Albania: una riforma contro i media?
Preoccupa l’approvazione da parte del governo albanese di un pacchetto di emendamenti volto a modificare due importanti leggi sui media. E’ il cosiddetto ‘anti-defamation package’ voluto dal premier Rama, che andrebbe a minare l’indipendenza in particolare dei media on-line
La riforma, promossa dal premier Edi Rama sin dall’ottobre 2018 per contrastare la diffusione di fake news, include secondo le più rilevanti organizzazioni di advocacy, una serie di allarmanti disposizioni che mettono a repentaglio non solo l’indipendenza, ma la sopravvivenza stessa di molti media albanesi.
Il via libera lo scorso 3 luglio da parte del Consiglio dei Ministri – per di più arrivato in seguito alla “più grave crisi politico-istituzionale degli ultimi 29 anni di democrazia” – ha provocato, come prevedibile, la ferma condanna da parte delle associazioni della società civile albanese, secondo cui gli emendamenti presentati sarebbero “agli antipodi rispetto alle migliori pratiche internazionali, volte all’autoregolamentazione dei media online e non al loro controllo da parte dello stato attraverso organi di censura amministrativa”.
Sconcerto e preoccupazione sono stati espressi anche a livello internazionale, in occasione di una missione del giugno scorso, durante la quale il Centro Europeo per la Stampa e la Libertà dei Media (ECPMF), Articolo 19, il Comitato per la Protezione dei Giornalisti (CPJ) e la Federazione dei Giornalisti Europei (EFJ), si sono riunite per verificare la conformità della precedente bozza del pacchetto con gli standard definiti dalla legge albanese e da strumenti quali la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.
Più recente è invece la dichiarazione del Centro Europeo ECPMF, che si è unito a Reporters senza Frontiere (RSF), l’Istituto Internazionale della Stampa (IPI), Articolo 19 e l’Organizzazione dei Media dell’Europa sud-orientale (SEEMO), nell’“invitare il governo albanese a ritirare i due disegni di legge”. Come infatti si legge nel comunicato congiunto, “invece di cercare ulteriori regolamenti amministrativi sulla diffamazione, il governo dovrebbe anelare alla sua completa depenalizzazione, come suggerito dalle migliori pratiche internazionali”.
Un’operazione di "cosmesi"
La vicenda ha visto la presentazione di differenti versioni dei progetti di legge, rendendo non semplice l’identificazione di eventuali miglioramenti o criticità. Se nella prima versione, infatti, a preoccupare maggiormente erano le controverse disposizioni relative “alla registrazione e al blocco dei nomi di dominio ”, nell’ultima versione approvata in Consiglio dei ministri questa draconiana eventualità è stata eliminata, rendendo apparentemente meno coercitiva la natura degli emendamenti, che avrebbero altrimenti permesso un vero e proprio “controllo statale sul contenuto dei media online”.
Apparentemente perché, sebbene queste modifiche siano state accolte con favore dalla legal review del Rappresentante OSCE per la libertà dei media, Harlem Désir, numerose rimangono le disposizioni che sembrano presagire un vero e proprio piano di censura travestito da riforma.
Nello specifico, gli emendamenti andrebbero a modificare la legge Nr. 97/2013 sui Media Audiovisivi e la legge Nr. 9918 sulle Comunicazioni Elettroniche nella Repubblica di Albania, sollevando forti preoccupazioni riguardo l’indipendenza dell’Autorità per i Media Audiovisivi (AMA) e l’eventualità di sanzioni eccessivamente rigide che comprometterebbero la sopravvivenza di molti portali.
Troppe, inoltre, rimangono le disposizioni presentate in modo vago e ampiamente interpretabile, che garantirebbero al governo di abusare estensivamente della legge. Ad esempio, il paragrafo 3 dell’articolo 132 della legge sui Media Audiovisivi farebbe riferimento alla possibilità di blocco dell’accesso ad internet “nei casi in cui i servizi di media elettronici ‘possono favorire’ reati tra cui pedopornografia, t[]ismo o violazione della sicurezza nazionale”.
In questo frangente, oltre all’evidente approssimazione terminologica, il problema deriverebbe dal fatto che il riferimento alla natura "temporanea" del blocco sarebbe stato eliminato, aprendo la strada all’interdizione “per un periodo di tempo illimitato o non predeterminato”. E questo si legherebbe, pericolosamente, alla subordinazione dell’Autorità per i Media Audiovisivi alla volontà dei partiti.
