Albania: a tutto pascolo
Nel nord dell’Albania è stato da poco messo a disposizione da una ong italiana un manuale sull’allevamento di capre e pecore. Un supporto tecnico che è il frutto di anni di missioni sul campo e di conoscenza reciproca. Ne abbiamo parlato con Alberto Sartori, curatore del manuale
E’ da poco a disposizione un manuale pratico sull’allevamento ovicaprino in Albania di cui ha curato l’edizione. Quale il percorso che l’ha portata in Albania?
Sono arrivato in Albania in seguito a varie esperienze di studio e lavoro focalizzate sui Balcani Occidentali, specialmente in Kosovo, dove ho anche conosciuto RTM e fatto parte del personale espatriato della sede kosovara dell’organizzazione. Dopo un anno a Klina mi si è presentata l’opportunità di trasferirmi a Scutari per far parte del team di RTM Albania e lavorare in una delle zone più affascinanti dell’Albania.
Quale lo scopo di questo manuale, perché lo si è ritenuto necessario?
Il manuale nasce dalla volontà di Volontari nel Mondo RTM, Università di Modena e Reggio Emilia (UNIMORE), Università Agricola di Tirana (Universiteti Bujqësor i Tiranës – UBT), della fondazione Partnership for Development (PfD) e di AgroPuka di mettere a disposizione degli operatori del settore ovicaprino del Nord dell’Albania un compendio di buone pratiche emerse nel corso del programma Alleanza per lo sviluppo e la valorizzazione dell’agricoltura familiare nel nord dell’Albania, cofinanziato da AICS – Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo e CEI – Conferenza Episcopale Italiana.
A questo scopo abbiamo raccolto conoscenze tecniche e pratiche accumulate sul campo, integrandole con i contributi e la supervisione tecnica della professoressa Luisa Volpelli (UNIMORE), del professor Luigji Turmalaj (UBT), dal dott. Corrado Torcianti e di altri esperti coinvolti a vario titolo nelle attività. Si è trattato quindi di un vero e proprio lavoro di squadra.
Il perché di questa scelta è legato al fatto che molte delle aziende famigliari con cui collaboriamo si trovano in luoghi remoti e molto spesso sono costrette al fai da te o a lunghi tragitti per accedere ai servizi veterinari più vicini. Cercando di ovviare ai problemi legati all’isolamento di queste zone, abbiamo cercato di includere in questo manuale tutto ciò che potesse rendere più autosufficienti gli operatori della filiera nella gestione dei vari aspetti dell’attività, dall’alimentazione alla salute animale, dagli standard vigenti in termini di strutture di stabulazione a quelli di caseificazione, passando per l’utilizzo sostenibile dei pascoli montani. Il manuale è tra l’altro disponibile sia in lingua albanese che in lingua italiana.
Nella realizzazione di questo lavoro si è senza dubbio confrontato con esperti e allevatori locali. Ci racconta quest’esperienza? Quali le differenze principali di approccio che ha riscontrato rispetto a quanto era abituato?
Gran parte del lavoro alla base di questo manuale ha comportato l’agire come sorta di anello di congiunzione tra allevatori e esperti del settore. Infatti, le attività sul campo e il confronto tra le esigenze di chi vive ogni giorno a contatto con gli animali e gli esperti sono state fonti inestimabili per capire quali fossero i punti fondamentali da inserire nella guida. Spesso ci siamo lasciati proprio guidare dalle domande, dalle risposte e dai dialoghi che ne sono scaturiti durante le nostre visite sul campo.
Si è trattato dunque di un’esperienza dalle molte sfaccettature ma che ha permesso a tutto lo staff coinvolto nel progetto di avere ben chiare quali siano le priorità concrete del settore e quali le indicazioni pratiche da mettere a disposizione di un numero più ampio possibile di allevatori e allevatrici attuali e potenziali.
Nel nord dell’Albania vi sono razze autoctone di capre e pecore che ritiene interessanti e da tutelare? Quali le loro caratteristiche principali?
Per quanto riguarda le capre, oltre alla razza cosiddetta locale, frutto di vari incroci e senza delle caratteristiche uniformi, sono particolarmente interessanti la Capore di Dragobia, dal manto nero, con corna a forma di ‘V’ e attorcigliate nei maschi, e la Capra di Has, più diffusa, di taglia maggiore e dal manto rosso ramato. Sono entrambe delle razze particolarmente adatte alle lunghe camminate e agli ambienti montani.
