Albania: una poltrona per due

Mancano due giorni alle elezioni politiche in Albania. L’esito è ancora del tutto incerto e gli analisti sembrano concordi solo su una cosa: difficile che queste elezioni determinino la svolta che servirebbe al paese. Una rassegna dalla nostra corrispondente

21/06/2013, Marjola Rukaj -

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Tirana, foto di Giorgio Comai

Si è conclusa all’insegna della conflittualità e delle previsioni poco ottimistiche la campagna elettorale in Albania. Le elezioni del 23 giugno – come sostengono ormai tutti – saranno una prova per il paese e un’opportunità per rompere con l’attuale stagnante democrazia autoritaria.

Ma già nel corso della campagna elettorale si è capito che nessuna necessità di cambiamento è sentita da chi vuole continuare a rimanere al potere e non è presa molto sul serio neppure dall’altra metà della costellazione politica albanese.

Sarà un difficile testa a testa tra il premier Berisha, che non accetta neanche lontanamente la possibilità di perdere le elezioni, e Edi Rama il rappresentante dell’Albania moderna e urbana, che dai banchi dell’opposizione in questi anni ha incentivato le crisi politiche con pochi esiti rilevanti, e soprattutto senza riuscire realmente a reinventarsi e cambiare marcia dopo le varie sconfitte subite.

Tra una crisi e l’altra

Le elezioni in Albania più che un momento di confronto tra l’elettorato e i propri rappresentanti sembrano purtroppo essere ormai eventi che scandiscono il tempo tra una crisi politica e l’altra.

Lo schema rimane lo stesso: elezioni svolte con evidenti irregolarità, un sistema di scrutinio lungo e logorante, risultati elettorali complessi a seguito di norme elettorali in vigore che sono poco trasparenti e poco adatte all’Albania, delusione, proteste e intransigenze che bloccano l’intero sistema, togliendo energia ed attenzione dai problemi reali del paese.

Se il cambiamento che tutti si aspettano non avverrà – e di ottimisti al riguardo ve ne sono pochi – anche le elezioni del 23 giugno finiranno per far mantenere lo status quo della crisi perenne, non si attueranno le riforme necessarie all’integrazione del paese nell’UE e gli albanesi continueranno a sprofondare nell’apatia e nella complicità clientelistica.

Paura di violenze

I media albanesi hanno pubblicato più volte delle previsioni preoccupate e preoccupanti a firma di vari think tank internazionali che non escludono tra l’altro violenze.

Per quanto vadano interpretate con cautela, non sembrano ipotesi del tutto campate in aria se si considerano tra l’altro le misure di sicurezza del tutto eccezionali prese in vista del momento elettorale: rispetto alle elezioni del 2009 saranno coinvolti 1000 poliziotti in più, saranno blindate le sedi delle istituzioni centrali e le ambasciate straniere a Tirana, circa 600 edifici, il doppio di quelli messi sotto protezione durante le politiche precedenti. Non da ultimo sarà messo in allerta per casi di emergenza anche l’esercito.

Saranno 564 gli osservatori stranieri in Albania il 23 giugno, tra cui 68 per conto degli USA. Alexander Arvizu, attuale ambasciatore statunitense a Tirana, sarà uno tra loro e in suo aiuto a Tirana arriveranno da Skopje, Pristina e Podgorica altri diplomatici statunitensi. Al di là dell’ironia con cui i media albanesi hanno commentato l’affluire dei numerosi osservatori internazionali, il fenomeno ricorda molto gli anni ’90 e non fa affatto onore al premier Berisha e alla classe politica albanese in generale, che si dimostra proprio come negli anni ’90 insufficiente, immatura e incapace di garantire l’ordine.

Sondaggi

Più sondaggi riportano in testa Edi Rama con un vantaggio di 7-8 punti percentuali sul suo principale contendente Berisha. Nonostante sembri un risultato del tutto plausibile in Albania i sondaggi elettorali sono stati spesso clamorosamente smentiti, anche per via di conteggi elettorali basati sul metodo d’Hondt, un sistema dove non sempre una maggioranza di voti si traduce in una maggioranza di seggi in parlamento.

