Albania: l’eredità del regime

L’Albania non ha mai fatto i conti con il proprio passato autoritario. Non contribuirà a farlo l’ennesimo provvedimento legislativo, pensato per porre rimedio a onorificenze assegnate nel 2014 a collaboratori del regime

09/02/2016, Tsai Mali -

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A Scutari, Albania, si ricordano le vittime del regime (Famiglia Cristiana)

In occasione del 70° anniversario della liberazione dal nazifascismo (29 novembre del 2014) il ministero della Difesa albanese ha insignito circa mille veterani della Seconda guerra mondiale di una “Medaglia di Riconoscenza”. Annacquata nella fitta agenda delle celebrazioni, al tempo la notizia non aveva provocato particolari polemiche; ma lo scorso dicembre la stampa albanese ha pubblicato la lista completa dei nominativi premiati alla memoria: tra i nomi dei veterani vi erano anche alcuni collaboratori delle strutture del regime comunista.

Premiata la Sigurimi

A scatenare l’indignazione dell’opinione pubblica – anzitutto delle associazioni dei perseguitati, e inevitabilmente dell’opposizione di centrodestra – è stato anzitutto il nome di Shyqyri Çoku, ex funzionario della Sigurimi e noto responsabile di numerosi processi istruiti ai danni della comunità religiosa del paese (in particolare nel nord, dove era ed è maggiormente radicata la confessione cattolica). Il nome di Çoku è noto grazie alla testimonianza di padre Zef Pllumi, il prete francescano che nel volume Rrno vetëm për me tregue (Vivi! Solo per testimoniare, Diana Edizioni, 2013) ha raccontato il suo calvario di 22 anni nelle carceri albanesi.

Divampata la polemica, il governo albanese è stato costretto a fare un passo indietro. Nel corso di un’intervista televisiva, la ministra della Difesa Mimi Kodheli ha fatto spallucce, confessando che sì, il suo ministero non si era occupato di vagliare ogni singolo nome. Poco dopo, il Premier Rama si è invece pubblicamente scusato in Parlamento per l’onorificenza concessa a Çoku, ma ha al contempo scaricato ogni responsabilità sul PD, poiché quell’assegnazione era stata decretata nel 1995, ovvero da un governo di destra.

Legami col regime

Come quest’ennesima spiacevole vicenda rende lampante, in Albania tutti i governi post-comunisti – sia quelli sorti dalle ceneri del Partito del Lavoro che quelli nati in sua opposizione – si dimostrano indissolubilmente legati al regime, dal quale, in fondo, non hanno mai potuto e voluto sganciarsi. Per correre ai ripari, l’attuale maggioranza ha presentato in Parlamento il disegno di legge Rama-Balla, allo scopo di revocare o proibire la concessione di titoli onorifici a quelle persone che dal 1944 al 1991 prestarono servizio per lo stato albanese in qualità di membri del Bureau politico, di giudici, procuratori e collaboratori della polizia di Stato. La revoca retroattiva delle onorificenze sinora concesse verrà stabilita da una commissione ad hoc composta da otto membri, tra cui rappresentanti del gabinetto governativo, delle forze armate e delle associazioni impegnate del settore.

È facile immaginare che questa legge sarà facilmente approvata in Parlamento, ma rimangono come sempre alcune perplessità: sull’autonomia decisionale di una commissione di composizione governativa; sull’apparato normativo che dovrà accompagnare la legge per garantirne l’attuazione; ma soprattutto sulla determinazione del governo a portare avanti il processo, tenendo presente che l’iniziativa è stata messa in moto più per rimediare ad una gaffe che da una riflessione seria sulla leggerezza commessa con le onorificenze del 2014.

Molte leggi, nessun risultato

La legge Rama-Balla non è il primo tentativo albanese di regolare i conti con la pesante eredità del regime di Enver Hoxha. In questi ultimi 25 anni sono state promulgate ben due leggi relative all’attività della polizia segreta ma nessuno dei due testi perseguiva in modo chiaro il suo obiettivo. La prima, adottata nel 1995 – negli anni in cui la decomunistizzazione era cavallo di battaglia del nuovo governo democratico – servì all’allora Presidente Berisha per avviare una campagna punitiva contro i suoi avversari, e venne poi prontamente ritoccata, fino a renderla innocua, dal governo socialista appena insediatosi nel 1997. Anche la seconda, nel 2008, venne sostanzialmente ideata per sostenere Berisha nelle battaglie legali che già nel corso del primo mandato avevano investito sia il suo governo che la sua famiglia.

L’ultimo tentativo di fare luce sull’operato e le responsabilità penali della Sigurimi risale al 2015, ovvero all’ultimo atto di Erion Veliaj in qualità di ministro del Welfare, carica da lui abbandonata per candidarsi a sindaco della capitale. La sua legge “Sul diritto di accesso ai documenti della ex-Sigurimi” prevede l’istituzione di un’Autorità, intesa come organo collegiale, con lo scopo di individuare, raccogliere e conservare tutta la documentazione relativa alla polizia di Stato, riservandone l’accesso alle persone interessate e direttamente coinvolte, senza prevedere nessun risvolto in termini di lustrazione. L’Autorità dovrebbe essere composta da cinque membri: due parlamentari, un membro governativo, un rappresentante delle associazioni dei perseguitati e uno dalla società civile. I cinque membri dovevano essere nominati ad un mese dall’entrata in vigore della legge, ovvero nel giugno 2015, ma fino ad ora il Parlamento è riuscito ad eleggere soltanto il presidente dell’Autorità, Gentiana Sula, attuale vice ministro del Welfare. In sintesi, la legge è in vigore ma come spesso accade non implementabile.

L’attuale classe politica albanese non è ancora in grado di fare i conti con il passato. Non lo sarà fino a quando sarà guidata da politici che hanno fatto della “decomunistizzazione” sempre e soltanto un’arma per delegittimare gli avversari politici. Qualsiasi processo è poi oggettivamente ostacolato dagli oltre venticinque anni ormai trascorsi dalla dissoluzione della Sigurimi, anni in cui gli interventi di “ripulitura” degli archivi e dei fascicoli più compromettenti sono stati certamente possibili.

Il dubbio è che alla base di quest’improvvisa attenzione per il passato ci sia, ancora una volta, poco più di un’operazione di facciata. Con maggiore senso estetico dei precedenti, l’esecutivo Rama, con il solo scopo di smorzare le critiche e strizzare l’occhio agli internazionali, continuerà certamente ad aprire le porte di bunker antiatomici, dei suggestivi tunnel sotterranei della capitale. Gli archivi e la verità, invece, rimarranno, come sempre, chiusi nel cassetto del potere.

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