Aleksandar Trifunović: Dodik venderà cara la pelle
Perché l’indebolimento del regime di Vučić va a vantaggio di Milorad Dodik? Quali i rapporti tra il presidente croato Milanović e il leader della Republika Srpska? Come appare oggi la Croazia osservata da Banja Luka? Intervista con il direttore del portale Buka

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Aleksandar Trifunović (foto Buka )
(Originariamente pubblicato da Telegram , il 27 agosto 2025)
“Dodik, con le sue manovre, cerca solo di guadagnare tempo e, da abile mercante qual è, intende vendere cara la pelle”. Aleksandar Trifunović, fondatore e direttore del progetto editoriale indipendente Buka , in questa intervista rilasciata al portale Telegram parla dell’attuale situazione in Bosnia Erzegovina, dei possibili scenari e vie d’uscita, ma anche delle complesse dinamiche dei rapporti tra i leader dei paesi della regione.
Recentemente, il parlamento della Republika Srpska ha approvato la decisione di convocare un referendum sulla sentenza di condanna e sulla revoca del mandato a Milorad Dodik. I cittadini della RS, come annunciato, saranno chiamati a rispondere al seguente quesito: “Sostenete le decisioni dello straniero non eletto Christian Schmidt e le sentenze incostituzionali del Tribunale della Bosnia Erzegovina contro il presidente della Republika Srpska, e la decisione della Commissione elettorale della BiH di revocare il mandato di presidente della RS a Milorad Dodik?”. Cosa significa l’annuncio del referendum?
Significa semplicemente che Dodik vuole guadagnare tempo. È consapevole che lo stato bosniaco-erzegovese non funziona, uno stato che da febbraio non è riuscito ad attuare una sola decisione riguardante il leader della RS.
Dodik aveva impugnato la sentenza a suo carico, facendo ricorso, solo per guadagnare tempo. Poi con la sentenza definitiva, gli è stato revocato il mandato, quindi è stato ufficialmente rimosso dall’incarico di presidente della RS.
Il referendum non può modificare la decisione del tribunale, però permette a Dodik di dare una parvenza di potere, perché oggi non c’è nessuno che possa rimuoverlo effettivamente dall’incarico, nessuno capace di dirgli che non può più entrare in quell’ufficio e ricoprire quella carica.
Con le sue manovre, Dodik sta solo cercando di guadagnare tempo, consapevole che, finché i cittadini lo percepiranno come un uomo che ricopre la carica presidenziale, riuscirà a mantenere il suo potere, soprattutto economico. Non vuole perdere il potere politico, perché se dovesse cedere il potere politico, ben presto perderebbe anche il potere economico.
Quali sono i possibili scenari e vie d’uscita da questa situazione di stallo?
Non c’è nessuno scenario che possa andare a vantaggio di Dodik, se non la totale radicalizzazione della situazione. Pur avendo a più riprese affermato di non riconoscere le decisioni del tribunale, Dodik si è avvalso della facoltà di sostituire la pena detentiva con quella pecuniaria, e lo ha fatto al tasso di 100 marchi [circa 50 euro] al giorno, somma prevista per le persone con i redditi più bassi.
Già solo il fatto di voler pagare una sanzione amministrativa dimostra che Dodik riconosce il tribunale. Lo riconosce anche quando impugna la sentenza di primo grado e quando fa ricorso alla Corte costituzionale.
In realtà, Dodik dimostra costantemente di riconoscere il tribunale. Al contempo però, assumendo un atteggiamento arrogante, si sforza di far credere all’opinione pubblica e ai suoi sostenitori di essere al di sopra del tribunale, pur essendo sostanzialmente consapevole delle conseguenze formali di questa situazione.
Dodik si trova in una situazione piuttosto complessa, in cui peraltro si è cacciato da solo. Tuttavia, nel tentativo di uscirne, sta portando l’intero paese su un autentico ottovolante di possibili conseguenze, in primis quelle legate all’isolamento. Questo il clima che si percepisce da febbraio, ormai nessuno vuole venire in Republika Srpska, non ci sono grandi progetti, gli investitori si stanno ritirando. Ma Dodik se ne frega delle conseguenze che la radicalizzazione della situazione comporta per tutte le persone che vivono qui.
C’è una figura autorevole a cui Dodik dà ascolto? Qual è il suo rapporto con il presidente serbo Aleksandar Vučić?
Aleksandar Vučić è l’unica persona che Dodik per certi versi teme, però sarebbe sbagliato affermare che i due intrattengano buoni rapporti. Dodik e Vučić hanno un rapporto politico basato esclusivamente sugli interessi. Vučić utilizza Dodik per radicalizzare il proprio elettorato, facendo credere di essere “più forte” di Dodik. Allo stesso tempo, Vučić vuole dimostrare alla comunità internazionale di essere capace di controllare Dodik sotto alcuni aspetti e di influenzare alcune delle sue decisioni.
Questa dinamica è emersa in diverse occasioni, ad esempio quando Vučić ha chiesto a Dodik di fare certi compromessi per disinnescare le tensioni.
Oggi, messo sotto pressione da una mobilitazione di protesta che non accenna a placarsi, Vučić per la prima volta sembra incapace di tenere la situazione sotto controllo. E Dodik non lo sostiene pienamente. Evidentemente anche al leader della RS giova l’indebolimento del regime di Vučić.
Chi considera Milorad Dodik esclusivamente come una figura politica non coglie il nocciolo della questione. Dodik è prima di tutto un mercante. Anche adesso sta facendo affari, cercando di uscire da questa situazione traendone ogni vantaggio possibile.
