L’opposizione albanese prosegue il boicottaggio del Parlamento, non si registra per le elezioni politiche previste in giugno e minaccia di voler ostacolare il regolare svolgimento del processo elettorale. Questa settimana è fallita anche la mediazione di una delegazione del Parlamento europeo, percepita come ultimo tentativo per uscire dalla crisi.
Fuori dal parlamento
L’opposizione albanese è in piazza da oltre due mesi per chiedere le dimissioni del premier socialista Edi Rama e l’istituzione di un governo tecnico che porti il paese alle elezioni del 18 giugno, garantendo così, a suo dire, standard di equità e democrazia. Oltre al boicottaggio del parlamento, il Partito democratico e altri 22 partiti di opposizione hanno lasciato scadere tutti i termini per la registrazione alle elezioni politiche presso la Commissione Elettorale Centrale. Dal tendone allestito davanti al Palazzo del governo, il leader del Partito democratico Lulzim Basha è apparso sempre meno aperto verso qualsiasi possibilità di dialogo che non consista nella determinazione del mandato del governo tecnico ed ha assicurato che l’opposizione non intende né partecipare ad un processo elettorale di facciata, né consentire il regolare svolgimento delle elezioni.
Una “prova generale” di quello che potrebbero essere delle elezioni senza l’opposizione si avrà già il prossimo 7 maggio, quando a Kavajë si terranno le elezioni anticipate per eleggere il nuovo sindaco della città. A dicembre, l’ex sindaco socialista Elvis Rroshi era stato destituito a causa della legge sulla decriminalizzazione, quando a suo carico era emersa una condanna in Italia per violenza sessuale e due decreti di espulsione dalla Svizzera per spaccio di narcotici. Attualmente in gara c’è solo il candidato del Partito socialista ed un altro candidato indipendente, mentre l’opposizione non ha espresso candidature ed ha lasciato intendere nei giorni scorsi di voler ostacolare lo svolgimento del processo elettorale.
Ancora nessun dialogo possibile
Da parte sua, il premier albanese e leader del Partito socialista, Edi Rama, si è mostrato disposto a dialogare con l’opposizione, ma irremovibile sulla possibilità di lasciare l’incarico. Le elezioni si svolgeranno nella data stabilita dalla Costituzione, con o senza l’opposizione, afferma Rama, mentre il mandato dell’esecutivo è una chiara espressione della volontà dei cittadini albanesi ed è al loro giudizio che devono sottostare anche i partiti politici.
Meno perentorio invece il leader del Movimento socialista per l’integrazione Ilir Meta, principale alleato dei socialisti al governo, che ha più volte fatto appello al dialogo e – cambiando il lessico ma non i contenuti – ha mostrato apertura verso un eventuale governo “di fiducia”. Meta ha quindi dato la piena disponibilità del suo partito a rinunciare a tutti gli incarichi a livello politico e governativo se questo dovesse servire ad avere anche l’opposizione all’appuntamento elettorale.
I due leader della maggioranza si sono più volte incontrati nelle ultime settimane, ma oltre alla crisi con l’opposizione, devono anche fare i conti con diatribe interne. Pubblicamente entrambi hanno espresso disponibilità a rinnovare l’alleanza sancita nel 2013, ma un accordo formale non è ancora arrivato e il termine per la registrazione delle coalizioni è – anch’esso – scaduto pochi giorni fa.
Problemi di coordinamento sono emersi anche per l’elezione del prossimo presidente della Repubblica. Il mandato dell’attuale Presidente Bujar Nishani scade il 24 luglio e la Costituzione prevede cinque votazioni per eleggere il successore. La maggioranza ha i voti, ma non ha ancora presentato alcuna candidatura, facendo fallire le prime due votazioni. Se non si dovesse arrivare ad un accordo entro l’11 maggio, il paese andrebbe alle elezioni anticipate, la cui data però coincide con quelle già in programma.
La mediazione degli internazionali
Gli interventi della comunità internazionale sono fino ad ora stati unanimi. Il Dipartimento di Stato degli USA, la Missione Osce a Tirana e l’Alto Rappresentante Ue Federica Mogherini hanno tutti invitato le forze politiche a partecipare alle elezioni nella data stabilita, richiamandole alla responsabilità e al rispetto delle istituzioni.
Nel tentativo di superare la crisi, la maggioranza ha chiesto infine anche la mediazione del Partito popolare europeo, raggruppamento a cui aderisce il Partito democratico albanese. Questa settimana sono arrivati a Tirana il tedesco David McAllister, vice Presidente del PPE e a capo della Commissione esteri del Parlamento europeo e l’europarlamentare e relatore per l’Albania Knut Fleckenstein. La loro proposta prevedeva il rinvio di un mese delle elezioni e la nomina di alcuni ministri tecnici, ma non le dimissioni del premier ed è stata quindi respinta dall’opposizione.
Riforma giudiziaria ancora ferma
Lo stallo in cui si trova la politica albanese ha già avuto ripercussioni sul processo di attuazione della riforma del sistema giudiziario, approvata all’unanimità lo scorso luglio. La normativa è stata sostenuta in ogni passaggio dall’Unione europea e dagli Stati Uniti ed è la principale condizione per l’apertura dei negoziati con Bruxelles.
Nell’ultimo mese, il parlamento albanese ha approvato la costituzione di due commissioni ad hoc che avranno il compito di selezionare i membri delle strutture che effettueranno il processo di “vetting”, fulcro dell’intera riforma giudiziaria, che prevede un processo di valutazione in termini di professionalità e soprattutto di integrità degli 800 giudici e procuratori dell’Albania. Si tratta però di commissioni composte a pari numero fra maggioranza e opposizione e finché quest’ultima non nominerà i propri rappresenti il processo non potrà partire.
Dalla piazza, Lulzim Basha ha però definito la normativa “un progetto mafioso”, sostenuto da diplomatici corrotti che intendono consegnare la giustizia nelle mani del premier Rama. Da qui anche il dubbio che il boicottaggio dell’opposizione serva al Pd non solo a rinviare il confronto elettorale, ma anche a dilatare ulteriormente i tempi della riforma della giustizia albanese.
L’ultima parola a Basha
Che queste mosse radicali di Lulzim Basha fossero un tentativo disperato, condizionato dalla prevedibile sconfitta contro un centrosinistra che unito le elezioni le vince a man bassa, era apparso evidente a tutti. In effetti l’enorme tendone allestito in centro a Tirana può aver contribuito ad aver dato “corpo” ad un Partito Democratico che sembrava a rischio disfacimento e troppo debole e troppo poco incisivo per essere visto come un’alternativa alla sinistra al potere.
Avere dismesso l’abito e la cravatta a favore di jeans e giacca di pelle ha dato fisicità ad un leader fino ad ora in ombra. La voce sempre più rauca a causa dei comizi quotidiani potrebbe ora risuonare più forte e rassicurante per i fedelissimi del Pd. Il linguaggio aggressivo e le posizioni sempre più radicali sono evidentemente un passo indietro per tutta l’opposizione, ma sembrano aiutare Basha a mantenere salda la leadership del partito.
Ad oggi, se non altro formalmente, sono ancora tutti con lui, fuori dal parlamento e dentro il tendone. Che tutto ciò vada contro gli interessi del paese è invece un problema che la leadership del Pd in questi 27 anni non si è mai posta.