Albania: rifiuti, apertura all’importazione
Era stata una delle prime iniziative politiche del governo Rama: bloccare l’importazione dall’estero di rifiuti. Ora, riapre, tra le critiche di opposizione e ambientalisti
Il 22 settembre il Parlamento albanese, con soli 63 voti a favore (su un totale di 140 seggi), ha approvato la legge numero 92/2016, modificando una precedente legge del 2011 sul trattamento dei rifiuti nel paese. A sostegno della necessità della modifica i relatori della legge hanno citato il fatto che così l’Albania si adegua ulteriormente alla direttiva UE 1013/2006 sulla circolazione dei rifiuti e ai bisogni dell’industria del riciclo locale.
La precedente legge del 2011 permetteva l’importazione di rifiuti di plastica, legno, carta e alluminio ma il governo Rama, non appena si insediò, tre anni fa, ne bloccò l’esecutività, sostenendo che gli ispettorati ambientali e le dogane non erano in grado di impedire anche l’entrata su territorio nazionale di rifiuti nocivi. Il governo sostiene che ora il sistema di controllo è più efficace, con dogane e laboratori più competenti che in passato negli accertamenti qualitativi dei rifiuti. Per poter importare rifiuti le aziende già in possesso di licenza e infrastrutture per il riciclo dei rifiuti, dovranno comunque dotarsi di un permesso governativo da rinnovare ogni due anni.
L’importazione di rifiuti potrà avvenire solo in tre punti doganali che verranno definiti dai ministeri delle Finanze e dell’Ambiente. Uno di essi dovrebbe essere il porto di Durazzo. L’import dovrebbe poi riguardare solo un numero limitato di materie appartenenti alla lista internazionale verde dei rifiuti, elenco che esclude quelli nocivi. La nuova legge vieta inoltre espressamente anche l’importazione in Albania di rifiuti non nocivi per essere inceneriti all’interno del paese.
Un tema sensibile
Il tema rifiuti è molto sensibile nel paese balcanico, molto inquinato dai rifiuti generati al suo interno, e l’approvazione della legge ha scatenato forti reazioni da parte dei partiti d’opposizione e da parte di ambientalisti e di alcuni giornalisti molto seguiti.
Per evitare proprio le probabili contrapposizioni con la società civile ambientalista, in sede di discussione nella commissione parlamentare che ha prodotto le modifiche alla legge, il deputato del Movimento Socialista per l’Integrazione Petrit Vasili aveva proposto “last minute” un emendamento per includere proprio i rappresentanti della società civile nell’intero processo: l’emendamento, poi divenuto parte integrante della legge, prevede che osservatori della società civile, dopo essersi dotati di un’autorizzazione governativa, monitorino direttamente alle dogane come avvengano i controlli sulle materie importate. Troppo poco per accontentare gli attivisti che hanno manifestato contro la legge di fronte al Parlamento il giorno dell’approvazione delle modifiche e ancora il 1 ottobre, nel centro di Tirana.
I raduni sono stati meno consistenti di quelli del 2013 contro lo smaltimento in Albania dell’arsenale chimico siriano ma abbastanza numerosi da far capire che la pattuglia degli attivisti è abbastanza motivata dal non rinunciare alla battaglia contro l’esecutivo. Nei giorni scorsi molti di loro hanno raccolto ad esempio l’invito del deputato socialista Ben Blushi a scrivere sui cassonetti i nomi dei politici che hanno votato a favore delle modifiche alla legge.
Discarica d’Europa?
La società civile ambientalista, riunitasi dal 2011 attorno alla sigla AKIP (L’Alleanza contro l’importazione dei rifiuti), teme che le modifiche alla legge permettano l’entrata in Albania di rifiuti nocivi e che il paese divenga una discarica d’Europa. Per gli attivisti questo paese non può permettersi l’import di rifiuti dall’estero.
I rappresentanti delle aziende coinvolte sostengono di aver bisogno di importare rifiuti per garantire un adeguato funzionamento del sistema riciclo mentre il governo afferma che i permessi alle importazioni verranno rilasciati tenendo conto della capacità di riciclo di queste industrie per evitare altri problemi ambientali.
In un videomessaggio pubblicato sulla propria pagina Facebook a seguito della protesta del 1 ottobre il premier Edi Rama ha ammesso che il governo non ha informato abbastanza l’opinione pubblica del contenuto delle modifiche alla legge ma ha insistito sul fatto che il proprio governo tiene in alta considerazione nella sua agenda il progetto di un’Albania verde e meno inquinata di quella attuale. Sia lui sia il vicepremier Niko Peleshi hanno chiarito comunque che il governo non intende fare marcia indietro rispetto alle modifiche approvate in parlamento il 22 settembre scorso.
La situazione è drammatica
Resta il fatto che in Albania manca un sistema integrato di trattamento dei rifiuti per il riciclo. Nel paese vengono annualmente generate circa 387.000 tonnellate di rifiuti all’anno di cui ne viene riciclato solo il 17%, la restante parte viene lasciata in grandi punti di raccolta all’aria aperta, interrata o bruciata non industrialmente.
Non esistono cassonetti di raccolta differenziata dei rifiuti, che viene fatta da raccoglitori individuali (molti appartenenti alla comunità rom, la più povera del paese) direttamente nei cassonetti o da altri punti di stoccaggio. I raccoglitori li portano poi per rivenderli nei grandi punti di stoccaggio o direttamente alle aziende interessate.
Dopo la riforma territoriale del 2014 è obiettivo del governo e delle istituzioni locali aumentare la percentuale dei rifiuti riciclati, ma passi in tal senso sono ancora di là a venire. Secondo quanto fatto sapere negli ultimi tempi, la capitale Tirana dovrebbe essere, nei prossimi mesi, la prima città albanese a cominciare ad attuare la raccolta differenziata dei rifiuti nei cassonetti.
Dopo il voto parlamentare del 22 settembre la palla passa ora al Presidente della Repubblica Bujar Nishani, che potrebbe non firmare la legge e rinviarla al parlamento per un’ulteriore revisione. Questo rallenterebbe i tempi di esecutività della legge ma il parlamento, attraverso un nuovo voto della maggioranza, potrebbe rigettare l’invito presidenziale alla revisione. La società civile ha espresso come suo obiettivo la revoca della legge o, se quest’eventualità non si verificasse, la raccolta di firme per organizzare un referendum abrogativo, come già riuscito nel 2013. Allora il referendum non si tenne, anticipato dal blocco che il governo Rama impose alla legge del 2011. Ora anche il Partito Democratico d’opposizione sostiene un’eventuale iniziativa di referendum. Lo scontro è destinato a perdurare.