È stato un fine settimana animato da continue fughe di notizie e altrettante smentite quello che ha anticipato il rimpasto di governo voluto dal Premier e leader del Partito Socialista Edi Rama, in vista delle elezioni politiche del prossimo 18 giugno. Inizialmente era trapelata la notizia delle dimissioni del ministro dell’Interno Saimir Tahiri, il più discusso e fino ad allora ritenuto intoccabile ministro di Rama. Poi sembrava che si sarebbero dimessi i sette ministri che hanno anche incarichi di coordinamento elettorale nel partito. Alla fine sono finiti nella lista sacrificale di Rama in quattro, non solo il fido Tahiri, ma anche il ministro della Sanità Ilir Beqaj, il ministro del Welfare Blendi Klosi e quello per gli Affari Locali Blendi Cuci.
Intervenuto solo la domenica sera con l’abituale video lanciato sui social per ripercorrere gli eventi salienti della settimana, insolitamente parco di parole e di spiegazioni, Edi Rama ha escluso qualsiasi malcontento nei confronti delle loro perfomance. Nessuna concessione quindi all’opposizione, che boicotta tutti i lavori parlamentari e dalla piazza chiede ogni giorno la formazione di un governo tecnico che porti il paese alle elezioni, e niente pressioni dagli alleati di governo. I ministri che lasciano l’incarico hanno “la più positiva considerazione” del Premier e sono ora chiamati ad affrontare “con rinnovate energie e presenza costante” il carico straordinario di impegni dell’imminente campagna elettorale.
Le nuove nomine
I nomi dei ministri designati sono stati annunciati invece il giorno dopo. Al ministero dell’Interno arriva Fatmir Xhafaj, attuale Presidente della commissione parlamentare sulla riforma giudiziaria e figura di riferimento del processo che ha portato all’approvazione, all’unanimità, della riforma del sistema giudiziario nel luglio scorso.
Agli Affari locali ci sarà Eduard Shalsi, già capo di gabinetto e vice-sindaco di Tirana negli anni dell’amministrazione Rama e principale autore della discussa legge sull’importazione di rifiuti. Il testo è stato rimandato al Parlamento lo scorso ottobre dal Presidente della Repubblica mentre il voto definitivo in aula è slittato più volte a causa di evidenti incomprensioni all’interno della maggioranza.
Primo incarico governativo per la deputata Olta Xhaçka al ministero del Welfare e Ogerta Manastirliu, anche lei nella squadra di Rama al Comune di Tirana, al ministero della Sanità. Con queste due nomine, per la prima volta in Albania la presenza delle donne al governo supera quella degli uomini.
Tre ministri per coprire Tahiri
L’improvvisa decisione del Premier Rama di rivedere la squadra governativa ha lasciato perplessi non solo gli stessi protagonisti (“Non ho mai dato le dimissioni, né qualcuno me le ha mai chieste”, twittava la sera prima Tahiri), ma l’intera opinione pubblica. A Tirana però su una sola cosa non ci sono dubbi. Estendere la manovra a quattro ministeri è parso da subito come un maldestro tentativo di coprire il fatto principale; l’unico a lasciare il governo doveva essere il ministro dell’Interno, da tempo nell’occhio del ciclone per presunti legami con la criminalità organizzata e soprattutto per l’impotenza di fronte al fiorente fenomeno della coltivazione della cannabis nel paese.
Nell’agosto del 2014, il blitz a sorpresa della polizia di Tahiri espugnava Lazarat, portando nella famigerata “capitale albanese della cannabis” i riflettori dei media nazionali e internazionali e facendo pensare ad una prossima risoluzione dell’annoso problema delle coltivazioni nel paese, ma evidentemente quella mossa non è bastata a frenare il fenomeno e i segnali di allarme sono diventanti sempre più frequenti.
Così, lo scorso dicembre, il procuratore antimafia di Lecce, Cataldo Motta, durante una visita a Tirana chiedeva una collaborazione più intensa che in passato con le autorità albanesi alla luce “dell’incrementato traffico di sostanze stupefacenti sia di provenienza albanese che di altre regioni”.
A febbraio, anche il Capo della Missione Osce in Albania, Bernd Borchardt, affermava in un’intervista televisiva che il fenomeno della coltivazione di cannabis negli ultimi anni era aumentato e che dal traffico di narcotici nel paese circolano più di 2 miliardi di Euro, sottolineando che quel denaro sporco poteva essere utilizzato per la compravendita di voti e di deputati.
Appena una settimana fa invece, il procuratore nazionale Antimafia italiano, Franco Roberti, ha dichiarato al termine della breve visita nel paese che “il traffico di sostanze stupefacenti nella rotta tra Albania e Italia negli ultimi anni è andato crescendo esponenzialmente”, ed ha annunciato la nomina di un magistrato italiano di collegamento a Tirana allo scopo di rendere più efficiente e tempestiva la collaborazione tra i due paesi.
A fronte delle accuse di intenzionale inoperosità nel contrastare il traffico di narcotici, Saimir Tahiri ha comunque messo in atto una profonda riorganizzazione della Polizia di Stato, notoriamente inefficiente e corrotta, nel tentativo di garantire un più rigoroso rispetto delle regole e delle leggi. Uomo di punta di questo cambiamento, di una polizia che fa multe invece di chiedere mazzette e che prova ad imporre una diversa concezione di stato, Tahiri è diventato una figura centrale del governo ed ha avuto in ogni passo il sostegno incondizionato del Premier Rama. Anche per questo, la decisione di sospenderlo dal governo a pochi mesi dalle elezioni per affidargli compiti di partito, a Tirana non ha convinto nessuno.
Tutti scontenti
Al di là della manovra, l’incertezza e il nervosismo che hanno animato in questi giorni la capitale albanese hanno dimostrato che se da un lato Rama non ha rivali all’interno del partito e che i socialisti sembrano disposti a seguirlo anche nelle improvvisazioni governative, i rapporti all’interno della coalizione di governo sono invece sempre più incerti. Proprio da questa instabilità – mettono la mano sul fuoco gli opinionisti di Tirana – originerebbero le pressioni per la rimozione di Saimir Tahiri.
Certo è che al momento il Movimento per l’integrazione Europea di Ilir Meta, principale alleato del Ps, non ha ancora sciolto la prognosi sul futuro dell’alleanza, rimandando la decisione ad un congresso del partito che non ha ancora una data.
Nei prossimi mesi invece, oltre alla definizione delle alleanze e prima ancora del voto per il rinnovo del Parlamento, le parti dovranno trovare l’accordo anche per concludere la riforma elettorale avviata e soprattutto per eleggere il nuovo Capo dello Stato. E con l’opposizione autoreclusa nel tendone allestito in piazza e isolata della propria incapacità di rinnovarsi per diventare credibile agli occhi degli elettori, il timore è che questo rimpasto del governo sia solo il primo atto di un lungo e tormentato braccio di ferro interno alla maggioranza.