Albania, l’inquieta fase postelettorale
A due settimane dal voto del 18 febbraio non c’è pace nel mondo politico albanese. Cresce la tensione tra maggioranza e opposizione. Entrambi gli schieramenti si apprestano a cambiamenti interni. A giorni il "Berisha 2"
Durazzo ed Elbasan ancora senza sindaco
Dopo votazioni esemplari per ordine e civiltà, Durazzo si è vista rompere le uova nel paniere dal ripensamento dello sconfitto Teliti che, dopo aver riconosciuto la vittoria dell’avversario socialista Dako, ha accampato l’invalidità di 1200 schede. L’esito della consultazione è rimesso al giudizio della Commissione Elettorale Centrale, che dovrebbe pronunciarsi il 13 marzo.
Ancora più tesa la situazione a Elbasan, dove la "Grande Alleanza" di destra sostiene che non si sia votato in un seggio e pretende l’annullamento delle elezioni, che vedono in vantaggio il socialista Sejdini. Anche in questo caso, il verdetto è stato rimandato al 13 marzo.
Se a sangue caldo il leader del Partito Socialista (PS) Edi Rama e quello del Movimento Socialista per l’Integrazione (LSI) Ilir Meta avevano minacciato di "ergere barricate umane" per difendere la vittoria dell’opposizione nelle due città, col passare dei giorni si è passati dai fatti alle parole – attacchi durissimi contro la Commissione Elettorale Centrale e il suo presidente Gjata. Scagliandosi contro quest’ultimo, Rama lo ha accusato di "aver rimesso il suo mandato nelle mani della politica di Berisha, facendosene strumento nel violare la volontà popolare". Denunciando "il degrado allarmante del processo elettorale a causa delle pressioni politiche", il leader socialista si è detto "dispiaciuto perché il primo ministro non sa accettare la sconfitta entro gli standard democratici e sta manifestando un’inquietante negligenza nel porre fine a queste consultazioni".
Verso il "Berisha 2"
L’opposizione vittoriosa ha dovuto accantonare il proposito di andare a elezioni anticipate sotto pressione della comunità internazionale, che sconsiglia di tenere altre tornate prima di aver risolto la questione dei registri anagrafici ed elettorali e dei nuovi documenti d’identificazione.
Da parte sua, Berisha si trova a combattere su due fronti, quello esterno di un Rama uscito rafforzato dal duello del 18 febbraio e quello interno di un rimpasto governativo obbligato.
Come previsto all’indomani delle elezioni, il premier ha trascorso le ultime due settimane in intensi colloqui con gli alleati, annunciando radicali cambiamenti nel suo gabinetto di governo. Senza nominare la sonora sconfitta, Berisha ha giustificato il rimpasto "per accelerare le riforme, che sono lo scopo principale del governo". Secondo il presidente del Consiglio "bisogna esaminare attentamente l’operato di tutti i dicasteri in rapporto alle riforme, che sono vitali quanto l’aria per l’Albania". E gli alleati minori della coalizione di destra sono immediatamente accorsi a reclamare ciascuno un dicastero importante, che il premier difficilmente potrà loro negare.
Qualche giorno dopo, Berisha ha dichiarato di essersi accordato col Partito Democristiano, che ha chiesto e ottenuto il ministero della Sanità, dove si insedierà lo stesso leader Ndoka. Questo è l’unico dicastero del quale si sa qualcosa di certo: per il resto, Berisha non ha reso pubblici i nomi dei nuovi ministri e tenta di mantenere il massimo riserbo. La presentazione del nuovo gabinetto, attesa invano per la settimana scorsa, dovrebbe avvenire entro il 14 marzo, quando il premier turco Erdogan sarà in visita ufficiale in Albania.
Il ritardo nella formazione e nell’investitura del "Berisha 2" è dovuta al dilemma del capo del governo sul da farsi coi ministri più chiacchierati in questi giorni – Basha, Rusmajli, Leskaj, Bode, Bumçi e gli altri che, il 18 febbraio, hanno visto il Partito Democratico (PD) perdere nei feudi che li hanno eletti deputati nel 2005. Trattandosi di membri del suo partito, Berisha sembra esitare innanzi a sovvertimenti troppo drastici e pare propenso a ritoccare solo i dicasteri minori e quello degli Interni, lasciato vacante dal mancato sindaco di Tirana Olldashi. D’altra parte, il premier deve tener conto della corrente interna che rivendica mutamenti radicali anche ai vertici dei ministeri principali. Il capo dell’esecutivo deve quindi nominare figure al di sopra di ogni pettegolezzo e illazione, nomi che contribuiscano a sedare lo scontento interno ed esterno al suo partito.