Per quanto riguarda le pecore, le razze più presenti oltre agli ibridi locali sono la Pecora bianca del Dukagjini, robusta e più diffusa nelle zone montane,e la Pecora scutarina, di taglia più piccola e con un caratteristico ciuffo sul capo.
Sia per quanto riguarda capre che pecore, siamo di fronte a razze tipiche della regione e che hanno spesso diffusione transfrontaliera, in particolare nelle zone montuose a cavallo tra Albania, Kosovo e Montenegro.
Nelle aree montane in cui operiamo sono molto più diffusi gli allevamenti di caprini, grazie alle spiccate caratteristiche di rusticità sviluppate da queste razze locali. Si tratta di esemplari molto resistenti alle intemperie, capaci di lunghe camminate, apprezzati per l’adattabilità e la capacità di sfruttare al massimo la vegetazione e i pascoli della zona. Sono perciò molto adatti alla vita allo stato semi-brado e richiedono meno cure rispetto alle razze più famose a livello internazionale, ma presentano anche rese inferiori.
Spesso gli allevamenti locali si basano sul pascolo. Ci può descrivere le caratteristiche principali dei pascoli nel nord dell’Albania?
I pascoli rappresentano la fonte primaria per l’alimentazione degli animali di tutti gli allevamenti con cui abbiamo collaborato. Si pensi che, in media, i capi allevati si alimentano al pascolo per più di 250 giorni l’anno. Ciò è possibile anche perché nelle municipalità di Pukë, Fushë Arrëz e Vau Dejës si possono trovare ampie e varie zone di pascolo, che vanno dalla macchia mediterranea fino ai prati alpini, passando per faggete, querceti e pinete.
Si tratta di pascoli non sempre abbondanti, ma con una grande varietà di erbe tipiche che danno dei tratti particolari ai prodotti degli animali che vi pascolano. Sono proprio queste peculiarità che rendono interessante l’ulteriore sviluppo delle produzioni ovicaprine.
In questo senso, la sfida per gli operatori del settore è di riuscire a capitalizzare sulle risorse naturali presenti senza comprometterne la sostenibilità. Ciò è più facile a dirsi che a farsi, anche a causa dei mezzi limitati a disposizione di chi utilizza questi pascoli. Purtroppo in alcune zone lo sfruttamento delle risorse naturali non è stato molto oculato e si sono avuti episodi di deforestazione che hanno messo in pericolo una gestione sostenibile delle zone di pascolo.
Uno dei nostri obiettivi è stato anche quello di supportare alcuni gruppi di allevatori a un uso migliore di queste risorse, tramite formazione, assistenza tecnica e interventi mirati, ad esempio per un miglior accesso all’acqua. Si tratta di interventi che permettono di mantenere ‘vive’ zone che altrimenti rischiano di essere abbandonate all’erosione e al disuso.
Uno dei valori di queste aree è la loro natura in gran parte incontaminata, un valore aggiunto rispetto alla potenziale qualità dei prodotti del settore ovicaprino. Quali i passi per valorizzare quest’aspetto? Ve ne è consapevolezza da parte di allevatori ed istituzioni locali?
La diversità di paesaggi e vegetazione che caratterizza queste aree rappresenta sicuramente un punto di forza molto importante per queste comunità, a cui però è spesso mancato un sostegno adeguato, a causa delle molte difficoltà logistiche e dai mezzi limitati a disposizione. Ci sono quindi alcune zone pressoché incontaminate e altre che invece sono state oggetto di disboscamento indiscriminato.
Qualcosa si è però mosso e c’è una maggior sensibilità rispetto ai temi di salvaguardia e sostenibilità ambientale, sia a livello locale che a livello nazionale. Si pensi alla moratoria sul disboscamento in vigore in tutta l’Albania. Occorre però che questi provvedimenti siano effettivamente implementati e ciò non è sempre scontato. Ad ogni modo, la maggior attenzione a questi temi può avere un impatto molto positivo nel sostenere coloro che si stanno impegnando per valorizzare al meglio il territorio.
Questa attenzione è spesso legata allo sviluppo del turismo rurale e montano, che rappresenta un’opportunità certamente importante, ma che deve essere colta in modo strategico. Ci sono state varie iniziative interessanti, tra cui l’apertura di guesthouse e altre strutture di accoglienza che offrono e valorizzano atmosfere e gusti tradizionali. Occorre però cercare di integrare quest’offerta, ad esempio, ma non solo, lavorando allo sviluppo del sistema di sentieri, ancora più legato ai movimenti di chi abita in queste zone piuttosto che a scopi ricreativi.
