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Albania: proteste studentesche, una scossa all’apatia
L’aumento delle rette, la bassa qualità dell’insegnamento e la mancanza di infrastrutture nelle università pubbliche albanesi hanno portato ad un ampio malcontento tra gli studenti. Che stanno occupando le piazze di Tirana e di altre città universitarie
Intonando lo slogan “Quando l’ingiustizia si fa legge, resistere diviene un dovere” gli studenti delle università pubbliche albanesi stanno manifestando da più di una settimana nel centro di Tirana. La scintilla che ha acceso le manifestazioni è stata la decisione governativa di obbligare gli studenti al pagamento di un’ulteriore tassa di circa 5 euro per ogni credito ottenuto in esami che si recuperano da anni precedenti. In media ogni esame garantisce dai 5 ai 9 crediti e questo significa una sovratassa per esame dai 30 ai 45 euro.
Il boicottaggio delle lezioni è iniziato lo scorso martedì 4 dicembre al dipartimento di Pianificazione urbana dell’Università di Tirana e si è propagato con una sorta di reazione a catena in tutte le altre università pubbliche. La prima reazione ufficiale delle istituzioni è arrivata attraverso i profili social del primo ministro Edi Rama che ha chiamato i manifestanti ‘ripetenti’. Un’allusione che non ha fatto che accendere ancora di più la rabbia e la delusione degli studenti nei confronti del governo e della classe politica in generale.
La riforma del 2015
L’attuale stallo nel settore universitario è il risultato di una riforma adottata dal governo nel 2015, basandosi sul sistema anglo-sassone nonostante l’Albania non abbia mai fatto parte di tale tradizione. Una delle novità introdotte allora fu quella di una competizione tra università pubbliche e private per accaparrarsi fondi statali senza tenere conto che quelle pubbliche versavano in condizioni pessime. Attualmente in Albania vi sono 40 università di cui 16 pubbliche e 24 private. L’Università di Tirana è quella dalla tradizione più antica ma che si trova ad affrontare le principali difficoltà in termini di infrastrutture tecniche, librerie, sale studio e dormitori per studenti.
Secondo una recente pubblicazione dell’Istituto nazionale di statistica albanese il maggiore incremento nell’ultimo anno delle spese per una famiglia è stato proprio nel settore dell’educazione dei figli, con un più 2,3% rispetto all’anno precedente. Per contro il reddito medio mensile ha subito, sempre in riferimento all’anno scorso, un decremento del 3% ed ammonta attualmente a 400 euro al mese. La spesa pubblica per il settore educazione ammonta invece al 3,1% del Pil nazionale.
Università pubbliche sull’orlo del collasso
Per “sopravvivere” le università pubbliche hanno chiesto che venissero alzate le tasse universitarie, ampliato il numero di studenti a cui viene dato accesso agli studi universitari e la creazione di nuovi corsi di laurea, che però non è detto corrispondano ad effettive esigenze del mercato del lavoro. Un primo grave segnale di difficoltà finanziaria delle università pubbliche albanesi era già emerso nel mese di febbraio quando una delle facoltà dell’università di Tirana non è stata più in grado di pagare gli stipendi del corpo docente. Il governo intervenne allora per sbloccare la situazione, ma non affrontando alla radice il problema.
Nonostante il governo abbia già annunciato di aver ritirato la tassa aggiuntiva sugli esami universitari le proteste stanno proseguendo. Gli studenti chiedono un aumento sensibile del budget statale destinato alle università pubbliche, una riforma della legge sull’educazione universitaria e sul settore della ricerca scientifica, il miglioramento della qualità dell’insegnamento e delle infrastrutture, un accesso più trasparente alle pubblicazioni sulle riviste accademiche e la lotta contro le pratiche corruttive di alcuni professori. Gli studenti hanno sottolineato che sia necessario, come prerequisito, considerare l’educazione come un diritto umano e non un bene ad appannaggio esclusivo di alcune categorie sociali.
I tentativi, falliti, di mediare
Al ripetuto invito del primo ministro Edi Rama di eleggere un gruppo di rappresentanti per avviare un dialogo diretto con il governo, per ora i dimostranti non hanno risposto positivamente: temono infatti interferenze politiche dato che sono già emersi tentativi da parte dell’attuale opposizione di prendere il controllo e strumentalizzare le proteste studentesche.
Quest’ondata di proteste coincide con il 28mo anniversario delle proteste che nel 1990 portarono alla fine della dittatura comunista in Albania. Con lo stesso slogan “Vogliamo l’Albania come l’intera Europa” le dimostrazioni di questi giorni hanno dato una scossa alle generazioni più giovani dando un segnale che la costruzione di un paese migliore in cui vivere è possibile.
Molti i messaggi di sostegno arrivati anche da studenti albanesi all’estero attraverso i social media. Posizioni a sostegno delle loro proteste sono arrivate anche da accademici, personalità pubbliche e da esponenti della Chiesa cattolica.
Dopo due giorni di pausa, gli studenti torneranno oggi in piazza sino a quando, hanno affermato, il governo non avrà adottato le misure necessarie per adempiere alle loro richieste.