E così, alla vigilia della presentazione del "Berisha 2", il toto-ministri impazza. Pare certo che gli alleati del PD manterranno i dicasteri finora ricoperti, mentre si prevedono movimenti nei grandi ministeri detenuti dal PD. Significativa anche l’annunciata scissione tra il ministero dell’Economia e quello dell’Energia: quest’ultimo diverrà una direzione a parte sotto la giurisdizione diretta del primo ministro, che intanto ha licenziato il direttore della Corporazione Elettro-energetica (KESH), Andi Beli, tacitamente imputato del nervosismo popolare dovuto ai balckout degli ultimi mesi.
Altra ragione del ritardo del "Berisha 2" sono le elezioni per il deputato di Shijak, tenutesi domenica 11, che il PD deve vincere ad ogni costo. Le consultazioni si sono svolte in un clima di alta tensione e sono già oggetto di un feroce scontro tra maggioranza e opposizione.
In ogni caso, la sinistra preannuncia che dagli ujditë ("inciuci") uscirà "un governo creato sottobanco per soddisfare gli appetiti degli alleati, e non una degna rappresentanza della volontà popolare". L’opposizione accusa la nuova ricomposizione governativa di essere "una convivenza forzata per protrarre il mandato della maggioranza anziché realizzarne meglio i programmi".
Riforme a sinistra
Anche il PS naviga in acque inquiete e sta intraprendendo un processo di profonda trasformazione della sua struttura organizzativa, per creare quella che Rama definisce "la sinistra del futuro".
La complessa e forse dolorosa operazione parte dalla riflessione sui risultati del 18 febbraio. Oggetto delle discussioni di questi giorni sono state l’analisi della sconfitta in alcuni bastioni tradizionali del PS – quali Përmet, Tepelena e Saranda, dove si erano presentati "candidati socialisti indipendenti" – e le riforme da attuare in vista delle elezioni interne, previste a primavera per i dirigenti locali e a fine anno per il presidente e gli organi supremi del partito.
Se i critici sostengono che Rama proverà a piazzare i suoi fedelissimi nelle posizioni chiave del PS, sbarazzandosi una volta per tutte dell’eredità dell’ex premier Fatos Nano, il nuovo leader socialista ha dichiarato al contrario che "il PS non diventerà un mattatoio dove tagliare teste" e che "non sarà un dramma se qualcuno se ne andrà per lasciare posto ad altri più energici e responsabili".
Nel mirino di Rama rientrano in primis quanti alle locali hanno corso in maniera indipendente – un atto che ha penalizzato non solo i candidati sconfitti nella tornata, ma anche i deputati che li hanno sostenuti, tra cui Nano, Bufi, Islami, Malaj, Ruçi, Majko, Dade e altri pezzi da novanta del PS. Per quanto riguarda i candidati in sé, "gli indipendenti non sono più con noi", ha sentenziato Rama, perché "secondo lo statuto del partito chi si è presentato da solo è automaticamente fuori dal PS".
La riforma organizzativa del partito prevede invece una maggior capillarizzazione a livello locale e l’elezione dei dirigenti secondo il principio "un membro, un voto". Se Rama riuscirà nel suo intento, questa sarà la riforma strutturale più drastica mai attuata nel Partito Socialista albanese dalla sua fondazione, risalente al 1991.
Il balletto dei candidati presidenziali
Sulle polemiche legate alle elezioni e al rimpasto si è innestata anche quella sulla scelta del prossimo presidente della Repubblica albanese, prevista per l’inizio dell’estate. Apparentemente accantonata l’ipotesi Nano, indebolito sia dalla sconfitta del suo sostenitore Berisha sia da quella dei candidati da lui promossi alle locali, il primo ministro ha presentato un’altra candidatura, quella del vicepresidente del PD Bamir Topi, indicato da un recente sondaggio come il politico più amato dagli albanesi.
L’entrata in scena di Topi indebolisce ulteriormente Nano, essendo il primo a capo della frangia del PD contraria al progetto berishano "Nano for president". Nell’ufficializzare la candidatura di Topi, che non gode del sostegno dell’intera destra, Berisha ha perfino ventilato lo spettro di elezioni anticipate: ponendo l’aut aut "Topi o urne", ha voluto saggiare la fedeltà del suo schieramento e ricompattarlo dopo la disfatta elettorale. Se Topi non otterrà gli 84 voti necessari a conseguire la poltrona presidenziale, vale a dire i tre quinti del parlamento, si andrà a consultazioni anticipate.
L’opposizione ha espresso un netto rifiuto, ricordando che la candidatura dovrebbe provenire dalle sue file, non da quelle della maggioranza, e che deve essere consensuale. Mentre si commentava ironicamente che "Berisha vuole bruciare anche Topi come ha fatto con Olldashi", per eliminare dalla scena un potenziale rivale, da sinistra non sono giunte controproposte ufficiali, pur circolando nomi quali Bashkim Fino, segretario organizzativo del PS. Da parte sua, Rama ha bollato il dibattito sul presidente come "farsa di pessimo gusto" e "noiosa telenovela", richiamando l’attenzione sui risultati delle elezioni, mentre il segretario del PS Majko ricorda che "in Albania, solitamente, vince l’ultimo nome ad uscire".