Una delle grandi sconfitte dell’ultima legislatura, che sta anche alla base delle continue crisi albanesi, è stata l’incapacità di intervenire sulla legge elettorale che è assolutamente inadatta a un paese piccolo e centralizzato come l’Albania. Gli analisti di Tirana hanno spesso definito la legge elettorale in vigore come un’astuzia di Berisha e una svista di Edi Rama.

Non promette bene neppure l’attuale situazione della Commissione Centrale Elettorale, che dovrebbe essere composta da 6 membri proposti dai partiti per rappresentarli in maniera equa nel corso dello scrutinio elettorale. La CCE è rimasta dimezzata lo scorso aprile in seguito a un conflitto tra i suoi membri che ha causato le dimissioni di quelli nominati dal Partito socialista. La CCE è quindi diventata un organismo di parte e potrebbe causare l’impasse istituzionale dato che per regolamento molte procedure richiedono la votazione a maggioranza qualificata e la presenza di tutti e 6 i suoi membri.

Alle urne

La campagna elettorale si è conclusa in modo più dimesso rispetto alle precedenti, meno festeggiamenti con le star del turbofolk e più comizi in prima persona di un Rama apparso ormai esausto e di un Berisha inossidabile ma con la voce rauca e senza tono.

Diversamente dal passato il premier ha investito molto anche sulla sua immagine estetica, probabilmente – come commentano i media di Tirana – ricorrendo agli interventi con botox che stanno andando tanto di moda tra i suoi concittadini, con le pubblicità di chirurgia estetica che invadono spudoratamente ogni angolo di Tirana.

Berisha, il patriarca settentrionale, spesso stigmatizzato per le sue origini contadine e montanare, si è voluto mostrare aperto e alternativo organizzando tra l’altro un incontro con i rappresentanti della comunità LGBT albanese promettendo loro diritti e sostegno e partecipando ad uno dei talk show più pop del momento, dove ha addirittura accettato di fare dell’autoironia sul giubbotto antiproiettile che indossa durante i comizi elettorali.

Sicuramente gli albanesi hanno visto un Berisha nuovo e poco consono a quello tradizionale e conservatore che non aveva mai fatto della sua immagine una priorità. Ma il premier non bada a coerenza se si tratta di guadagnare punti sul proprio rivale.

Inoltre Berisha è stato preso in giro e definito “l’uomo con le forbici in mano” per via delle numerose inaugurazioni di grandi opere pubbliche tra cui non da ultima la galleria che dimezzerà la lunghezza del collegamento stradale tra Tirana e Elbasan (anche se, secondo alcuni esperti del settore, la galleria è di fatto ancora in fase di costruzione).

L’integrazione dell’Albania alla NATO è stata un’altra carta vincente che Berisha si è ampiamente giocato, invitando l’ex segretario di stato Donald Rumsfeld a Tirana per consegnargli una bandiera albanese come riconoscenza per il suo contributo nei progressi dell’Albania in questo specifico settore.

La riconoscenza a Rumsfeld va interpretata su più piani, non da ultimo come gesto di riconciliazione con gli USA, visto che ultimamente i rapporti del premier con l’attuale ambasciatore statunitense hanno minato non poco il mito della grande amicizia tra i due paesi. Ma l’apparizione di Berisha con Rumsfeld è risultata ambigua agli occhi degli albanesi. Al fianco di Rumsfeld hanno visto riabilitato Fatmir Mediu, ministro della Difesa, per molti dietro ad una delle sentenze più scandalose della giustizia albanese post-indipendenza: quella sulla strage di Gerdec. Quindi la celebrazione dell’integrazione nella NATO ha ricordato a molti anche il lato più oscuro del governo Berisha.

Il 23 giugno è ormai alle porte. L’esperienza insegna che non basteranno pochi giorni per capire l’esito elettorale e per avere un nuovo governo. Anche questa volta il processo di scrutinio inchioderà davanti alle TV molto a lungo gli albanesi. Quello che tutti si augurano è però che l’intero processo elettorale sia pacifico e non comporti il ritorno delle crisi del passato, che sarebbero la pietra tombale per il paese e le sue ambizioni europee.

 

Questa pubblicazione è stata prodotta con il contributo dell’Unione Europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l’opinione dell’Unione Europea. Vai alla pagina del progetto Racconta l’Europa all’Europa

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