Va sottolineato che da febbraio ad oggi circa mezzo miliardo di marchi [poco più di 250 milioni di euro] sono stati spesi per esaudire i desideri economici di Milorad Dodik. Un edificio di proprietà del suo padrino a Banja Luka è stato venduto. Circa 300 milioni di marchi [150 milioni di euro] sono stati erogati ad alcuni broker e investitori in Republika Srpska che non hanno mai nemmeno messo piede in un cantiere.
Dodik registra costantemente un surplus di ricchezza, mentre l’intera società è al collasso. Allo stesso tempo, cerca di convincere la popolazione che questo non è un processo contro di lui, ma contro tutti i cittadini della RS, rivolgendosi ad una delle società più povere d’Europa.
Anche lei, insieme all’intera redazione di Buka, è spesso nel mirino di Dodik. Con la radicalizzazione della situazione a cui assiste negli ultimi mesi, gli attacchi sono diventati più forti ed espliciti?
Recentemente, Dodik ha dichiarato: “Io li lascerò in pace, però invito i cittadini a sfidarli”. Questo è un pericoloso invito al linciaggio, alla violenza, persino all’esecuzione. Da uomo costantemente circondato da una moltitudine di guardie del corpo – perché evidentemente ha paura di qualcosa o di qualcuno – Dodik ha detto a chi vuole farci del male di poterlo fare senza dover temere alcuna conseguenza da parte dello stato.
Io non ho paura e non ho bisogno di una scorta. In queste situazioni però dobbiamo essere più cauti del solito. C’è sempre la possibilità che qualcuno utilizzi il messaggio politico di Dodik contro di noi.
Il messaggio di Dodik non è rivolto solo a me e ai miei colleghi, ma all’opinione pubblica nel suo complesso. È rivolto a tutti quelli che si rendono conto che Dodik sta portando l’intera società alla rovina – economica, sociale e politica.
I giovani se ne vanno perché non ci sono soluzioni ad una moltitudine di problemi, mentre Dodik crea conflitti con il mondo intero per distogliere l’attenzione dalla sua ricchezza in continua crescita.
Com’è possibile che un uomo abbia avuto così tanto successo nella sua vita personale, tanto che la sua ricchezza sta aumentando sempre di più, accumulando però un fallimento dopo l’altro nel governare il paese? Milorad Dodik non ha una risposta a queste domande, ed è per questo che io, che le pongo, rappresento un problema per lui.
Esiste una stima approssimativa del patrimonio di Dodik?
I media parlano di un patrimonio di tre miliardi di marchi che Dodik possiederebbe tra vari affari. Lui non ha mai smentito questa cifra. Solo l’azienda Pointer, legata a suo figlio, vince regolarmente bandi per centinaia di milioni di marchi, e molto spesso non porta a termine i progetti.
Come appare il rapporto tra Dodik e il presidente croato Zoran Milanović a chi osserva da Banja Luka? In Croazia il rapporto tra i due leader suscita l’indignazione dell’HDZ…
Questa indignazione è ipocrita, l’HDZ non ha il diritto di rimproverare Milanović per i suoi legami con Dodik.
È evidente però che Milanović si è impegnato assiduamente per creare un’immagine di Dodik che non corrisponde alla realtà. Milanović afferma spesso che Dodik non è a favore della guerra. Dodik però non fa altro che acuire le tensioni – tensioni che forse non possono essere equiparate ad una guerra, però seminano inquietudine tra i cittadini.
La vicinanza tra Milanović e Dodik stupisce, soprattutto perché il presidente croato si reca a Banja Luka, dove ormai la comunità croata è quasi inesistente. Sappiamo bene per quale motivo viene. Ad ogni modo l’HDZ non dovrebbe commentare la vicenda e criticare Milanović, anche perché Dragan Čović [leader dell’HDZ BiH] è uno dei veri alleati politici di Milorad Dodik. C’è un’“amicizia” ben consolidata tra i due, e Čović continua a sostenere il leader della RS.
Ogni volta che Milorad Dodik è stato messo alle strette, Dragan Čović si è schierato in sua difesa e lo ha sempre sostenuto. Dragan Čović ormai è l’unico a decidere del destino politico dei croati in Bosnia Erzegovina. Non c’è un solo partito capace di sfidarlo, e per questo può ringraziare Željko Komšić. Quest’ultimo continua a mobilitare i croato-bosniaci [con una retorica nazionalista]. Se non fosse stato per Komšić e la sua nomina [come membro croato della Presidenza tripartita della Bosnia Erzegovina], Čović non avrebbe certamente avuto tutto questo potere politico.
Come valuta le relazioni Croazia e Bosnia Erzegovina?
Alcuni politici in BiH mi hanno detto che, dopo l’ingresso nell’Unione europea, la Croazia aveva generosamente offerto alla Bosnia Erzegovina tutte le traduzioni dei documenti necessari per allineare la nostra legislazione a quella europea. Sembra poco, ma è un aiuto significativo e un grande gesto. Sembrava che Zagabria volesse un buon vicino, anche perché una Bosnia Erzegovina instabile rischiava di compromettere la stagione turistica in Croazia.
Tuttavia, negli ultimi anni, la Croazia, anziché contribuire ad una possibile soluzione, è nuovamente diventata parte del problema in Bosnia Erzegovina.
L’emergere di una retorica radicale – compreso un concerto, sostenuto anche dal premier croato Andrej Plenković, in cui mezzo milione di persone hanno invocato e glorificato l’Herceg-Bosna, la cui intera leadership politica e militare è stata condannata all’Aja – significa che la Croazia ha abbandonato il suo messaggio dichiarato per cui “solo una Bosnia Erzegovina unita può entrare nell’UE”, sostituendolo con l’idea che la Bosnia Erzegovina “può anche essere divisa”.
Ho l’impressione che la radicalizzazione della situazione politica in Croazia contribuisca ad un’ulteriore radicalizzazione in Bosnia Erzegovina.