Stando infatti alla legal review del Rappresentante OSCE, le nuove disposizioni proposte per gli articoli 132/1, 33/1, 55/1 e 53/1 della legge Nr. 97/2013 garantirebbero all’AMA la facoltà di adottare misure particolarmente restrittive, tra le quali la rimozione forzata dei contenuti. Un problema non indifferente, poiché, come sottolineato da Besar Likmeta, giornalista di Balkan Investigative Reporting Network, l’AMA non sarebbe “un’istituzione indipendente, ma piuttosto un ente statale in cui il Presidente e la maggioranza del Consiglio sono eletti dalla maggioranza al potere in Parlamento. Il Consiglio cambia ogni volta che cambia il governo e lo stesso si può dire per le sue decisioni e la propensione al potere”.
Un parere, quello di Likmeta, che trova riscontro nella dichiarazione recentemente pubblicata da dieci organizzazioni albanesi per i diritti umani, che accusano la riforma di autorizzare “un organo amministrativo statale a regolare il contenuto dei media online, piuttosto che ad affrontare il diffuso problema della propaganda occulta e della disinformazione sponsorizzate dal governo, dalle unità governative locali e dai partiti politici”, contravvenendo di fatto agli standard internazionali e ai principi sanciti dalla Costituzione.
Quanto alle sanzioni, dice Likmeta, queste possono oscillare tra gli 820 e gli 8200 euro “per la non ben definita violazione della ‘dignità e della privacy’ dei cittadini”. Per arrivare – sottolineano poi le associazioni, fino a 820.000 euro nel caso in cui un soggetto si rifiutasse di rispettare “le sentenze/ordinanze dell’AKEP [Autorità per le comunicazioni elettroniche e postali] relative agli atti e alle decisioni del Consiglio per i reclami dell’AMA o di qualsiasi altro organo con competenze legali in questo campo”.
In pratica, come denunciato da diversi stakeholders, l’importo eccessivo di tali sanzioni potrebbe essere interpretato come un tentativo indiretto di minacciare la sopravvivenza di molti providers delle comunicazioni elettroniche, dato che la maggior parte di questi non potrebbe sostenere l’onere di tali ammende.
Tra oligopoli e intimidazioni
Le preoccupanti disposizioni contenute nel pacchetto anti-diffamazione andrebbero quindi a complicare la già disastrosa situazione in cui versano i media albanesi.
Non solo perché il mercato mediatico del paese è altamente concentrato nelle mani di potentati con forti legami politici – che, secondo il Media Ownership Monitor , controllerebbero buona parte delle quote di pubblico e di mercato – ma soprattutto per la tendenza di esponenti politici ad attaccare, verbalmente e legalmente, media e giornalisti indipendenti.
Tra questi spicca proprio il primo ministro Edi Rama, che ha recentemente promesso di citare in giudizio il giornalista investigativo tedesco Peter Tiede in seguito alla rivelazione di alcune intercettazioni, che dimostrerebbero diversi casi di abuso d’ufficio da parte di funzionari del Partito Socialista durante le elezioni locali del 2016 nella municipalità di Dibra.
Un altro caso , portato all’attenzione dal giornalista Artur Cani, riguarda invece Ylli Rakipi e Blendi Fezviu, il cui licenziamento sarebbe stato richiesto direttamente dal premier in un incontro con i proprietari di due emittenti televisive. Rakipi, giornalista investigativo noto per le sue posizioni critiche nei confronti del governo (e oggetto, tra l’altro, di minacce di morte dopo la denuncia di un caso di corruzione relativo alla gara d’appalto dell’Outer Ring Road di Tirana), era già stato querelato per diffamazione da Rama nel gennaio scorso per aver chiamato il primo ministro "un pagliaccio", un "pazzo" e un uomo con "un’intelligenza inferiore alla media".
Un finale già scritto?
Data la solida maggioranza che il premier vanta in Parlamento, non è difficile immaginare che il pacchetto di emendamenti verrà approvato senza troppe complicazioni. Come se non bastasse, qualcuno ha sollevato il pericolo di un colpo di coda da parte del governo, che vedrebbe l’introduzione, prima del passaggio in Parlamento previsto per settembre, di nuove clausole restrittive legate alla registrazione dei media online.
Dal canto loro, le associazioni impegnate nella difesa della libertà di espressione si sono già sintonizzate per opporsi a una riforma che non solo aggraverebbe la critica situazione dei media albanesi, ma che ostacolerebbe il processo di integrazione del paese nell’Unione Europea. Indicative, quindi, le loro parole che ancora nel gennaio scorso erano state indirizzate a Rama per richiedere il ritiro dei disegni di legge: “Nei paesi democratici, lo scopo della legge è quello di proteggere i cittadini dal governo, e non di proteggere il governo dai cittadini”.
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Questa pubblicazione è stata prodotta nell’ambito del progetto European Centre for Press and Media Freedom, cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l’opinione dell’Unione Europea. Vai alla pagina del progetto