Albania-UE: oltre l’ennesima candidatura bocciata

Nel dicembre scorso il Consiglio europeo ha rigettato l’assegnazione all’Albania dello status di candidato all’integrazione. Bocciatura che brucia ma, secondo alcuni analisti, potrebbe far bene

10/01/2014, Marjola Rukaj -

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Fallimento (flickr/FLEE)

L’Albania dovrà aspettare il prossimo giugno per diventare – se tutto va bene – paese candidato UE. Lo scorso dicembre i ministri degli Esteri europei hanno infatti nuovamente bocciato il paese balcanico.

Ben 5 paesi si sono opposti esplicitamente alla candidatura dell’Albania: la Francia, la Germania, il Regno Unito, l’Olanda e la Danimarca. E’ l’ennesimo tentativo fallito dell’Albania che però, a parte la frustrazione attuale, potrebbe trasformarsi in un utile stimolo al governo Rama per concretizzare le riforme andando oltre la seppur promettente facciata mostrata in questi mesi.

Le ragioni del bastone

L’Albania ha avviato le riforme necessarie a raggiungere gli standard UE però dovrebbe impegnarsi di più. E’ questa in sintesi la motivazione che avrebbe spinto i cinque paesi scettici a votare contro la candidatura dell’Albania. Il vago politichese di Bruxelles è diventato per alcune settimane tema del giorno tra i politici locali e internazionali a Tirana.

“Quest’anno in Albania ci sono stati degli sviluppi importanti”, ha dichiarato il commissario europeo per l’allargamento Stefan Füle, puntando soprattutto alle elezioni dello scorso giugno 2013 e alla buona volontà espressa dal governo Rama nella lotta contro la corruzione e il suo impegno ad attuare le necessarie riforme. “Abbiamo un appuntamento per giugno e io sono fiducioso del fatto che se l’Albania continua di questo passo, otterrà lo status di paese candidato” ha continuato Füle.

Toni positivi anche nel discorso dell’ambasciatore tedesco a Tirana, Hellmut Hoffmann: “Bisogna concentrarsi sulla buona notizia, i ministri degli esteri dell’UE hanno riconosciuto il progresso dell’Albania e hanno stabilito una data operativa per la concessione dello status”.

Meno entusiasta e più critico invece nei confronti della decisione è stato Eduard Kukan presidente della delegazione per l’Europa Sudorientale presso il Parlamento Europeo. “Era noto a tutti che alcuni paesi UE erano scettici. Ma alla fine tutti speravamo che l’Albania questa volta ottenesse lo status di paese candidato – ha detto Kukan in un’intervista alla radio Deutsche Welle – la concessione dello status si sarebbe tradotta in un segno di incoraggiamento per i politici albanesi”.

Sui motivi che hanno spinto i cinque paesi scettici a esprimere il parere negativo Kukan ha commentato: “Da quel che ho capito questi paesi esigono qualcosa di più rispetto all’atmosfera promettente nel paese. Esigono prove che garantiscano risultati concreti”.

Scaricabarile

In Albania invece si è attivato il solito scaricabarile delle colpe e delle responsabilità. “E’ ancora molto fresco il ricordo del governo precedente, delle numerose leggi e della scarsa volontà di attuarle, in particolar modo nella lotta contro il crimine organizzato e la corruzione”, ha risposto Edi Rama alle accuse dell’opposizione.

Tra l’impegno di intraprendere le necessarie riforme e la volontà di interpretare in maniera costruttiva la cattiva notizia, il premier albanese non ha esitato a commentare lo scetticismo nei confronti dell’Albania come un messaggio politico compiacente rivolto dai politici UE ai propri elettori più conservatori, in vista delle prossime elezioni europee.

Il capro è musulmano

Oltre alle accuse reciproche come al solito poco costruttive, il rifiuto dello status questa volta ha portato alla ribalta un nuovo capro espiatorio che è anche un vecchio fantasma della geopolitica emozionale all’albanese: la religione islamica della maggioranza degli albanesi, il timore di avere un’immagine internazionale da paese musulmano e una celata islamofobia associata alle ambizioni euro-atlantiche dell’Albania.

