Albin Kurti: tra Kosovo e Serbia serve “principio di reciprocità”

Qualsiasi nuova demarcazione del confine tra Kosovo e Serbia su base etnica sarebbe un’idea razzista. Ed è il principio di reciprocità che deve guidare i rapporti tra i due paesi. Un’intervista del premier in pectore kosovaro Albin Kurti

15/10/2019, Amra Zejneli Loxha -

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Marc Bode/Shutterstock

(Pubblicato originariamente da Radio Slobodna Evropa il 14 ottobre 2019, selezionato e tradotto da Le Courrier des Balkans e OBCT)

La comunità internazionale si aspetta dal nuovo governo che riprenda il prima possibile il dialogo con la Serbia, ma Belgrado rifiuta quest’ultimo sino a quando non verrà sospesa la tassazione del 100% sui prodotti serbi. La toglierete?

La nostra priorità è quella di sviluppare il paese concentrandoci sul lavoro, in particolare dei giovani e delle donne, ma anche sul sistema giuridico, sulla lotta contro la corruzione ed il crimine organizzato, così come sul progresso sociale a prescindere da quale sia l’appartenenza etnica dei nostri cittadini. Capisco che la Serbia non voglia negoziare con il Kosovo sino a quando rimangono i dazi del 100%. Non è una nostra politica. Noi riteniamo che dei buoni rapporti tra il Kosovo e la Serbia si debbano basare sul principio di reciprocità. Questo significa che la reciprocità rimpiazzerà i dazi al 100%.

Di che reciprocità si tratta?

Tutto ciò che la Serbia impedisce alle nostre aziende ed ai nostri cittadini che operano in Serbia noi lo impediremo ai cittadini serbi sul territorio del Kosovo. La Serbia non può aspettarsi privilegi da parte del nostro paese. La reciprocità è a mio avviso il miglior criterio di eguaglianza tra paesi.

Ma questo non colpirà un certo numero di serbi che vivono in Kosovo?

No, ci assicureremo del fatto che nessun cittadino venga discriminato. Ma se la Serbia desidera investire a favore o aiutare i serbi del Kosovo, deve permetterci di investire o fornire un aiuto simile agli albanesi in Serbia, a Preševo, Medveđa e Bujanovac.

Dopo l’attuazione di questo principio di reciprocità toglierete quindi i dazi?

Sì, non saranno più necessari.

E per la Bosnia Erzegovina?

Ho criticato il governo uscente perché metteva sullo stesso piano la Serbia e la Bosnia Erzegovina. Ritengo che Belgrado abbia fatto soffrire molto sia gli albanesi che i bosniaci e non è giusto che il nostro paese tratti Sarajevo e Belgrado nello stesso modo. Detto questo, che io sappia, 47 delle 52 aziende della Bosnia Erzegovina che esportano merci verso il Kosovo hanno sede nell’entità serba della Republika Srpska. Con il nuovo governo studieremo tutte le possibilità che ci permettano di trattare in modo differente la Serbia dalla Bosnia Erzegovina, perché non vogliamo che la Republika Srpska freni i buoni rapporti che esistono tra albanesi e bosniaci.

Chi condurrà il dialogo con la Serbia nel prossimo futuro? Sino ad ora è stato condotto a livello presidenziale…

Dato che il nostro stato è una repubblica parlamentare sarò io stesso a condurre i negoziati con la Serbia, ma sarò accompagnato da una squadra composta dai partiti della coalizione governativa, di quelli dell’opposizione e di esperti.

Quale il ruolo del presidente Thaçi ?

Il nostro presidente è incaricato di rappresentare il paese all’estero ma non è lui a definire la linea politica. Non è mia intenzione escludere il presidente ma non sarà lui a condurre i negoziati.

Come pensate possa essere l’accordo finale tra il Kosovo e la Serbia?

Io mi impegno per un dialogo che si basi su principi precisi, che sia ben preparato e la cui prima fase non può non essere il dialogo tra Pristina e Bruxelles, indispensabile per definire poi un dialogo con Belgrado. Non posso prevedere l’esito finale ma sono convinto che solo il riconoscimento della Repubblica del Kosovo come stato indipendente da parte della Serbia, la modifica della costituzione della Serbia e la disponibilità di Belgrado a confrontarsi con il proprio passato possano stabilire dei buoni rapporti tra i nostri paesi, la pace e la stabilità regionale.

