. Fino allo scorso dicembre, solo una manciata di testimoni era stata convinta a sedere in aula. Carla del Ponte ha protestato più volte a riguardo proprio col governo macedone.

Gli accusati sono in stato di arresto dal marzo 2005. Boskovski aveva richiesto due volte di potersi difendere da libero, ma il tribunale aveva rifiutato di scarcerarlo in entrambi i casi, sostenendo che l’imputato avrebbe potuto influenzare i testimoni e che il suo rilascio avrebbe potuto provocare tensione politica in Macedonia. A giudizio del tribunale, inoltre, le autorità macedoni non erano in grado di prevenire un suo eventuale tentativo di fuga. Nel settembre 2006 il nuovo premier macedone Nikola Gruevski e Carla Del Ponte si erano incontrati per discutere il caso, senza arrivare a un cambiamento di linea.

Sebbene i media macedoni seguano con attenzione gli avvenimenti dell’Aja, l’inizio del processo Boskovski non ha portato ad un’inasprirsi delle polemiche politiche, anche se gli imputati hanno ricevuto alcune manifestazioni di solidarietà da parte dei propri sostenitori, tra cui la chiesa ortodossa macedone.

"Coloro che credono di poter emettere sentenze, non dovrebbero mai perdere di vista la giustizia. E non dovrebbero dimenticare che, giudicando in modo iniquo, essi giudicano innanzitutto sé stessi", ha dichiarato l’arcivescovo Stefan.

Goran Mitevski, presidente dell’associazione di solidarietà a Boskovski, ha detto che "Ljube e Johan sono all’Aja per aver difeso la Patria".

"Non mi aspetto un processo equo. Il Tribunale dell’Aja è un’istituzione politica, creata dalle grandi potenze per i propri interessi particolari", ha dichiarato Goran Stojkov, generale di polizia e comandante dei "Leoni", un’unità speciale creata durante il conflitto del 2001.

Stojkov, personaggio controverso, era uno dei principali indagati nel processo noto come "Rastanski Lozja", località in cui, secondo le accuse, le strutture dell’intelligence macedone furono implicate nell’uccisione a sangue freddo di sette immigrati pachistani, necessaria per dimostrare all’Occidente l’impegno della Macedonia nella "guerra al t[]ismo". Anche Boskovski, all’epoca primo ministro, fu coinvolto come presunto mandante. Un processo tenuto a Skopje, e carico di pressioni politiche, ha però scagionato tutti gli imputati, anche se il caso non è stato ancora chiuso.

L’apertura del processo Boskovki ha suscitato le reazioni del governo macedone per l’utilizzo dell’espressione "maggioranza slava che parla la lingua macedone", che sarebbe stata utilizzata durante l’arringa iniziale. Il portavoce del governo di Skopje, Ivica Bocevski, ha dichiarato che richiederà le trascrizioni della stessa arringa, e che nel caso di conferma, verrà inviata al Tribunale una protesta formale.

Il momento più drammatico della seduta di apertura, sottolineato dal silenzio sceso sull’aula, è stato senza dubbio quello della proiezione di un video che mostra l’uccisione di uno degli abitanti di Ljuboten. Le immagini mostrano due civili in fuga, uno dei quali crolla a terra dopo l’esplosione di colpi da arma da fuoco.

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