I rapporti complessi degli albanesi con l’Islam risalgono agli albori del nazionalismo albanese, e risentono di non poco del retaggio del regime nazional-comunista, della confusione degli anni ’90 e del filo-cattolicesimo di alcuni politici e intellettuali di spicco.

Niente meno che Ilir Meta, figura chiave delle ultime coalizioni elettorali, e braccio destro dell’attuale premier, ha affermato ai media albanesi che il rifiuto della candidatura dell’Albania sia da attribuire al fatto che il paese balcanico aderisce all’Organizzazione per la Cooperazione Islamica.

I media albanesi hanno fatto il resto arrotondando le parole di Meta con titoli bombastici: “Non ci hanno dato lo status perché siamo musulmani”. Ne è scaturito un dibattito che ha visto per lo più coinvolti intellettuali vicini al clero musulmano e a quello cattolico, che con toni critici hanno condannato l’irresponsabilità e la strumentalizzazione della religione da parte di Ilir Meta.

Identità

La buona notizia è che tuttavia nel dibattito non hanno partecipato intellettuali attivi e di spicco come avvenuto invece in passato: basti ricordare la lunga polemica tra lo scrittore Ismail Kadaré e l’intellettuale kosovaro Rexhep Qosja sull’identità europea degli albanesi.

Si direbbe che, dopo tutto, gli albanesi hanno iniziato ad accettarsi nella propria molteplicità culturale, religiosa e linguistica (dopo l’indipendenza del Kosovo) senza imporsi dei modelli di identità che facciano comodo alla diplomazia albanese.

La classe politica invece – come sostiene nel suo blog “Diary of Tirana” il giornalista Gjergj Erebara – sembra essere rimasta emozionale ed estranea alla logica della realpolitik e “considera gli albanesi un gregge emotivo incapace di analizzare in maniera pragmatica, e di capire che il rifiuto da parte di Bruxelles è da fatturare solo alla classe politica albanese, alla sua corruzione e allo scarso rispetto per lo stato di diritto”.

Spauracchio

L’adesione all’Organizzazione per la Cooperazione Islamica, per iniziativa di Sali Berisha nel 1992, è da sempre considerata una palla al piede dai politici albanesi. Addirittura tra i leaks riguardanti il paese balcanico, pubblicati da Wikileaks, vi sono dialoghi alquanto comici in cui l’ex ministro degli Esteri Besnik Mustafaj chiedeva all’allora ambasciatrice americana Marcie B. Ries se fosse opportuno per l’Albania abbandonare la Conferenza Islamica.

Quest’ultima replicava però ponendo l’accento sul cospicuo potenziale diplomatico in quanto mediatore tra il mondo islamico e le istituzioni euro-atlantiche. Simili pareri risultano in altri leaks pronunciati da altri diplomatici occidentali.

Che la diplomazia albanese non abbia prodotto nessun risultato concreto a livello internazionale nei legami col mondo islamico è un altro discorso, che la dice lunga sulle caotiche strategie diplomatiche del paese balcanico.

Inoltre sono stati non pochi i vantaggi economici che il paese balcanico ha ottenuto dai rapporti con i paesi arabi, l’ultimo della serie: un finanziamento ottenuto di recente dal governo Rama per la realizzazione dell’autostrada Tirana-Elbasan.

Elezioni

Avvicinandosi alle prossime elezioni europee e al populismo di alcuni partiti che l’appuntamento alimenta è certo che le politiche dell’allargamento europeo saranno poste sotto pressione. Ma questo non riguarda solo l’Albania e la maggioranza musulmana degli albanesi. Basti pensare alle ultime campagne di panico amministrativo contro potenziali migranti romeni e bulgari nel Regno Unito.

“Siamo sia musulmani che cristiani”, ha affermato il premier Edi Rama qualche giorno dopo la dichiarazione di Ilir Meta, cercando di correggere la gaffe del compagno di viaggio.

Il tempo dimostrerà se si tratta di parole formali e di circostanza, o di una svolta della classe politica albanese che dovrebbe finalmente decidersi a rappresentare il suo elettorato nella sua molteplicità culturale e religiosa, lontano dai soliti alibi controproducenti.

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