Quale la principale debolezza e il principale valore dell’allevamento ovicaprino nel nord dell’Albania?
La debolezza del settore in questa zona è sicuramente rappresentata dalla mancanza di mezzi, cosa che rischia di comprometterne la sostenibilità a causa di difficili condizioni di lavoro per le persone e delle ripercussioni su benessere e produttività degli animali. Pensiamo solamente alla differenza tra falciare dei prati montani con un trattore o con una falce a mano…
Gli indubbi punti di forza degli allevamenti di questa zona sono la qualità e l’origine naturale delle produzioni, grazie a metodi tradizionali e a un’alimentazione degli animali basata quasi esclusivamente sul ricorso ai pascoli. Queste caratteristiche sono sempre più apprezzate anche in Albania, dove il mercato per prodotti di questo tipo è in espansione, anche trainato dal boom del turismo estivo degli ultimi anni.
Nel manuale si parla anche di caseificazione. Che tipo di tradizione ha incontrato nel nord dell’Albania? Ad un turista che si recasse in quelle zone, che formaggio consiglia di assaggiare?
La tradizione della caseificazione è molto radicata nel territorio montano e rappresenta un pilastro fondamentale della gastronomia locale, di cui sono protagoniste indiscusse le donne. Durante le nostre visite agli allevamenti abbiamo notato di varie sfumature nelle ricette utilizzate e tramandate nelle famiglie di allevatori. Alcune producono persino un caglio animale secondo le pratiche tradizionali, altrove dimenticate da tempo.
Il formaggio più prodotto e che consiglierei a chi dovesse trovarsi in zona è sicuramente il Djath i bardhëcaprino, un formaggio di tipo analogo alla feta, che si può assaporare in varie versioni, da quella classica a quella con erbe e mirtilli, rigorosamente locali.
Questi luoghi hanno un fascino legato anche all’isolamento. Si può pensare ad uno sviluppo del settore senza un radicale intervento i termini di infrastrutture? E nelle condizioni attuali si possono ritagliare nicchie di sostenibilità economica?
Alcuni interventi infrastrutturali sono assolutamente necessari, in particolare approvvigionamento elettrico e collegamenti stradali che permettano accesso ai servizi di base. Purtroppo, però, in certe zone non è così realistico attendersi investimenti nel breve periodo, visti i costi elevati connessi a queste opere.
Ciò non significa che non ci siano delle possibilità di sviluppo del settore. I punti di forza di questi allevamenti sono indiscutibili e studi sul settore hanno evidenziato la spiccata preferenza da parte dei consumatori albanesi per i prodotti delle aree montane. Si tratta quindi di supportare le piccole aziende familiari della zona ad avere un miglior accesso ai mercati, soprattutto urbani, con prezzi che riflettano l’elevato valore dei loro prodotti. La chiave sta dunque nella valorizzazione delle produzioni di queste zone e nel permettere maggiori introiti alle famiglie in questione. È proprio questo che stiamo cercando di fare assieme agli stakeholder locali con il marchio Shija e Veriut [Sapore del Nord] per i prodotti delle tre municipalità coinvolte.
Inoltre, dalla nostra esperienza sul campo risulta evidente che per parlare di sostenibilità del settore non si può prescindere dal miglioramento delle condizioni di lavoro e di vita di chi fa questo mestiere. Solo con la vendita dei prodotti a prezzi migliori, oltre che con adeguato supporto dalle istituzioni, si può prevedere che queste attività restino sostenibili. Poter disporre di trattori, mezzi 4×4 o di altre attrezzature appare ancora come un lusso per la maggior parte degli allevatori. Tutto ciò dovrà cambiare e il nostro impegno è stato fortemente orientato nel facilitare un cambiamento del genere, anche se di strada da fare ce n’è ancora.
Cosa si porta a casa dal punto di vista professionale e personale da questa sua esperienza albanese?
Si è trattato senza dubbio di un’esperienza di grande valore. Sono personalmente convinto che, arrivati quasi alla fine di questo progetto, ci lasciamo alle spalle un percorso complesso ma di successo, confermato dai risultati incoraggianti che tanti allevatori stanno ottenendo con le proprie attività. Il lavoro fatto assieme ai vari partner coinvolti ha anche portato a un concreto miglioramento delle condizioni in cui operano molti di questi allevatori, cosa che dovrebbe rimanere al centro di ogni iniziativa futura nel settore. Speriamo di poter continuare in questo senso.