La comunità internazionale ha affermato a più riprese che le due parti devono essere pronte a trovare un compromesso…

Sino a quando la Serbia non si sarà confrontata con il proprio passato sarà difficile trovare un accordo sostenibile che ci aiuti ad integrarci assieme nell’Unione europea.

Ritenete che siamo ancora lontani dalla firma di un accordo?

Non siamo così vicini come sarebbe auspicabile. Ma questo non dipende dal Kosovo ma dalla Serbia.

Perché dipende dalla Serbia?

La Serbia non può più comportarsi come se fossimo ancora nel XX secolo, deve adattarsi alla nuova realtà. C’è stata una guerra e l’esercito e la polizia serbi hanno ucciso più di 10.000 albanesi. Allo stesso tempo vent’anni fa 860.000 albanesi sono stati espulsi dal nostro paese, nella primavera del 1999, ed ancora non conosciamo la sorte di 1500 dei nostri cittadini. A Batajnica , nei pressi di Belgrado, dove sono stati esumati 744 corpi di albanesi, tra i quali molti bambini, non esiste ancora alcun segno che ricordi che vi sono stati sepolti albanesi uccisi in Kosovo, giustiziati senza processo.

Per arrivare ad un accordo, ad un riconoscimento reciproco, alla riconciliazione ed alla normalizzazione dei rapporti, il Kosovo è pronto a fare un compromesso con la Serbia?

La Serbia deve spiegare perché il Piano Ahtisaari non è sufficiente per i serbi dato che nessun serbo del Kosovo esprime malcontento. Se alcuni si lamentano avviene per le pressioni esercitate da Belgrado. Sono aperto ad un dialogo che riguardi i diritti dei nostri cittadini, i bisogni di tutte le nostre comunità. Al contrario, non sono pronto ad un dialogo che verta sulle ambizioni e l’appetito di Belgrado contro il nostro paese e il nostro territorio.

Cosa pensate dell’ipotesi di ri-demarcazione e spostamento delle frontiere?

Non si può, nel XXI secolo, richiedere una demarcazione tra albanesi e serbi. Vi saranno sempre albanesi in Serbia e serbi in Kosovo. La demarcazione è un concetto razzista al quale non si dovrebbe nemmeno pensare, ancora meno è da rivendicare, se continuiamo a credere nei diritti umani, alla democrazia, alla società moderna.

Vi siete espresso contro l’inclusione di un rappresentante della Srpska Lista nel futuro governo del Kosovo. Avete affermato che questi ultimi dovranno unirsi all’opposizione e che negozierete piuttosto con i rappresentanti di altri partiti serbi, che non hanno però ottenuto seggi al parlamento del Kosovo. Come prevedete si possa integrare altri rappresentanti serbi nel governo dato che su questo sarà necessario il via libera della Srpska Lista?

Personalmente, in politica, non parlo mai di quello che è possibile ma di quello che è giusto. Ed è per questo che dobbiamo parlare innanzitutto con i rappresentanti politici serbi che riconoscono il nostro stato e che desiderano vivere qui, contrariamente a quelli di Belgrado che esercitano pressione sui serbi del Kosovo e che vorrebbero immischiarsi nei nostri affari interni.

Quali sono i politici serbi che riconoscono il Kosovo?

Per esempio Nenad Rašić, Slobodan Petrović, Petar Mitić, tra i molti altri. Voglio cominciare a costruire un nuovo dialogo interno con i serbi che desiderano vivere in Kosovo e che sono indipendenti da Belgrado. Non sarebbe giusto continuare a privilegiare i serbi che ricevono un doppio salario da Belgrado per raggiungere obiettivi molto diversi da quelli che compaiono nel loro ruolo ufficiale.

Anche in veste di primo ministro vi continuerete ad impegnare per l’unificazione di Kosovo e Albania?

Siamo una nazione divisa tra due stati. Mi batterò affinché si sia il più possibile vicini all’Albania e a fare un passo verso l’integrazione. Esistono più di 50 accordi tra Pristina e Tirana, ma la loro implementazione è ancora debole.

Quali principi di governance applicherete una volta in carica?

Faremo entrare nella politica gli ideali e l’etica. Il governo deve essere al servizio dei cittadini. Noi serviamo il popolo e non l’opprimeremo. La nostra politica sarà orientata alla crescita economica, ad un’istruzione di qualità e verso uno stato di diritto che non tollererà la corruzione, né nel governo e nelle sue istituzioni, né nella nostra società.

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